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Lite sul parcheggio -Tutela arbitraria

Condominio - Lite sul parcheggio -Tutela arbitraria delle proprie ragioni con violenza sulle cose - Condotta criminosa attuata recidendo una catena ed un paletto di ferro posto in prossimita' di un cancello carrabile - Legittima difesa (Corte di Cassazione Sezione 6 Penale Sentenza del 21 gennaio 2010, n. 2548)

Condominio - Lite sul parcheggio -Tutela arbitraria delle proprie ragioni con violenza sulle cose - Condotta criminosa attuata recidendo una catena ed un paletto di ferro posto in prossimita' di un cancello carrabile - Legittima difesa (Corte di Cassazione Sezione 6 Penale Sentenza del 21 gennaio 2010, n. 2548)

Corte di Cassazione Sezione 6 Penale Sentenza del 21 gennaio 2010, n. 2548

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con la sentenza del 2.7.2007 indicata in epigrafe la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza resa il 30.6.2005 in giudizio ordinario dal Tribunale di Roma, con la quale Gi. Fr. e' stato condannato -in concorso di generiche circostanze attenuati e dell'attenuante della provocazione (articolo 62 c.p., n. 2) - alla pena condizionalmente sospesa di euro 40,00 di multa e al risarcimento del danno in favore delle parti civili (liquidato in euro 50,00) per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose commesso il **. Condotta criminosa attuata recidendo una catena ed un paletto di ferro posto in prossimita' di un cancello carrabile, collocati dai condomini Mi.Pi. ed Di. Vi.Em. (costituitisi parti civili) sull'area comune del condominio adibita a parcheggio delle autovetture allo scopo di recintare il posto macchina di loro pertinenza, in tal modo impedendo o rendendo disagevole il libero transito dei condomini dall'area comune del parcheggio all'androne di ingresso condominiale dell'edificio abitativo. Il Tribunale ha mandato assolto il Gi. con ampia formula liberatoria da altri due episodi criminosi di contestato danneggiamento di oggetti e pertinenze comuni del complesso abitativo, inscriventisi nel clima di particolare e risalente animosita' caratterizzante i rapporti tra i soli tre condomini del complesso immobiliare.

2.- Contro la sentenza di appello propone ricorso il difensore dell'imputato, denunciandone, con un solo motivo di censura, l'insufficiente, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione in riferimento alla inadeguata ricostruzione della dinamica storica dell'episodio integrante la regiudicanda ed alla connessa fuorviata valutazione delle corrispondenti fonti di prova, scandita dalla omessa analisi dei rilievi critici espressi con l'atto di appello avverso la sentenza di primo grado.

In particolare la sentenza di appello, pur richiamando per relationem la decisione di primo grado, trascura di apprezzarne talune rilevanti puntualizzazione in merito alla oggettivita' del blocco del libero transito (impedito o comunque gravemente ostacolato) dall'edificio abitativo all'adiacente area scoperta di parcheggio condominiale attuato dall'intervento modificativo dello stato dei luoghi compiuto dal condomino Mi.Pi. (recintando l'area di parcheggio di propria pertinenza sull'area comune e nel contempo chiudendo con un lucchetto un contiguo cancello di accesso alla detta area comune) e in merito, in via speculare, al corrispondente intervento ripristinatorio del Gi. (rimozione di catena, paletto di sostegno e lucchetto del cancello). Intervento privo del carattere della arbitrarieta' integrante la fattispecie di cui all'articolo 392 c.p., e comunque realizzato in stato di legittima difesa, ancorche' - in ipotesi - erroneamente supposta, per l'impellente necessita' di reagire ad una ingiusta e attuale aggressione al libero esercizio del proprio diritto di transito in uno spazio condominiale comune precluso dall'anteriore abusiva azione del Mi. .

3.- La censura illustrata dal ricorrente e' fondata.

In vero la sentenza della Corte di Appello di Roma, muovendo dal presupposto dell'esistenza di una annosa controversia in atto tra i tre condomini dell'immobile sulla delimitazione e l'uso dell'area di parcheggio comune annessa all'edificio, conclude con la considerazione che "il prevenuto non poteva avere scuse per accampare pretese giustificative nel campo penale", giacche' la questione era stata ed era oggetto di una lite giudiziaria ancora in corso. Sicche' deve ritenersi non provata la "necessita'" di esercitare il preteso diritto "neppure in via putativa", dal momento che l'imputato conosceva lo "stato di fatto" e che tra le parti si era instaurata una lite giudiziaria sulla questione, non ancora risolta in maniera definitiva.

Premesso che l'evenienza della preesistente controversia giudiziaria in corso tra l'imputato e i suoi contraddittori evocata dalle due sentenze di merito (controversia di cui, per altro, sono sconosciuti gli esatti termini giuridici per quel che e' dato evincere dalle motivazioni delle due sentenze) e' nel caso di specie estranea alla specifica vicenda oggetto del processo, che investe il carattere "arbitrario" o meno della condotta autodifensiva posta in essere dall'imputato e la verifica della sua corrispondenza alla contestata fattispecie della ragion fattasi, la sentenza di appello non ha fornito una doverosa ed effettiva (e non solo locutoria) risposta ai rilievi critici enunciati dal ricorrente con l'atto di appello avverso la sentenza di primo grado.

In vero, mutuando un errore prospettico della sentenza del Tribunale, la decisione di secondo grado opera una decontestualizzazione storica del semplice episodio oggetto di causa.

Da un lato si assume che l'apposizione della catena e del paletto metallico (di sostegno della catena stessa) per circondare il posto macchina del Mi. , catena e paletto resecati dal Gi. nell'immediatezza della loro collocazione, poteva rendere soltanto piu' difficoltoso ai condomini il passaggio dallo stabile all'area scoperta condominiale adibita a parcheggio (e viceversa). Da un altro lato, pero', si ammette che la concomitante chiusura da parte del condomino Mi. dell'attiguo cancello (abitualmente lasciato sempre aperto) di passaggio tra il cortile dell'androne dello stabile e la stessa area di parcheggio impediva totalmente il transito (sentenza Tribunale, p. 3: "Detto passaggio era reso impossibile dalla circostanza che Mi. aveva altresi' chiuso con un lucchetto il cancello posto tra il cortile di accesso all'androne e l'area di parcheggio"). Tant'e' che il Tribunale menziona la circostanza per cui un'ospite del Gi. (la teste signora Va. ), avendo necessita' di uscire per ragioni di lavoro la sera stessa in cui il Mi. aveva recintato il suo posto macchina e chiuso con un suo lucchetto il cancello per accedere all'area di parcheggio, si e' trovata nell'impossibilita' di riprendere la sua autovettura (donde il rapido intervento del Gi. che ha subito rimosso catena, paletto metallico e lucchetto posto sul cancello di accesso all'area).

Se il Tribunale non a caso ha mandato assolto il Gi. per insussistenza del fatto dal concorrente reato di danneggiamento integrato dalla rimozione del lucchetto dal predetto cancello di accesso al parcheggio, appare evidente l'illogicita' della scissione della sua unitaria condotta autodifensiva per porre termine ad una complessiva e unitaria situazione di concreto impedimento ad esercitare il diritto di fare uso della area condominale comune adibita a parcheggio, modificata dal condomino Mi. . Del pari contraddittorio si rivela il riconoscimento all'imputato dell'attenuante della provocazione per aver egli "reagito al fatto ingiusto del Mi. , il quale aveva autonomamente deciso di delimitare la proprieta' comune con la posa in opera del paletto e della catena" (cosi' la sentenza del Tribunale, p. 6, richiamata sul punto dalla sentenza di appello), ma aveva altresi' deciso - come visto- di chiudere pure il cancello di accesso al parcheggio in precedenza tenuto sempre aperto.

Definito "ingiusto" il comportamento del Mi. , cui ha reagito l'imputato, i giudici di appello hanno del tutto tralasciato di verificare se ed in qual misura quel comportamento del Mi. sia stato legittimo o meno in rapporto all'attuata modifica di una situazione di fatto preesistente e tacitamente accettata da tutti i condomini pur in pendenza di controversia sulla distribuzione degli spazi comuni di rispettivo uso.

Non e' inutile, allora, ribadire che il requisito della "arbitrarieta'" della condotta che determina la punibilita' di una violenza reale ai sensi dell'articolo 392 c.p., non puo' considerarsi presunto per effetto della sola astratta potenziale ricorribilita' al giudice da parte del soggetto che si ritenga vittima dell'altrui indebito contegno lesivo di un suo diritto, ma deve essere apprezzato dal giudice di merito in concreto. Con riferimento, cioe', al controllo della possibile riconducibilita' della condotta dell'imputato ex articolo 392 c.p., - a fronte di una attuale violazione di una sua situazione possessoria - nel quadro di una consentita (eventualmente sussumibile nell'area della difesa legittima di un diritto a norma dell'articolo 52 c.p.) azione "in continenti" di difesa e autoreintegrazione nel pieno esercizio di un proprio diritto secondo una anteatta consolidata situazione di fatto.

Addurre, come assume (per altro soltanto in forma implicita e generica) la Corte di Appello di Roma, che il Gi. avrebbe potuto rivolgersi al giudice per tutelare il proprio diritto di libero accesso al parcheggio condominiale equivale ad eludere il thema decidendum, costituito dall'accertamento del carattere funzionale o meno dell'azione ripristinatoria dell'imputato e della sua possibile giustificabilita' (escludente il reato di cui all'articolo 392 c.p.) rispetto all'esigenza di contrastare prontamente un evento di "spoglio" di un proprio diritto non utilmente tutelabile con il ricorso al giudice.

Al riguardo e' appena il caso di sottolineare che la difesa privata di un proprio diritto di possesso, anche con il ricorso all'uso di una violenza reale, e' consentito a chi subisca un fatto vanificante tale diritto (spoglio), allorche' l'azione reattiva (autodifesa) segua senza soluzione temporale nell'attualita' e nell'immediatezza l'azione lesiva del contraddittore (l'intervento dell'imputato Gi. e' avvenuto poche ore dopo l'intervento del Mi. ), atteso che - in difetto di un'immediata azione di autotutela - il soggetto interessato danneggiato dall'azione di spoglio, puo' proteggere e tutelare la propria posizione di diritto soltanto richiedendo al giudice una non tempestiva tutela possessoria di carattere interinale e cautelare. Di tal che e' necessario verificare se realmente l'azione reattiva dell'imputato rispetto all'azione perturbatrice del condomino Mi. fosse evitabile e davvero consentisse al Gi. di adire il giudice civile a tutela delle proprie ragioni per evitare il prodursi e il protrarsi di una situazione attuale di danno, senza vedere - invece - definitivamente pregiudicata la titolarita' del proprio diritto soggettivo.

La verifica della sussistenza di tali condizioni, suscettibili di ricondurre la condotta dell'imputato nell'ambito della categoria comportamentale sintetizzata nel noto principio del qui continuat non attentat (ovvero del vim vi repellere licei) e - per cio' stesso - discriminarla penalmente, implica un accertamento di una questione di fatto che e' specifico compito del giudice di merito affrontare e analizzare.

Analisi che e' stata negletta dalla Corte di Appello di Roma.

Laonde le ineludibili carenze giustificative della decisione impugnata, fatte palesi dal testo del provvedimento ed attestanti le individuate discrasie e contraddizioni nella descrizione e valutazione delle fonti probatorie apprezzate ai fini della decisione, rendono necessario un nuovo e piu' approfondito giudizio su tali medesime fonti probatorie. Giudizio da compiersi attraverso un piu' penetrante e lineare vaglio delle emergenze processuali fondanti la ritenuta responsabilita' del Gi. , cui il giudice del rinvio procedera' - per gli effetti di cui all'articolo 627 c.p.p., comma 3, e articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 2, colmando le lacune della motivazione dianzi illustrate.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per nuovo giudizio.