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Condominio - Revoca dell'amministratore condominiale

La revoca dell’amministratore a cura di Riccardo Redivo. magistrato in quiescenza. già presidente di sezione della corte di appello di roma - 26 otobre 2018

CONDOMINIO

SUPERCONDOMINIO

LA REVOCA ASSEMBLEARE DELL’AMMINISTRATORE

Sommario

LA REVOCA ASSEMBLEARE DELL’AMMINISTRATORE.

La revoca assembleare dell’amministratore.

Il risarcimento all’amministratore revocato durante il mandato anche senza giusta causa.

Revoca dell’amministratore del supercondominio deliberata direttamente dall’assemblea dei suoi amministratori

LA REVOCA GIUDIZIALE DELL’AMMINISTRATORE.

La revoca giudiziale dell’amministratore. 

Le gravi irregolarità. 

Omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale annuale e ripetuto rifiuto di convocare l’assemblea per la revoca e la nomina del nuovo amministratore nei casi previsti dalla legge. 

Mancata esecuzione di provvedimenti giudiziali o amministrativi, nonché di deliberazioni assembleari 

La mancata apertura ed utilizzazione del conto condominiale. 

L’aver acconsentito per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti dei condomini 

Obbligo di curare diligentemente l’azione e la conseguente esecuzione coattiva ove sia stata promossa un’azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio. 

Inottemperanza agli obblighi di tenuta dei registri condominiali e di fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso (art. 1130, nn. 6,7,9) 

Mancata o inesatta comunicazione dei dati anagrafici e professionali 

Altre ipotesi di irregolarità. 

La revoca assembleare dell’amministratore

Va subito precisato che l’amministratore del condominio può essere revocato in qualunque momento dall’assemblea dei condomini con la maggioranza speciale dell’art. 1136 c.c. (ovvero con il voto della maggioranza degli intervenuti e di almeno la metà del valore dell’edificio), come previsto per la sua nomina.

Tale disposizione s’applica sia per il mandato a titolo gratuito, sia per quello a titolo oneroso. Per quest’ultimo, tuttavia, si pone il problema, essendo pacifico l’inquadramento del legale rappresentante del condominio quale mandatario dello stesso, del diritto o meno dell’amministratore revocato prima della scadenza annuale, al risarcimento danni, previsto per legge ex art. 1725 c.c. nell’ambito appunto del rapporto di mandato.

Detta norma, titolata “revoca del mandato oneroso”, prevede, infatti, che la revoca in questione del predetto mandato conferito per un tempo determinato o per un determinato affare, obbliga il mandante (nella specie, quindi, il condominio) a risarcire i danni “se fatta prima della scadenza del termine o del compimento dell’affare, salvo che non ricorra una giusta causa” (ovvero salva la cosiddetta revoca giustificata).

Inoltre, al secondo comma, l’art. 1725 cit. dispone che “se il mandato è a tempo indeterminato, la revoca obbliga il mandante al risarcimento, qualora non sia stato dato un congruo preavviso, salvo che non ricorra una giusta causa”.

Il risarcimento all’amministratore revocato durante il mandato anche senza giusta causa

 

La giurisprudenza e la dottrina nettamente prevalenti, riconoscono oggi la risarcibilità in questione a favore dell’amministratore revocato prima della scadenza senza giustificazione.

Il predetto risarcimento, peraltro, è stato prevalentemente escluso prima della riforma del 2012 ed anche in parte, anche dopo la sua entrata in vigore (in quanto, se il legislatore avesse riconosciuto il diritto dell’amministratore al risarcimento avrebbe consentito la revoca assembleare solo per giusta causa: così Cass. n.11472/1991).

Tuttavia, correttamente, viene precisato che il danno deve essere individuato nelle indennità perse ed il risarcimento non può che essere limitato, quindi, al lucro cessante e ad un’eventuale perdita di chance.

Per quanto concerne la “giusta causa”, costituente motivo di esenzione per il condominio dal dovere di risarcire eventuali danni all’amministratore revocato, si è ritenuto che questa può rinvenirsi nell’abuso di rappresentanza, nella mancata presentazione del rendiconto annuale, nel versamento delle somme ricevute dai condomini su un conto personale (ipotesi di inammissibile confusione dei patrimoni); nell’incuria e nei ritardi dell’amministratore nel fornire i dati personali; nell’omessa convocazione assemblea straordinaria in ipotesi di urgenze; nel rifiuto ripetuto di indire l’assemblea richiesta dai condomini, ammissibile solo se la richiesta sia assurda o se l’assemblea l’ha già disattesa. Caso diverso, invece, è quello dell’apertura del conto corrente condominiale senza l’autorizzazione dell’assemblea (fattispecie sempre opponibile al condominio e, quindi, non costituente giusta causa).

Il giudice della domanda risarcitoria dovrà, in ogni caso, valutare anche il profilo della gravità in concreto dell’inadempimento dell’amministratore ai sensi dell’art. 1455 c.c., quando questi sia stato revocato per giusta causa al fine di poterne (ed in quali limiti) accogliere la domanda di risarcimento del danno.

Peraltro, molte giuste cause (con elenco non esaustivo) sono state tipizzate dall’art. 1129 c.c. riformato dalla legge n. 220/2012. Tali fattispecie costituiscono la base per considerare la revoca giustificata e, come tale, comportante l’esclusione di ogni risarcimento a carico del condominio che ha licenziato l’amministratore.

Si aggiunga che la revoca è sempre possibile nell’ipotesi di venir meno del rapporto fiduciario tra le parti.

Va ancora sottolineato che la più autorevole dottrina nel settore condominiale (Lazzaro, Di Marzio, Petrolati, Terzago, Celeste, Scarpa) ha anche ipotizzato la possibilità di un’azione surrogatoria dei creditori del condominio, nell’ipotesi di inerzia dell’amministratore di richiedere ai condomini i fondi necessari per il mantenimento stabile del fondo comune.

La stessa nuova normativa, inoltre, esclude espressamente il diritto a compensi (art. 1129, VIII comma c.c.) a favore dell’amministratore revocato, il quale, oltre a dover consegnare la documentazione al nuovo legale rappresentante del condominio, sarà tenuto anche ad “eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni, senza diritto ad ulteriori compensi”.

Tali ultime attività potranno, in ogni caso, essere evitate, quanto meno sotto il profilo temporale, dal soggetto revocato, il quale, ove l’assemblea non vi provveda tempestivamente (o, comunque, in tempi ragionevoli), potrà richiedere all’assemblea, prontamente da lui convocata all’uopo, di provvedere alla nuova nomina, ovvero, se non vi sarà alcun provvedimento in merito da parte di un’inerte assemblea, rivolgersi al Tribunale competente, in sede di volontaria giurisdizione, per ottenere in tempi brevi la nomina del suo successore.

Ancora in tema la giurisprudenza ha ritenuto la legittimità di una revoca tacita dell’amministratore, affermando che “l’assemblea condominiale può ben procedere, in ogni tempo indipendentemente da una giusta causa, alla nomina di un nuovo amministratore, senza avere preventivamente revocato quello uscente, ciò comportando la revoca tacita del mandato conferito a quest’ultimo” (Cass. n. 9082/2014).

Infine, va sottolineato che l’undicesimo comma dell’art. 1129 c.c., oltre a disporre che l’assemblea condominiale può deliberare in ogni tempo la revoca dell’amministratore con la maggioranza prevista per la sua nomina, ha previsto che ciò possa avvenire anche “con le modalità previste dal regolamento del condominio”.

Tale ultimo profilo appare di difficile interpretazione, non essendo chiaro se il regolamento possa così derogare al disposto di cui all’art. 1136 c.c., in quanto la norma è dichiarata inderogabile dal successivo art. 1138 c.c..

Sembra, comunque, logico affermare che la disposizione si attaglia a previsioni regolamentari che non pongono problemi (non comportando un’eccezione al problema della inderogabilità della norma, ma anzi conferendo un’ulteriore garanzia a favore dei condomini) quale, ad esempio, una clausola del regolamento che preveda l’obbligo di preventiva, rispetto alla eventuale richiesta di revoca giudiziale, comunicazione all’assemblea in una riunione appositamente convocata, della volontà e delle relative motivazioni di sostituire l’amministratore in carica al fine di consentirgli (come previsto dalla disciplina per le irregolarità fiscali) di giustificare, prima di adire l’autorità giudiziaria, il comportamento da lui tenuto e contestato da uno o più condomini.

Revoca dell’amministratore del supercondominio deliberata direttamente dall’assemblea dei suoi amministratori

 

In tema, va evidenziata una sentenza del Tribunale di Milano in data 30 agosto 2016, con la quale si è dichiarata nulla per difetto di competenza assembleare, la deliberazione degli amministratori del supercondominio che ne aveva revocato l’amministratore. Ciò in quanto la revoca in questione non rientra tra le attribuzioni previste dall’art. 67, III comma disp. att. c.c. (anche dopo la riforma di cui alla legge n. 220/2012), che si riferisce espressamente solo “alla gestione ordinaria delle parti comuni a più edifici” e “alla nomina dell’amministratore”, così come l’assemblea dei rappresentanti del supercondominio non può nominare un revisore dei conti (art. 1130 bis c.c.).

Il giudicante in particolare ha evidenziato che l’art. 67, III comma disp. att. cc. cit. ha un carattere eccezionale e che la delibera di revoca costituisce un atto di straordinaria amministrazione, per cui non sussistono ragioni per derogare alla partecipazione di tutti i partecipanti a detta delibera.

Parte della dottrina, tuttavia, non condivide la sentenza analizzata, considerato che se l’assemblea dei rappresentanti del supercondominio ha il potere di nominare l’amministratore di tale ente, non può non avere anche quello di revocarlo.

Vietandosi, infatti, all’assemblea dei rappresentanti del supercondominio di revocare l’amministratore del supercondominio in carica, si espropria l’assemblea stessa dell’attribuzione, ad essa spettante per legge dopo la riforma, di nominarne un nuovo legale rappresentante di detto ente.

Si può, quindi, concludere ragionevolmente, dato il carattere fiduciario del rapporto che si instaura tra assemblea nominante ed amministratore nominato, per la necessità di “riservare all’organo collegiale tanto la competenza alla designazione quanto, in forza del principio del contrarius actus, ovvero del principio di normale simmetria tra potere di nomina e potere di revoca”, per la competenza dell’assemblea del supercondominio relativamente alla revoca dell’amministratore del supercondominio in precedenza da essa nominato.

Va ribadito, tra l’altro, in tema che la stessa Suprema Corte in materia ha affermato (sent. n. 9082/2014 cit.) che la nomina di un nuovo amministratore non richiede la previa formale revoca del suo predecessore, poiché l’incarico dà luogo ad un nuovo mandato, precisando, altresì, che ciò comporta la revoca automatica del precedente legale rappresentante, ai sensi del disposto di cui all’art. 1724 c.c..

La revoca giudiziale dell’amministratore

Dopo l’entrata in vigore della legge n. 200/2012, il nuovo art. 1129 c.c., con l’undicesimo comma ha previsto che, su ricorso di ciascun condomino (e, ovviamente anche di più condomini), l’amministratore possa essere revocato dall’autorità giudiziaria, anzitutto nel caso previsto dal successivo art. 1131, IV comma (ipotesi in cui venga convenuto per qualunque azione giudiziaria relativa alle parti comuni dell’edificio ovvero gli siano stati notificati provvedimenti dell’autorità amministrativa attinenti allo stesso oggetto, per cui il legale rappresentante è tenuto a darne notizia senza indugio all’assemblea condominiale, a pena anche di un’eventuale condanna al risarcimento danni ove non abbia adempiuto a detto obbligo). Ciò significa sostanzialmente che in questa ipotesi non deve attendere l’espletamento della convocazione annuale dell’assemblea per effettuare la comunicazione in questione.

Inoltre, la revoca può essere richiesta se l’amministratore non abbia reso per un anno (si ricorda che prima della riforma il termine massimo era biennale) il conto della sua gestione ed, infine, nel’ipotesi delle gravi irregolarità, previste specificamente nel comma successivo.

La norma, molto rilevante sotto il profilo pratico in tema di corretta amministrazione dello stabile condominiale, prevede, ancora, che, in altre due fattispecie (gravi irregolarità fiscali e di mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale, ove debbono affluire tutti gli incassi e le spese effettuate per la gestione) è necessaria, prima di poter adire l’autorità giudiziaria per la revoca, una preventiva richiesta di convocazione dell’assemblea per fare cessare la violazione e revocare direttamente dall’assemblea il mandato all’amministratore.

La nuova disciplina prevede espressamente, infine, che, in caso di accoglimento del ricorso del condomino (o dei condomini), per quanto concerne le spese legali, l’istante ha titolo alla rivalsa nei confronti del condominio, che, a sua volta, può rivalersi nei confronti dell’amministratore revocato.

La Suprema Corte, peraltro, ha specificato in merito che “il condominio non è legittimato passivo nella domanda di risarcimento danni proposta dall’amministratore per la revoca disposta dall’autorità giudiziaria, poiché i condomini che chiedono la revoca esercitano un diritto proprio e non agiscono in virtù di un mandato reciproco esistente tra tutti condomini” (Cass. n. 12636/1995).

Nell’ipotesi di amministratore revocato in via giudiziale, va rilevato ancora che per la prima volta il legislatore (art. 1129, XIII comma, c.c.) ha disposto che, a differenza da quanto ammesso dalla giurisprudenza prima della riforma, non è più consentito all’assemblea di nominarlo nuovamente, mentre la ripetuta nomina è ancora consentita all’assemblea nel corso del procedimento di revoca, ovvero prima che il provvedimento del tribunale sia divenuto definitivo.

In ogni caso, tuttavia, resta ferma l’opportunità, seppure non l’obbligo, prima di agire con il ricorso per la revoca in via giudiziale del legale rappresentante di chiedere, da parte degli interessati, la convocazione di un’apposita assemblea sia per far conoscere a tutti i condomini i motivi che si adducono per la cessazione del rapporto, sia per consentire allo stesso amministratore di difendersi ovvero di spiegare le motivazioni che l’hanno indotto al suo comportamento contestato da uno o più partecipanti al condominio.

La Suprema Corte, infatti, ancora in tempi recenti al riguardo ha affermato che il provvedimento di revoca giudiziale diviene efficace, ai sensi dell’art. 741 c.p.c., “dalla data dell’inutile spirare del termine per il reclamo avverso di esso, per cui gli atti compiuti dall’amministratore prima di detta scadenza, non sono viziati da un’automatica invalidità e continuano ad essere giuridicamente vincolanti nei confronti del condominio” (Cass. n. 454/2017).

Va ancora rilevato che, nell’ipotesi di condotta dell’amministratore condominiale rientrante tra le fattispecie tipiche di cui all’art. 1129 c.c., il giudice è privo di discrezionalità circa la pronuncia di revoca “la quale discende dall’avere il legislatore determinato ex ante, a livello normativo, le conseguenze di una cattiva gestione dell’amministratore” (Trib. Cagliari 2. 2. 2016, nella specie, la revoca era stata disposta, non avendo egli provveduto, tra l’altro, alla convocazione dell’assemblea). Con la stessa sentenza, inoltre, il Tribunale di Cagliari ha anche precisato che nel procedimento di revoca giudiziale s’applica il principio generale dettato in tema di obbligazioni, per cui il condomino ricorrente “è tenuto a provare la sola fonte del suo diritto per ottenere l’esatto adempimento dell’obbligo gestorio da parte dell’amministratore, limitandosi all’allegazione del suo inadempimento, mentre quest’ultimo è onerato della prova del fatto estintivo della pretesa di revoca derivante dall’avvenuto adempimento dei suoi obblighi di gestione”.

Due questioni decisamente rilevanti sotto l’aspetto pratico sono state trattate ancora di giudici di merito in tema di “comportamento inescusabile dell’amministratore” e di “prorogatio” dei poteri dell’amministratore revocato dal Tribunale.

Sotto il primo profilo la Corte d’Appello di Trento, con sentenza del 7 novembre 2014 (in fattispecie di apertura di un foro al di sopra della porta tagliafuoco autonomamente operata dall’amministratore con modalità che abbiano poi determinato la decadenza del certificato prevenzione incendi, nonché di superficialità nella tenuta dei registri condominali e nella comunicazione dei dati personali di cui al II comma dell’art. 1129 c.c.) ha affermato che queste condotte “integrano comportamento inescusabile, atto a determinarne la revoca giudiziale, a nulla rilevando la conoscenza concreta da parte dei condomini dei dati richiesti dalla ultima riforma del condominio”.

Per quanto concerne, poi, la prorogatio dell’amministratore revocato giudizialmente, poi, il g.d.p. di Fermo, con decisione del 30. 9 2015, logicamente condivisibile, si è così espresso “La revoca giudiziale dell’amministratore comporta l’immediata cessazione del mandato esistente tra lo stesso e il condominio, non trovando applicazione in tale ipotesi – contrariamente a quelle di scadenza del mandato, dimissioni o mancato rinnovo dell’incarico – l’istituto della prorogatio dei poteri; di conseguenza, non potendo da quel momento esercitare alcuna attività – sia ordinaria, sia straordinaria – in nome e per conto dei condomini, l’ex amministratore deve considerarsi privo tanto di legittimazione attiva a proporre ricorso per decreto ingiuntivo, quanto di legittimazione passiva a costituirsi nel giudizio di opposizione a tale decreto”.

Tale motivazione va sicuramente ritenuta convincente e valida giuridicamente, pur dovendosi tenere conto che la revoca in questione deve essere definitiva, nel senso che dalla pubblicazione del provvedimento debbono anche essere anche trascorsi i 10 giorni stabiliti per proporre, da parte dell’amministratore revocato dal Tribunale, reclamo alla Corte d’Appello, ovvero che la Corte, ove investita del reclamo, abbia provveduto in senso conforme al Tribunale (non essendo, come si dirà poi in sede di esame del disposto di cui all’art. 64 disp. att. c.c., ammissibile l’impugnazione per cassazione di detto provvedimento del giudice d’appello).

Si può, quindi, passare all’esame delle singole tipiche gravi irregolarità per le quali è prevista espressamente la revoca dell’amministratore in via giudiziale, salvo, come si dirà, il potere del Tribunale investito del ricorso, di valutare in concreto la gravità dell’inadempimento ai sensi dell’art. 1455 c.c..

Le gravi irregolarità

Va premesso, anzitutto, che le gravi irregolarità specificamente individuate dall’art. 1129, XI° comma, nn. da 1 ) ad 8) c.c., costituiscono soltanto esempi tassativi di gravità delle violazioni commesse, essendo, comunque, pacifico che detto elenco non deve considerarsi esaustivo, in quanto la nozione di irregolarità così gravi da comportare la revoca giudiziale dell’amministratore di condominio costituisce una nozione ben più ampia, che comprende ogni comportamento scorretto e professionalmente non diligente, tale da minare il rapporto fiduciario tra il condominio ed il suo mandatario, provocandone una rottura insanabile tra gli stessi (si pensi ad una gestione del tutto anomala, in quanto tesa a influenzare l’assemblea con decisioni favorevoli solo ad alcuni condomini e contrarie agli altri).

In questo paragrafo si tratterà di queste gravi irregolarità specificamente indicate nei nn. da 1) ad 8) dell’XI° comma dell’art. 1129 c.c., mentre successivamente si tratterà delle irregolarità fiscali, di quelle relative ad un comportamento scorretto del mandatario, nonchè di quelle attinenti la mancata presentazione del conto della gestione.

Omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale annuale e ripetuto rifiuto di convocare l’assemblea per la revoca e la nomina del nuovo amministratore nei casi previsti dalla legge.

Va rilevato al riguardo che, ai sensi del riformato art. 1130 n. 10 c.c. il rendiconto annuale della gestione condominiale, di cui al nuovo art. 1130 bis c.c., deve essere approvato dall’assemblea, appositamente convocata all’uopo, entro 180 giorni.

Va precisato al riguardo che, al di là della convocazione dell’assemblea annuale per l’approvazione dei bilanci, non è infrequente che nei condomìni si presentino delle situazioni che esigono ugualmente la convocazione straordinaria in tempi brevissimi dell’assemblea dei condomini per una delibera nel merito: si pensi alla esecuzione di lavori urgenti e straordinari ovvero; alla comunicazione all’assemblea al fine di una delibera di ratifica – in caso di urgenza in generale, e, in particolare, di pericoli per la sicurezza dello stabile – ovvero di lavori necessariamente iniziati subito dall’amministratore; all’ipotesi di opere effettuate (o possibilmente che si stanno effettuando) su parti di proprietà esclusiva, che possono determinare un pregiudizio alla stabilità dell’edificio condominiale o alla sua sicurezza o al decoro architettonico, sulle quali il legale rappresentante deve prontamente ragguagliare i condomini per una pronta decisione nel merito sul da farsi e ad molte analoghe fattispecie.

Va rilevato, peraltro, che in dette ipotesi, ove l’amministratore non abbia provveduto a convocare l’assemblea straordinaria, la convocazione può essere fatta da almeno due condomini, ai sensi dell’art. 66 disp att. c.c., che rappresentino un sesto del valore dell’intero edificio.

Parimenti è prevista la convocazione straordinaria dell’assemblea, anche da parte di un solo condomino, dal’art. 1117 quater c.c. a tutela delle destinazioni d’uso, in caso di attività che incidano negativamente e sostanzialmente su di esse (ciò al fine di far cessare la violazione, anche mediante azioni giudiziarie: in tal caso l’assemblea dovrà deliberare con la maggioranza speciale di cui all’art. 1136, II comma c.c.), nonché nel’ipotesi di richiesta di un’assemblea per deliberare sull’installazione di impianti centralizzati per la ricezione televisiva (art. 1120, II comma c.c.).

Infine, in tema la norma fa riferimento, come grave irregolarità. all’ipotesi di “ripetuto rifiuto dell’amministratore, sollecitato al riguardo, di convocare l’assemblea” (ciò ovviamente non può comportare una revoca del mandatario del condominio nel caso di richiesta palesemente assurda ovvero se l’assemblea si sia già pronunciata sul tema della richiesta).

Mancata esecuzione di provvedimenti giudiziali o amministrativi, nonché di deliberazioni assembleari

 

Le due ipotesi stabilite dal legislatore costituiscono chiaramente gravi irregolarità. Il primo caso è lineare, in quanto la mancata comunicazione ai condomini dell’esistenza di provvedimenti giudiziali o amministrativi concernenti le parti comuni dell’edificio può evidentemente causare notevoli danni ai partecipanti al condominio, quanto meno in relazione al venir meno di una possibile impugnativa tempestiva o ad un’opposizione nel termine di decadenza fissato per detti provvedimenti, tramite un legale di fiducia dell’ente.

 Sul punto, con un’interessante e sicuramente condivisibile decisione in data 22 dicembre 2014, il Tribunale di Udine ha affermato che “in tema di revoca giudiziale, deve ritenersi che non integra una “mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari” ex art. 1129, n. 2.c.c., il comportamento dell’amministratore condominiale che – a fronte dell’intervenuta sospensione giudiziale di delibera assembleare con cui era stata decisa la chiusura dell’impianto di riscaldamento centralizzato – non sia nelle condizioni di dare immediata attuazione all’accensione del riscaldamento centralizzato stesso, attesa la mancanza di denaro per l’acquisto di combustibile per aver l’assemblea – con delibera non impugnata sul punto – eliminato dal bilancio preventivo le voci di spesa relative al riscaldamento”.

Inoltre, deve considerarsi che non è previsto normalmente un termine per dare esecuzione alle delibere per l’amministratore condominiale, ma, bisogna pur sempre al riguardo tenere conto dell’urgenza e dell’importanza di quanto stabilito dall’assemblea, per cui è evidente che, in talune ipotesi, anche un semplice ritardo nell’esecuzione della delibera può costituire una grave irregolarità legittimante la revoca del legale rappresentante del condominio (il chè accade quando l’oggetto della delibera comporta necessariamente un’esecuzione in tempi brevi e, comunque, ragionevoli).

Va, ancora considerata in tema una discutibile decisione della Cassazione penale (Cass. pen., sez. III, n. 42347/2013), ove si è affermato, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro che “non può addebitarsi all’amministratore di condominio la mancata osservanza degli obblighi previsti dall’art. 26, I e II comma d.lgs. n. 81/2008 quando l’appalto dei lavori nel corso dei quali si è verificato l’infortunio sia stato deciso ed assegnato con delibera assembleare alla quale l’amministratore era tenuto a dare esecuzione”.

La decisione lascia qualche dubbio, in quanto, comunque, l’amministratore non è sempre tenuto a dare esecuzione ad ogni delibera dell’assemblea dei condomini, come avviene, ad esempio, se questa sia contraria all’ordine pubblico, al buon costume ovvero a normative imperative concernenti la sicurezza dello stabile condominiale.

La mancata apertura ed utilizzazione del conto condominiale

In questa ipotesi il legislatore si è riportato alla giurisprudenza, costante e pacifica della Suprema Corte e dei giudici di merito in argomento, con la quale si è sempre ritenuta una grave irregolarità, comportante la revoca dell’amministratore condominiale, la omessa apertura del conto corrente, bancario o postale, intestato all’ente da lui amministrato, nel quale fare affluire tutte le somme pagate dai condomini, con detrazione, altresì, di ogni spesa effettuata per la gestione dello stabile.

La regola è particolarmente importante, perché consente, da un lato, di evitare confusioni tra il patrimonio dell’amministratore e quello dei singoli condomini ovvero direttamente tra i patrimoni di questi ultimi (art. 1129 n 4 c.c., con previsione espressa di detta irregolarità direttamente attinente alle modalità di gestione) e, dall’altro, consente ad ogni condomino di conoscere facilmente e in tempi brevissimi la consistenza e la correttezza delle somme contenute nella cassa condominiale.

L’apertura del conto condominiale, peraltro, non richiede alcuna autorizzazione in merito da parte dell’assemblea, come sempre affermato dalla giurisprudenza costante al riguardo.

L’aver acconsentito per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti dei condomini

 

L’ipotesi riguarda il caso di trascrizione di un pignoramento ovvero di iscrizione di un’ipoteca a garanzia di un credito del condominio nei confronti di un condomino o anche di un terzo.

Non si comprende bene il significato pratico della disposizione, in quanto non basta sicuramente una mera dichiarazione dell’amministratore prima della soddisfazione del credito da parte del soggetto debitore per ottenere la cancellazione della formalità da parte del Conservatore dei Registri Immobiliari competente per territorio.

Quest’ultimo, infatti, può procedere alla cancellazione dietro ordine del giudice (di norma), ovvero anche con la copia del verbale assembleare condominiale ove si dichiara e documenta l’avvenuta estinzione del debito sulla base del quale si è trascritto il pignoramento ovvero iscritta l’ipoteca.

Obbligo di curare diligentemente l’azione e la conseguente esecuzione coattiva ove sia stata promossa un’azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio.

 

Al riguardo deve, anzitutto, rilevarsi che l’obbligo dell’amministratore in questione è limitato alla sole azioni promosse dal condominio per la riscossione delle somme ad esso dovute.

Deve, altresì, rilevarsi in tema che l’amministratore condominiale non deve rispondere del modo di operare dell’avvocato ed, inoltre, va sottolineato che, comunque, resta a suo carico l’informativa ai condomini dello stato del giudizio e, principalmente, il suo obbligo di interessarsi del recupero coattivo successivo all’esito positivo del procedimento intrapreso dall’ente.

Inottemperanza agli obblighi di tenuta dei registri condominiali e di fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso (art. 1130, nn. 6,7,9) 

 Sul punto si pone il problema del termine per la tenuta dei registri, poiché questo non è stato fissato dalla nuova normativa di riforma del condominio, dovendosi, peraltro, tenere conto che la disciplina da questa introdotta (con l’istituzione “ex novo” di tre dei quattro registri (essendo quello dei verbali assembleari già esistente) è entrata in vigore soltanto nel 2013..

 In tema di obbligo della tenuta del registro dell’anagrafe condominale va segnalata un’importante decisione del Tribunale di Udine del 22 dicembre 2013, con la quale si è precisato, con una motivazione logica ed ineccepibile, che “non integra motivo di revoca il comportamento dell’amministratore che – a pochi mesi dall’entrata in vigore della riforma che ha introdotto all’art. 1129, comma 12, n 7 c.c. – non ha ancora adempiuto all’obbligo di tenere (ovvero di avere completato in relazione a tutte le unità immobiliari dello stabile) il registro dell’anagrafe condominiale, (senza però stabilire espressamente un termine), ma, comunque, non sia rimasto inerte, essendosi prontamente attivato con una lettera ai condomini per richiedere tutte le informazioni (da inviare attraverso copia della documentazione relativa agli atti di proprietà, da allegare al registro della predetta anagrafe condominiale) necessarie alla tenuta del registro medesimo”.

Mancata o inesatta comunicazione dei dati anagrafici e professionali

 

L’art. 1129, II comma c.c. prevede che l’amministratore condominiale, contestualmente alla nomina e al rinnovo di ogni incarico, deve comunicare i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale o, se si tratta di società, anche la sede legale e la denominazione, il locale dove si trovano i quattro registri condominiali, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta all’amministratore, può prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa , copia da lui firmata.

In tema si è pronunciato il Tribunale di Firenze, con decreto del 15 dicembre 2014, nel quale si è affermato che “la mancata installazione della targhetta identificativa dei dati dell’amministratore di condominio non costituisce grave irregolarità, suscettibile di giustificarne la revoca giudiziale”.

Il provvedimento potrebbe produrre qualche perplessità, poiché il comportamento omissivo in questione potrebbe pur sempre rappresentare una grave irregolarità ai fini di una possibile revoca del legale rappresentante del condominio.

Naturalmente la questione deve valutarsi in concreto dall’interprete, non essendo fissato dalla legge un termine per l’amministratore per provvedere alla detta incombenza posta a suo carico dalla norma, mentre, comunque, il provvedimento del giudice fiorentino riguarda soltanto la mancata affissione della targa nel caso di mancanza, anche provvisoria, dell’amministratore, ove vengono indicate le generalità, i recapiti (anche telefonici) del soggetto che svolge funzioni analoghe a quelle dell’amministratore (art. 1129, V comma c.c.).

In particolare, la grave irregolarità potrebbe essere individuata nell’ipotesi di un richiamo inascoltato da parte di uno o più condomini, potenzialmente sicuramente sufficiente a chiederne la revoca, nel caso di prolungato silenzio in tema da parte dell’amministratore stesso, inutilmente – come detto - sollecitato a provvedere.

Altre ipotesi di irregolarità

 Come si è accennato, le ipotesi contemplate nel XII comma dell’art. 1129 c.c., pur avendo un carattere tassativo, non comportano l’esclusione di ogni discrezionalità del giudice investito del ricorso per la revoca del rappresentante legale del condominio, fatte salve alcune ipotesi in cui la violazione da parte dell’amministratore sia giustificata (si pensi alla mancata esecuzione di una delibera palesemente nulla o alla omessa convocazione dell’assemblea richiesta da un condomino, chiaramente assurda e senza senso, ovvero sulla quale l’assemblea si sia già pronunciata).

In tal senso le irregolarità contestate, non hanno, pertanto, una valenza autonoma, ben potendo il Tribunale valutare la condotta assunta come impropria dal ricorrente esaminando se la stessa costituisca o meno una grave irregolarità nel senso di comportare una forte incidenza negativa sugli interessi dei condomini ovvero una violazione delle regole sul rapporto di mandato, tale da minare il carattere fiduciario che deve necessariamente sussistere tra l’amministratore ed il condominio mandante.

Ancora di recente il Tribunale di Roma, con sentenza del 10 febbraio 2017, ha voluto chiarire in tema che l’istanza di revoca dell’amministratore deve esclusivamente evidenziare al Tribunale condotte che, per essere indici sia di negligenza macroscopica da parte del legale rappresentante, sia di una dannosità potenzialmente significativa, giustificando così un intervento invasivo (in quanto sostitutivo della volontà assembleare) quale quello della rimozione dell’organo gestorio).

Il giudicante, in particolare, nella sua motivazione, aveva rilevato che, nella fattispecie esaminata, l’insieme delle condotte inadempienti dell’amministratore aveva integrato gli estremi di violazioni gravi che avevano reso legittimo il ricorso al tribunale e doverosa la sua rimozione.

In particolare il Tribunale si era riferito ai numerosi pagamenti effettuati dall’amministratore in contanti (che, seppure non vietati in assoluto dalla legge, dovevano comunque, effettuarsi nei limiti dalla stessa disposti e, comunque, essere supportati da documenti giustificativi), rilevando, in particolare, che il Ministero delle Finanze, con parere del 5 febbraio 2014, nel limite massimo (fissato in € 3.000,00), la condizione della tracciabilità deve ritenersi soddisfatta in presenza di una chiara prova documentale, inequivoca ed idonea ad attestare il rapporto sottostante; all’inottemperanza ad un obbligo specifico assunto in assemblea espressamente (grave perchè può far venire meno il rapporto fiduciario posto a base del mandato conferito all’amministratore del condominio) ed alla distruzione da parte di un virus dei registri contabili tenuti in via informatica (infatti in detta ipotesi l’amministratore è tenuto, con la diligenza del bonus paterfamilias, a prevenire eventuali rischi di distruzione, al fine di non esporre il condominio a rischi di perdita di dati essenziali per una corretta e regolare ricostruzione del quadro complessivo della sua gestione, divenendo così irrilevante , anche se provata, l’effettiva distruzione dei dati ad opera del virus, mentre tale accortezza si rileva tanto più necessaria praticamente in quanto, alla luce di quanto disposto dall’art. 1130 bis c.c. introdotto dalla riforma del 2012, l’assemblea è legittimata, in ogni momento, a nominare un revisore dei conti per la verifica, annuale o pluriennale della contabilità condominiale).

La tutela contro la distruzione dei dati contabili tenuti in via informatica, peraltro - va anche osservato - non comporta particolari impegni da parte dell’amministratore, il quale, oltre a dotarsi di un normale antivirus, dovrebbe, in ogni caso, fare la copia di tutti i predetti dati e conservarla.

Tornando al tema delle irregolarità non tipizzate dall’art. 1129, XII comma c.c., va subito rilevato che, con l’entrata in vigore della riforma del condominio di cui alla legge n. 220/2012, sono spariti i “fondati sospetti di gravi irregolarità” di cui alla normativa precedente, essendosi tipizzate, come visto, alcune condotte dell’amministratore che, “tra le altre” costituiscono gravi irregolarità, come si afferma nella norma.

E’ importante sottolineare a questo punto, in ordine alla prova dell’irregolarità grave del comportamento dell’amministratore, che, nelle ipotesi di condotta tipizzata (ovvero degli otto casi specifici previsti dalla legge e sopra esaminati), il condomino ricorrente è esonerato dalla dimostrazione della gravità del comportamento del mandatario gestore dello stabile condominiale, mentre va posta a carico di quest’ultimo la dimostrazione che la sua condotta (sempre nelle ipotesi tassative indicate dalla disposizione di legge) illegittima, imputatagli dal ricorrente non possa ritenersi “grave” e che, in ogni caso sia giustificata in concreto.

La giustificazione della violazione della norma indicante le cause tassative può rinvenirsi, ad esempio, ove sia stata la stessa assemblea ad avallare, con apposita delibera, ma anche senza provvedimento assembleare, il comportamento gestorio irregolare del legale rappresentante del condominio (così Trib. Modena 18 gennaio 2017); nel caso di mancata esecuzione di una delibera assembleare palesemente nulla, in quanto contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, che l’amministratore ovviamente non è tenuto ad eseguire (Trib. Bologna 25 maggio 2006, Trib. Salerno 13. Gennaio 2009); nell’ipotesi di gestione non del tutto abnorme, né atta a recare un danno, anche futuro, ai partecipanti al condominio; quando non esistano prove di una condotta concretamente contraria agli obblighi ed ai doveri imposti dalla legge, con esclusione di ogni automatismo (così Trib. Modena 25 ottobre 2015, con riferimento a fattispecie relativa ad una ritardata presentazione del rendiconto e della relativa convocazione dell’assemblea in ipotesi di indisponibilità non colpevole della documentazione necessaria per l’approvazione dei bilanci).

Dopo la riforma, la gravità della violazione in questi casi deve sempre essere richiesta in relazione alla fattispecie concreta dall’interprete, mentre, come accennato, non sono più sufficienti i “fondati sospetti” di cui nella precedente formulazione dell’art. 1129 c.c., in considerazione soprattutto dei nuovi e numerosi obblighi oggi posti dal legislatore a carico dell’amministratore condominiale.

Va rilevato e ribadito (come già accennato in precedenza), inoltre, come principio generale ormai assodato in dottrina ed in giurisprudenza, che, nei casi non disciplinati specificamente dall’esaminato art. 1129, XII comma c.c., vanno considerati gravi tutti quei comportamenti, anche solamente omissivi, posti in essere dal legale rappresentante del condominio, talmente rilevanti da minare profondamente il rapporto fiduciario tra quest’ultimo e il condominio.

Come può facilmente rilevarsi, gran parte delle irregolarità gravi vanno rinvenute nel mancato, scorretto ovvero errato espletamento delle attribuzioni proprie dell’amministratore condominiale di cui all’art. 1130 c.c..

In questa sede, pertanto, il tema viene esaminato solo sotto il profilo della revoca giudiziale del legale rappresentante del condominio.

La giurisprudenza si è pronunciata al riguardo in rapporto principalmente a tre profili principali, riguardanti: il diritto dei condomini ad accedere alla documentazione condominiale soprattutto contabile; la mancata o tardiva presentazione all’assemblea del rendiconto annuale ed, infine, le connesse modalità di tenuta del conto corrente intestato al condominio.

Sull’accesso alla documentazione conservata dall’amministratore la Suprema Corte si è espressa in tre occasioni: due volte prima ed un’altra successivamente all’entrata in vigore della riforma.

Si è affermato, in particolare, dal giudice di legittimità: che “la violazione del diritto di ciascun condomino di esaminare, a sua richiesta, secondo adeguate modalità di tempo e di luogo, la documentazione attinente ad argomenti posti all’ordine del giorno di una successiva assemblea condominiale, determina l’annullabilità delle delibere successivamente ivi approvate, in quanto riguardante la lesione di detto diritto all’informazione, che incide sul procedimento di formazione delle maggioranze assembleari” (Cass. n. 13350/2003); che “in materia condominiale, il condomino ha senz’altro il diritto di accedere alla documentazione contabile in vista di una consapevole partecipazione all’assemblea condominiale, in quanto a tale diritto corrisponde l’onere dell’amministratore di predisporre un’organizzazione, sia pur minima, che permetta al’esercizio del suddetto diritto, della cui esistenza i condomini vanno informati; pertanto, deve ritenersi che, a fronte della richiesta di un singolo condomino di accedere alla predetta documentazione in funzione appunto della partecipazione informata all’assemblea condominiale, l’onere della prova della inesigibilità della richiesta e della sua incompatibilità con le modalità previamente comunicate incombe sull’amministratore e, perciò, in sede di impugnazione della delibera assembleare, spetta al condominio, ove intenda resistere all’azione del condomino dissenziente” (Cass. n. 19210/2011).

Infine, con provvedimento successivo all’entrata in vigore della legge di riforma del condominio n. 220/2012, che, come detto, ha ampliato notevolmente gli oneri a carico dell’amministratore, legittimando la sua revoca, in caso di inadempienza agli stessi, la Suprema Corte, con ordinanza n. 12579/2017, ha precisato che “in tema di condominio degli edifici, le prescrizioni del regolamento aventi natura solo organizzativa, come quelle che disciplinano la facoltà di accesso ai documenti contabili, possono essere interpretate, ai sensi dell’art. 1362, II comma c.c., anche alla luce della condotta dai comproprietari posteriormente alla relativa approvazione ed anche “per facta concludentia”, in virtù di un comportamento univoco”. Nella specie la Cassazione ha confermato la decisione del giudice di merito impugnata, secondo la quale, a fronte di una clausola del regolamento che imponeva all’amministratore di trasmettere ad ogni condomino , almeno dieci giorni prima della riunione convocata per la relativa approvazione, copia dei preventivi e dei rendiconti, nonché di tenere a disposizione, per lo stesso periodo, documenti e giustificativi di cassa, ne aveva ritenuto legittima l’interpretazione consistente nella necessità di fissazione, nell’avviso di convocazione, di un unico giorno per consentire, previo appuntamento, la visione della contabilità, siccome conforme alla prassi tenuta agli amministratori avvicendatisi nell’ultimo decennio).

Per concludere al riguardo, va precisato che l’amministratore, per evitare di subire le conseguenze di una domanda di revoca dall’incarico, deve tenere presente che può essere considerata una grave irregolarità da parte dell’amministratore, non solo il non aver consentito al condomino richiedente di accedere alla documentazione contabile (sia pure nel rispetto dei termini di ragionevolezza e di accordo con l’interessato sulla data e l’orario di accesso), ma anche il non aver rispettato quanto disposto dal regolamento condominiale contrattuale in ordine alle modalità ed ai tempi dell’accesso predetto.

Due interessanti sentenza di merito, inoltre, vanno evidenziate con riferimento alla revoca dell’amministratore per mancata o ritardata presentazione annuale del rendiconto condominiale:

Il Tribunale di Udine, con sentenza del 25 marzo 2014, ha affermato in tema che “il mancato tempestivo deposito, nel termine di legge, del rendiconto annuale per l’approvazione da parte dell’assemblea, costituisce una grave irregolarità dell’amministratore, comportante la sua automatica revoca”, mentre, ancora più rigidamente, ma pur sempre correttamente, il Tribunale di Taranto, con sentenza in data 21 settembre 2015 ha ritenuto che “integra grave irregolarità – e , di conseguenza, integra comportamento legittimante la revoca giudiziale ex art. 1129 c.c. – la condotta dell’amministratore condominiale che presenti il rendiconto di gestione oltre il termine di centottanta giorni dalla data di chiusura dell’esercizio di riferimento previsto dall’art. 1130, ultimo comma c.c., anche laddove l’assemblea lo abbia approvato”.

Infine, sui temi dell’apertura e della tenuta della contabilità condominiale, appare utile riportare due massime, sia pure antecedenti l’entrata in vigore della riforma del condominio, della Suprema Corte, una della sezione tributaria della Suprema Corte attinente alla contabilità del condominio sotto il profilo fiscale e l’altra alla necessità di apertura del conto corrente intestato all’ente gestito.

Con la prima il giudice di legittimità ha affermato che “la prova liberatoria che consente di superare la presunzione di cui all’art. 51 del d.p.r. n. 633 /1972, e secondo cui le movimentazioni dei conti correnti bancari, legittimano l’accertamento IVA, non può essere meramente generica e cioè relativa all’attività esercitata, ma deve essere, altresì, specifica in relazione ad ogni singola operazione; perciò non è sufficiente che il contribuente adduca la qualità di amministratore di condominio, ma è necessario che fornisca la prova specifica – rectius: analitica – della riferibilità di ogni movimentazione bancaria alla sua attività di maneggio di denaro altrui. Diversamente la rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea documentazione, è configurabile quale corrispettivo non dichiarato.” (Cass. n. 13818/2007).

Con la seconda decisione la Suprema Corte ha, poi, affermato che “rientra nei poteri dell’amministratore condominiale, senza necessità di specifica autorizzazione dell’assemblea, l’apertura di un conto corrente bancario intestato al condominio, su cui fare affluire i contributi versati dai condomini per fare fronte alle spese condominiali, con conseguente opponibilità al condominio in tal caso, di un eventuale scoperto, necessariamente produttivo di interessi passivi” (Cass. n. 7162/2012).