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Area condominiale - Spazio esterno al fabbricato -Cortile -Criteri individuazione - Cassazione , sez. II civile, sentenza 29.10.2003 n. 16241

Condominio -  Area condominiale - Spazio esterno al fabbricato - Cortile -Criteri individuazione - Cassazione , sez. II civile, sentenza 29.10.2003 n. 16241

Civile e procedura - Condominio -   Area condominiale - Spazio esterno al fabbricato -Cortile - Criteri individuazione (Cassazione , sez. II civile, sentenza 29.10.2003 n. 16241)

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d'appello di Roma ha rigettato la domanda (che in prime cure, era stata invece accolta) con cui il condominio del fabbricato sito in tale città, al civico 4 di via Cxxxxxx, aveva rivendicato, nei confronti dell'IACP, successore dell'INCIS (che a suo tempo aveva costruito l'edificio poi diventato condominiale), la proprietà di un'area di circa 1.500 metri quadrati ad esso adiacente, della quale aveva conservato la esclusiva disponibilità e che aveva affittato ad un commerciante.

La Corte territoriale ha escluso che tale area possa essere qualificata condominiale, ai sensi dell'art. 1117 del codice civile, in particolare che possa essere qualificata come cortile, dal momento che non era stata destinata all'uso comune, e per la stessa ragione che possa considerarsi pertinenza dell'edificio.

Il condominio ha chiesto la cassazione di tale sentenza, per quattro motivi, che ha poi illustrato con memoria.

L’IACP ha resistito con controricorso.

Gli eredi di xxxxxx (xxxxxx, xxxxxx, xxxxxx e xxxxxx), xxxxxx e xxxxxx, che hanno partecipato al giudizio di primo grado facendo proprie le tesi e la domanda del condominio, e sono rimasti contumaci in appello, non hanno svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il controricorrente ha eccepito preliminarmente “il difetto di legittimazione attiva del condominio in relazione alla domanda ed al ricorso".

L'eccezione è inammissibile perché generica, non avendo l’IACP esposto le ragioni per cui il condominio non è legittimato a rivendicare, nei confronti di terzi, la proprietà di un bene che sostiene essere condominiale. Non è neppure chiaro se tale tesi il controricorrente ha formulato in via di principio, o con riguardo soltanto al caso di specie, e a cosa abbia voluto far riferimento nel negare la detta legittimazione, se in relazione alla domanda, o al ricorso.

Con il primo ed il secondo motivo del suo ricorso il condominio sostiene che il suolo per cui è causa, adiacente il fabbricato condominiale, è un cortile, e quindi, in virtù di quanto dispone al riguardo l'art. 1117 del codice civile, una parte comune dell'edificio.

Che sia un cortile, sostiene il ricorrente, è conseguenza del fatto che esso "oltre a dare aria e luce agli edifici circostanti, soddisfa altresì l'esigenza dell'accesso alla via pubblica".

Ed essendo una parte comune dell'edificio, non era a suo carico l'onere della prova della sua destinazione ad uso comune, affermato dalla Corte d'appello di Roma, che dal suo inadempimento di tale onere ha fatto conseguire il rigetto della sua domanda.

Il ricorrente denunzia quindi violazione degli art. 1117, 2727 e 2728 del codice civile.

La censura è infondata.

La definizione di cortile, proposta dal ricorrente (spazio esterno che, oltre a dare aria e luce agli edifici circostanti, soddisfa altresì l'esigenza dell'accesso alla via pubblica) è esatta, ed ha riscontro in numerose sentenze di questa Corte, alcune delle quali il ricorrente stesso ha opportunamente e diligentemente citato.

In particolare va puntualizzato che, se è certamente esatto che i cortili hanno la funzione di dare aria e luce agli ambienti dei fabbricati, è altrettanto esatto che l'area adiacente ad un fabbricato, che assolve a tale funzione, non può perciò solo essere qualificata cortile; essendo necessario a tal fine che essa abbia anche la funzione di consentire l'accesso al fabbricato (vedi le sentenze di questa Corte, n. 674 e 6336 del 1982, 10309 del 1991, 9982 del 1996, n. 11283 del 1998).

Correttamente dunque la Corte territoriale, pur definendo impropriamente l'area per cui è causa un cortile, ha escluso che essa rientri tra le parti comuni dell'edificio condominiale, avendo accertato che essa è stata utilizzata sempre, ed in modo esclusivo, da colui al quale l'IACP l'aveva affittata; e dunque che non è stata utilizzata dai condomini dell'edificio per accedere ad esso.

Accertamento che il ricorrente non ha contestato.

Con il terzo motivo del suo ricorso il condominio censura la sentenza impugnata per aver affermato che sono irrilevanti il fatto che negli atti di cessione in proprietà delle singole unità immobiliari agli originari assegnatari è stato previsto anche il trasferimento della proprietà dei cortili e dei locali di uso comune, ed il fatto che nel regolamento condominiale è stato disciplinato l'uso di questi ultimi.

Il ricorrente, che denunzia al riguardo vizi di motivazione, non allega però che il suolo per cui è causa è stato, nei detti atti e regolamento, espressamente e specificamente considerato, ed annoverato tra le parti comuni dell'edificio.

L'affermazione della sentenza impugnata censurata è solo la ovvia conseguenza logica della esclusione della natura di bene comune del suolo rivendicato dal condominio, e la censura è dunque infondata.

Con il quarto motivo del suo ricorso il condominio censura la sentenza impugnata, anche in questo caso denunziando vizi della motivazione, perché, esclusa la destinazione del suolo per cui è causa al servizio del suo edificio, ha per ciò solo escluso che esso sia una sua pertinenza, ignorando che pertinenze sono non soltanto le cose destinate al servizio di altre, ma anche quelle destinate al loro ornamento.

La censura è inammissibile.

Non risulta, dalla sentenza e dal ricorso, che il condominio abbia, nel giudizio di merito, affermato la natura pertinenziale del suolo rivendicato, allegando che esso costituisce un "ornamento" del suo fabbricato; né risulta che sia stata effettuata o sia stata sollecitata, nel giudizio di merito, un'indagine in tal senso.

Le spese seguono la soccombenza.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il ricorso e condanna il condominio dell'edificio sito in Roma, via xxxxxx, a rifondere all'IACP della Provincia di Roma le spese del giudizio di legittimità, che liquida in 1.530,50 euro, di cui 1.500 per onorari, con gli accessori di legge.