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fallimento - arbitrato - compromesso e clausola compromissoria Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 1543 del 23/01/2013

Appalto - Successivo fallimento dell'appaltatore - Posizione fatta valere dal curatore, non strettamente coincidente con quelle rinvenute nel patrimonio del fallito - Eccezione di arbitrato fondata sul contratto originario - Successive modifiche dell'appalto e nuove pattuizioni anche con terzi - Competenza giurisdizionale sulle azioni del curatore - Sussistenza - Ragioni. Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 1543 del 23/01/2013

Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 1543 del 23/01/2013
Deve essere affermata la competenza dell'autorità giurisdizionale ed escluso, quindi, il fondamento dell'eccezione di arbitrato, qualora la posizione fatta valere dal curatore non sia strettamente rinvenuta nel patrimonio del fallito (nella specie, per un contratto di appalto contenente clausola compromissoria), bensì abbia carattere autonomo, proprio della rappresentanza della massa (avendo il lavoratore chiesto l'escussione di crediti inerenti a detto rapporto, ma successivamente oggetto di nuovi negozi, conclusi anche con terzi e ritenuti simulati ovvero revocabili), non potendosi rinvenire quella continuità di funzionamento del meccanismo negoziale presidiato dalla clausola compromissoria, tanto più che il deferimento di una controversia al giudizio degli arbitri comporta una deroga alla giurisdizione ordinaria e, quindi, in caso di dubbio in ordine alla sua portata, deve preferirsene un'interpretazione restritti


Cassazione Civile Sez. 1, Sentenza n. 1543 del 23/01/2013
IL PROCESSO
St.... Patrizia impugna la sentenza App. Firenze 18.1.2011 con cui, come chiesto affermarsi dal Fallimento Eurocostruzioni di My Marcello e C. s.a.s. (Fallimento) in contraddittorio con St.... e di Eleonora di Ri.... Vi.... e C. s.a.s. (Eleonora), poi appellante incidentale, in riforma della sentenza Trib. Prato 7.6.2006, venne accolto l'appello avverso la originaria declaratoria negativa di competenza, per essere stata invece ritenuta la devoluzione della causa alla cognizione arbitrale. La controversia attiene ad un contratto di appalto del 1995, per il quale:
a) Eurocostruzioni si era obbligata alla esecuzione di vari lavori su immobile di proprietà dell'appaltante società Eleonora, con pagamento convenuto mediante permuta di un appartamento che l'appaltatrice nel 1996 promise dunque in vendita a St....;
b) nel 1997, a lavori non completati, Eleonora ed Eurocostruzioni convennero una riduzione del contratto, confermando la permuta ed il versamento del saldo dell'immobile da St....;
C) l'immobile fu trasferito al promittente l'acquisto, con cessione del preliminare dall'appaltatrice all'appaltante ed emissione di fattura finale di Eurocostruzioni. Con domanda giudiziale rivolta all'adempimento proprio di questa fattura, per circa L. 153 milioni, il curatore del fallimento di Eurocostruzioni (dichiarato il 25.5.1998) chiese il saldo alla società Eleonora, in ipotesi con dichiarazione del carattere simulato del preliminare, degli accordi successivi e di tutti gli atti ad essi collegati, poiché diretti a rappresentare un pagamento mai avvenuto ovvero, in via gradata, con revoca dell'attribuzione ad Eleonora della facoltà di disposizione dell'immobile, del preliminare a St...., dei negozi successivi con l'appaltante Eurocostruzioni, nonché i pagamenti conseguenti, tutti costituenti mezzi solutori anomali L. Fall., ex art. 67, comma 1, n. 2, della medesima fattura impagata e comunque con condanna al pagamento del relativo importo. In via ulteriormente subordinata la curatela svolse domanda di revoca L. Fall., ex art. 67, comma 2, dell'atto di mutuo scioglimento dell'appalto, della datio in solutum, della cessione a Eleonora del preliminare di compravendita, nonché dei negozi collegati, poiché atti a titolo oneroso infraannuali rispetto al fallimento, infine prospettando - per l'ipotesi di accoglimento della prima domanda - la condanna di Eleonora al pagamento del residuo prezzo di vendita di L. 92 milioni circa sul primo preliminare. Riformando la sentenza già denegativa della competenza giudiziale ed in favore degli arbitri, la corte ammise l'appello (rigettando le eccezioni di tardività e di indeterminatezza ovvero contraddittorietà della domanda) e dichiarò la competenza dell'autorità giurisdizionale adita, ravvisando nella posizione fatta valere dal curatore non la posizione soggettiva strettamente inerente ad un'azione rinvenuta nel patrimonio del fallito, bensì l'interesse autonomo, proprio della rappresentanza della massa, non avendo "mai ilcuratore ... dichiarato di volere subentrare nel contratto" (pag. 6 sent).
Il ricorso di St...., affidato a tre motivi, è resistito dalla procedura della società Eurocostruzioni, con controricorso; il ricorso della società Eleonora si struttura su un unico motivo, parimenti avversato dalla predetta procedura con controricorso;
St.... ha depositato memoria.
I FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA E LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Quanto al ricorso di St.....
Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione ovvero falsa applicazione della L. Fall., artt. 72, 78 e 81, nonché artt. 37-38 e 819 ter cod. proc. civ. e L. Fall., art. 24 in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, avendo la corte di merito erroneamente trascurato il principio del naturale subentro del curatore nel contratto che pur si sciolga con la dichiarazione di fallimento ove, come in questo caso, l'organo della procedura agisca per l'escussione di crediti inerenti a detto rapporto, derivandone la soggezione alla clausola compromissoria che vi sia contenuta, come si desume dalla domanda di pagamento del prezzo fatturato, richiesta coerente con l'esercizio di un diritto già in capo al fallito e non della massa dei creditori. Aggiunge poi la censura che l'impugnazione sarebbe dovuta essere strutturata come regolamento necessario di competenza ex art. 42 cod. proc. civ., con conseguente declaratoria di inammissibilità dell'appello.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce omessa insufficiente e contraddittoria motivazione sulla pronuncia di incompetenza del giudice del tribunale in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, avendo la decisione non considerato che il curatore era subentrato nella situazione sostanziale già facente capo al fallito, facendo valere un diritto spettante a questi ed invero agendo per il pagamento del prezzo dell'appalto.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione del giudicato ex art. 324 cod. proc. civ. e art. 2909 cod. civ. e vizio di motivazione in punto di spese, essendo stata St.... chiamata al processo d'appello ex art. 331 cod. proc. civ. ed invero parte dei negozi oggetto della sola domanda di simulazione, mentre la curatela ne' in primo grado ne' in quello successivo aveva svolto richieste di condanna ovvero impugnato la statuizione compensativa, derivandone, per questa parte ed a vantaggio della ricorrente, il passaggio in giudicato, ferma la non giustificazione della condanna alle spese ad opera della corte.
Quanto al ricorso della società Eleonora.
Con l'unico motivo la ricorrente deduce violazione ovvero falsa applicazione degli artt. 806 e 808 cod. proc. civ. e art. 1362 cod. civ. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, avendo la corte d'appello erroneamente trascurato la circostanza dell'aver agito la curatela esercitando un diritto derivante dal contratto d'appalto, cui accedeva la clausola compromissoria, dunque pienamente opponibile a tale organo.
1. Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ. Ritiene inoltre il Collegio che debba procedersi ad una trattazione unitaria altresì dei rispettivi motivi, inerendo essi a prospettazioni poggianti sul valore critico della clausola compromissoria accedente al contratto d'appalto a suo tempo stipulato fra la fallita Eurocostruzioni e la società Eleonora.
2. Il Collegio, ancora preliminarmente, ritiene peraltro inammissibile il primo motivo del ricorso di St.... ove esso richiama l'erroneità del mezzo impugnatorio prescelto dalla curatela, in luogo del regolamento necessario di competenza. La parte non ha invero indicato in quale sede la questione è stata posta e dibattuta, ne' ha riportato le proprie difese almeno allegandone la tempestiva introduzione nel processo rispetto al giudicante di secondo grado.
3. In generale, tutti i motivi dei due ricorsi sono infondati. Ricordato che stabilire (come a questa Corte, si chiede di fare) se una controversia appartenga alla cognizione del giudice ordinario ovvero debba essere deferita ad arbitri, con arbitrato sia rituale che irrituale, è stata ritenuta questione, comunque, non di competenza in senso tecnico ma di merito, per inerenza a profili di validità ovvero di interpretazione della clausola compromissoria (Cass. s.u. 14223/02; Cass. 6165/2003; Cass. 24681/2006), osserva il Collegio che dalla ricostruzione della fattispecie, quale operata nella sentenza impugnata, emerge che il fallimento attore ebbe a promuovere un giudizio volto ad ottenere il pagamento di una fattura (la n. 24/97), rinvenuta in contabilità ed asseritamente non pagata. Con le domande venne prospettato tuttavia non un inadempimento diretto dell'originario contratto d'appalto (a presidio del quale e per le cui criticità esecutive ed interpretative si invoca la clausola compromissoria), bensì dell'utilità economica residuata in capo ad Eurocostruzioni all'esito di una serie di negozi successivi diversi, coinvolgenti anche un terzo soggetto e censurati dal curatore nei relativi presupposti di opponibilità al medesimo proprio come organo della procedura. Tali azioni sono state configurate sia in termini di domande subordinate, cioè rese attuali da una pronuncia negativa di merito rispetto alla principale, sia come intrinsecamente e direttamente innestate sulla stessa principale, com'è a dirsi sicuramente per l'azione di simulazione:
con essa, la curatela si propose di infirmare sia il preliminare di vendita tra Eurocostruzioni e St.... (dunque un rapporto estraneo al contratto di appalto), sia il negozio trilaterale, coinvolgente i primi due ed anche l'appaltante società Eleonora, stipulato in senso modificativo dell'appalto, a suo scioglimento, con patto regolativo del pagamento del prezzo da parte dell'originaria promittente, previa cessione del preliminare all'appaltante. In pari tempo, l'azione censurò altresì le quietanze di pagamento correlate a detti atti e dirette a rappresentare un pagamento della fattura per cui è causa quale in realtà mai avvenuto. Tali premesse, ospitate in sentenza e riprese dalla trascrizione della citazione introduttiva, consentono di dar conto in modo coerente di come la decisione impugnata abbia escluso il fondamento della eccezione di arbitrato. La clausola compromissoria intercetta invero un limite di applicabilità evidente ove, come nella fattispecie, la discussione sul subentro nel contratto di appalto, quale circostanza desumibile dall'aver il curatore azionato un credito rinveniente dalle utilità prodotte dall'esecuzione di quel contratto, dunque mostrando una volontà incompatibile con quella di agire come terzo, appare errata, in quanto non riscontra che il non aver agito il curatore con un'azione di massa diretta a censurare detto contratto, non implica precludergli altre iniziative, come avvenuto, ancora volte a censurare ulteriori e diverse pattuizioni contrattuali o negozi o atti, refluenti in una unitaria nozione di operazioni economiche distinte che egli reputi, con altre azioni, inefficaci nei confronti della massa dei creditori. E d'altronde, si è statuito che proprio "in tema di valore probatorio della quietanza nei confronti della curatela fallimentare, dalla anteriorità, con atto di data certa, della quietanza al fallimento non può ricavarsi anche la certezza della effettività del pagamento quietanzato, giacché solo dalla certezza dell'avvenuto pagamento, mediante strumenti finanziari incontestabili (anche alla luce della legislazione antiriciclaggio, che impone cautele e formalità particolari ove vengano trasferiti valori superiori ad un certo importo), può trarsi la prova del pagamento del prezzo pattuito nell'atto di autonomia privata, idoneo al trasferimento del bene. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale, facendo uso di presunzioni, era pervenuta alla conclusione dell'avvenuta corresponsione al promittente venditore, poi dichiarato fallito, della sola minor somma pagata con assegni, e della simulazione della quietanza di pagamento della maggiore, di cui il promissario acquirente assumeva il pagamento in contanti, ritenendo così raggiunta la prova della simulazione del patio relativo al prezzo di vendita)." (Cass. 14481/2005). Si tratta di un principio che in tanto introduce una regola probatoria particolarmente rigorosa, in quanto, pure nelle situazioni successorie rispetto alle posizioni del fallito, da conto di una permanente terzietà del curatore rispetto ad atti posteriori a quelli nei quali pur sia subentrato. Più radicalmente, "il curatore fallimentare che agisca per la dichiarazione di simulazione di una quietanza di pagamento, al fine di recuperare il relativo importo al fallimento, può validamente dimostrare l'assenza dell'effettivo versamento della somma in contanti attraverso il collegamento tra presunzioni concordanti, quali l'assoluta mancanza di plausibilità dell'allegazione, in quanto riferita ad un importo assoggettato per la sua ingente entità ai divieti della normativa antiriciclaggio e alla conseguente necessità di una traccia documentale dell'effettivo versamento:" (Cass. 11144/2009).
4. Ciò premesso, un insieme autonomo di operazioni economiche può rinvenirsi, in adesione al coerente e logico ragionamento seguito dalla corte, proprio nel coacervo di domande, talune principali ed altre dedotte in via gradata, con cui il curatore ha chiaramente manifestato una volontà incompatibile rispetto all'assetto negoziato dal fallito e che condusse all'esaurimento dell'iniziale contratto di appalto, alla sua sostituzione con un nuovo negozio, nonché e contestualmente, all'esaurimento anche del preliminare di vendita immobiliare con un terzo soggetto. Si può così ripetere il principio, già affermato in Cass. 6165/2003, per cui "il curatore che azioni un credito la cui causa petendi risieda nel rapporto sociale tra un consorzio e l'impresa (poi fallita ed esclusa) in relazione a, prestazioni, attinenti all'oggetto sociale, da quest'ultima effettuate, non può disconoscere la clausola compromissoria contenuta nel contratto consortile e stabilita per la risoluzione delle controversie sorgenti tra le singole imprese consorziate o tra le stesse ed il consorzio", desumendosi che la diversità fenomenologica delle fattispecie negoziali sottoposte a domande di simulazione e poi revoca e la novità soggettiva della parte che si aggiunse alla vicenda negoziale richiesta al giudice di qualificazione siccome inefficace sono di per sè circostanze sufficienti per non rinvenire quella continuità di funzionamento del meccanismo negoziale presidiato dalla clausola compromissoria, perciò inopponibile al curatore. Se pur dunque va ribadito che "il compromesso per arbitrato, anche irrituale costituendo un atto negoziale riconducibile alla figura del mandato collettivo, o congiunto, e di quello conferito nell'interesse di terzi, non è soggetto allo scioglimento nel caso di fallimento del mandante, non operando rispetto ad esso la regola dettata, dalla L. Fall., art. 78, per il mandato individuale" (Cass. 6165/2003; 19298/2006; 21836/2009;
3803/2010), va rilevato altresì che il "necessitato subentro del curatore nel contratto, in conseguenza della attivazione della posizione attiva della ... fallita, non comporta "reviviscenza" del pur disciolto rapporto consortile bensì esclusivamente risponde alla esigenza di regolare le situazioni da quel contratto già sorte secondo le procedure ivi prestabilite." (così ancora Cass. 6165/2003). Il che val quanto dire che la pretesa fatta valere ora da parte del curatore, pur avendo origine nelle prestazioni positive eseguite dalla fallita nell'ambito del contratto d'appalto, promana più direttamente da successivi e significativi atti di disposizione ad opera della medesima, sia nei confronti della controparte originaria di quel rapporto (allora d'appalto) sia nei confronti di un terzo, e con deduzione di un separato ed autonomo rapporto obbligatorio (nascente dal preliminare), fino a rendere irrilevante o comunque non decisiva anche la questione dell'eventuale subentro dell'organo concorsuale nel contratto d'appalto e per esso nella clausola compromissoria, la cui latitudine regolativa non può invero estendersi sino a ricomprendere rapporti diversi, successivi e più allargati soggettivamente. Occorre invero richiamare, per la relativa interpretazione, il principio per cui "poiché il deferimento di una controversia al giudico degli arbitri comporta una deroga alla giurisdizione ordinaria, in caso di dubbio in ordine alla interpretazione della portata della clausola compromissoria, deve preferirsi un'interpretazione restrittiva di essa e affermativa della giurisdizione statuale, riconoscendosi non rientrare la domanda in contestazione nell'ambito della materia rimessa agli arbitri. " (Cass. 22841/2007), Ne consegue che, motivatamente esclusa la vigenza della clausola arbitrale, trova applicazione la regola per cui "il tribunale da cui è stato dichiarato il fallimento del debitore che ha compiuto l'atto pregiudizievole ai creditori, per il quale si prospetti un'azione di revoca L. Fall., ex art. 67, resta il solo competente a decidere l'inefficacia o meno dell'atto" (Cass. 3672/2012) e, più in generale, "per azioni derivanti dal fallimento ... devono intendersi quelle che comunque incidono sul patrimonio del fallito, compresi gli accertamenti che costituiscono premessa di una pretesa nei confronti della massa, anche quando siano diretti a porre in essere il presupposto di una successiva sentenza di condanna" e "rientrano nella competenza inderogabile del foro fallimentare ... le azioni revocatorie fallimentari ordinarie, le azioni dirette a far valere diritti verso il fallito, le azioni di annullamento seguite da quelle di restituzione e quelle volte ad accertare la simulazione" (Cass. 17388/2007; 17279/2010; 25868/2011).
5. I ricorsi vanno perciò rigettati, ai sensi di cui in motivazione, con condanna alle spese secondo le regole della soccombenza e liquidazione come da dispositivo, ai sensi dei parametri del D.M. 20 luglio 2012, n. 140.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi, ai sensi di cui in motivazione; condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore della contro ricorrente, che si liquidano, per ognuno di essi, in Euro 5.200,00, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 dicembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2013