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Impianto di riscaldamento centralizzato - Il calore tiepido non autorizza a pagare meno

Condominio -Impianto di riscaldamento centralizzato - Il calore tiepido non autorizza a pagare meno

Condominio - Impianto di riscaldamento centralizzato - Il calore tiepido non autorizza a pagare meno

Cassazione - sezione seconda civile - sentenza 18 giugno-28 agosto 2002, n. 12596
Presidente Baldassarre - relatore Riggio Pm Abbritti - conforme - ricorrente Cond via dei Martinitt 3 Milano
Controricorrente D'Ambrosio

Svolgimento del processo

Con citazione del 22 novembre 1995 Giorgio D'Ambrosio, titolare del Bar Metrò, e Danilo Simetti, titolare della copisteria De Angeli, convenivano dinanzi al tribunale di Milano il condominio di via dei Martinitt 3 di detta città chiedendo l'annullamento della delibera dell'assemblea condominiale del 23 ottobre 1995 con la quale erano state approvate le spese di portierato e manutenzione ordinaria, come da consuntivo 1994-1995 ed il computo degli arretrati 1989-1994, come da prospetto che si assumeva essere stato elaborato a seguito della sentenza del tribunale di Milano del 16 gennaio 1992, poi confermata in appello e dalla Cassazione. Con la medesima citazione il D'Ambrosio chiedeva la condanna del condominio alla restituzione degli importi versati per il riscaldamento, che asseriva essere insufficiente, nonché al conseguente risarcimento dei danni. Entrambi gli attori, in subordine, chiedevano che venisse dichiarato prescritto il diritto del condominio di riscuotere le differenze sulle contribuzioni di spesa dovute anteriormente al 1990.
Il condominio si costituiva rilevando che la ripartizione delle spese di portierato risultava fissata dal regolamento di natura contrattuale, che non poteva essere modificato in assenza di un consenso di tutti i condomini, così come accertato da una recente sentenza intervenuta tra altre parti ma relativa allo stesso fabbricato: quanto alle spese di riscaldamento eccepiva che il singolo condominio non poteva distaccarsi unilateralmente dall'impianto comune e neppure sottrarsi al pagamento pro quota delle spese.
Il tribunale, con sentenza 21 novembre 1997, annullava la deliberazione in questione, condannando il condominio a pagare al D'Ambrosio lire 9.000.000 per risarcimento danni.
Veniva proposta impugnazione da parte del condominio, cui resistevano il D'Ambrosio ed il Simonetti i quali, con appello incidentale, chiedevano che fosse comunque accertata la prescrizione per i contributi anteriori al 1990 ed insistevano nella domanda di annullamento della delibera anche nella parte relativa alla ripartizione delle spese di lite sopportate dal condominio nella causa contro la Banca d'America e d'Italia. Il D'Ambrosio insisteva inoltre per la liquidazione totale del risarcimento del danno da lui subito a causa della insufficiente erogazione del riscaldamento e quindi per la condanna del condominio, oltre che al pagamento delle spese da lui sostenute per installare una centrale termica autonoma, anche al rimborso delle quote da lui inutilmente pagate a far tempo dalla stagione 1991-92.Iinfine entrambi gli appellati impugnavano la compensazione delle spese processuali operata dal primo giudice, stante la sostanziale soccombenza del condominio.
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 21 aprile 1999, rigettava l'impugnazione principale e, in parziale accoglimento di quella incidentale, annullava la delibera condominiale del 23 ottobre 1995 anche nella parte relativa all'addebito delle spese legali relative al giudizio con la banca dichiarando altresì l'intervenuta prescrizione per i contributi anteriori all'ottobre 1990: la rigettava invece per quanto riguardava il risarcimento dei danni a favore del D'Ambrosio ponendo le spese processuali di entrambi i gradi a carico del condominio.
La corte, chiarito che il condominio era diviso in tre corpi di fabbrica, di cui uno appartenente ai soli attori, che vi gestiscono rispettivamente un bar ed una copisteria, uno appartenente alla sola Bai - Banca d'America e d'Italia (ora Deutesche Bank), e l'altro ad oltre cento condomini per uso abitazione, osservava che la sentenza della Cassazione 2158/98 aveva reso definitiva la decisione del tribunale e della corte di appello resa nel giudizio intentato dalla Bai contro il condominio in cui erano intervenuti i due condomini Larivera, la quale aveva ritenuto legittima l'interpretazione del regolamento condominiale contenuta nella delibera impugnata, condannando tuttavia la Bai a rimborsare agli intervenuti le spese processuali. Tale decisione, relativa al riparto delle spese di portierato, trasporto e smaltimento dei rifiuti, sebbene provocata dalla Bai, coinvolgeva tutti i partecipanti al condominio. Tuttavia da tale giudicato non poteva farsi discendere più di quanto non fosse contenuto nella sentenza della Cassazione, che non aveva accertato la nullità della delibera del 26 marzo 1990, né della transazione intervenuta per definire la vertenza tra Bai e condominio, ma si era limitata ad accertare la sua inefficacia nei confronti dei condomini dissenzienti Larivera. Nel presente giudizio si discuteva invece della validità della delibera del 23 ottobre 1995, con cui era stato approvato il prospetto riassuntivo delle spese di portierato con decorrenza dal 1989, nel quale venivano addebitate ai condomini D'Ambrosio e Simetti, nonché alla Bai ed al condominio Gambetti, il 75% delle spese di portierato. Tale delibera non era conforme al regolamento condominiale poiché non prevedeva che dalle spese di portierato fossero espunte quelle di guardiania e pulizia delle parti comuni, che ai sensi dell'articolo 13 del regolamento dovevano seguire un altro criterio di ripartizione: inoltre un accollo del 75% di tali spese agli attori ed agli altri due proprietari del primo corpo di fabbrica non era conforme al regolamento, che indicava una distribuzione del 75% suddivisa in tre millesimi fra tutti i condomini dei tre corpi di fabbrica.
Per quanto riguardava l'appello incidentale, la corte riteneva l'eccezione di prescrizione fondata, poiché il processo svoltosi tra la Bai ed il condominio non aveva interrotto il decorso del termine della prescrizione, non essendo stata formulata in esso alcuna domanda per il pagamento degli arretrati nei confronti dei condomini D'Ambrosio e Simetti, né vi erano stati atti di messa in mora nei loro confronti prima dell'assemblea del 23 ottobre 1995. Pertanto, essendo il periodo prescrizionale di cinque anni, ai sensi dell'articolo 2948 numero 4 Cc tutti i contributi anteriori all'ottobre 1990 dovevano ritenersi prescritti.
In merito al risarcimento dei danni a favore del D'Ambrosio la corte rilevava che il teste Acquaviva aveva confermato l'installazione di un macchinario supplementare nel bar, per integrare l'impianto condominiale, e comunque lo stesso amministratore del condominio, con dichiarazione resa nel corso di un interrogatorio non formale - che sebbene non potesse costituire una confessione comunque valeva a rafforzare la testimonianza - aveva riconosciuto l'esistenza dell'inconveniente. Peraltro, la liquidazione del danno non era avvenuta in via equitativa, come sostenuto dal condominio, ma in proporzione alla spesa affrontata per l'installazione di un condizionatore, almeno in parte resa necessaria dall'esigenza di integrare il calore.
Infine la corte rilevava la fondatezza della domanda degli appellati di annullamento anche di quella parte della delibera della assemblea condominiale relativa alla ripartizione delle spese di lite sopportate dal condominio nella causa contro la Bai, dovendovi ritenere che la dissociazione dei condomini D'Ambrosio e Simetti risultava dalla delibera del 18 gennaio 1990.
Ha chiesto la cassazione di tale sentenza il condominio, in base a quattro motivi di ricorso, cui resistono il D'Ambrosio ed il Simetti con controricorso.
Sono state presentate memorie da entrambe le parti.

Motivi della decisione
Denunziando la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2909 Cc e l'insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza il ricorrente rileva che la corte di appello, dopo avere correttamente affermato che la sentenza resa nel giudizio tra la Bai ed il condominio vincolava anche il D'Ambrosio ed il Simetti, avrebbe poi ravvisato nella sentenza della Cassazione, che aveva definitivamente confermato quella sentenza, un diverso restrittivo giudizio, tanto da ritenere la pronuncia limitata soltanto all'accertamento della inefficacia della delibera condominiale del 26 marzo 1990 (relativa alla transazione adottata per la vertenza Bai - condominio) nei confronti dei condomini dissenzienti. Alfredo e Nicola Larivera, senza dare alcuna spiegazione della mancata disamina dell'intera sentenza di legittimità conclusiva del precedente giudizio. Tale sentenza, invece, nel confermare integralmente la decisione della corte di appello, aveva anche precisato che il servizio di custodia era reso nell'interesse di tutti i condomini, confermando anche la ratio della doppia ripartizione delle spese di portierato, basata sulla interpretazione non solo letterale, ma anche logica del regolamento contrattuale.
Il motivo è infondato.
Il ricorrente censura infatti l'interpretazione data dalla corte di appello della sentenza della Suprema Corte pronunciata nel precedente giudizio promosso dalla Bai contro il condominio in termini assolutamente generici, senza indicare né tanto meno trascrivere i passi della sentenza di legittimità dei quali il giudice di appello avrebbe dovuto trarre le diverse conclusioni che si sostengono con il ricorso, e senza comunque specificare quali sarebbero state le eventuali violazioni delle norme di ermeneutica commesse dal giudice di merito. La sentenza resa in un diverso processo, infatti, allorché venga prodotta in giudizio costituisce un documento la cui interpretazione, al pari di quella di qualsiasi altro documento, è rimessa al giudice di merito, che ha solo l'obbligo del rispetto delle norme di ermeneutica, oltre che di dare contezza del proprio operato interpretativo con adeguata motivazione. La parte che intenda censurare in sede di legittimità tale motivazione non può limitarsi ad indicare quale avrebbe dovuto essere a suo avviso la corretta interpretazione di quel documento, ma deve specificare quali norme di ermeneutica siano state violate dal giudice di merito, ed evidenziare le eventuali carenze o contraddittorietà della motivazione posta a fondamento dell'interpretazione censurata, riportando nel ricorso - per il principio di autosufficienza dello stesso - le parti del documento in relazione alle quali la motivazione della sentenza impugnata risulti errata, insufficiente o contraddittoria.
Orbene, nel caso di specie nulla di tutto ciò è stato fatto dal condominio ricorrente, che si è limitato a denunciare una generica contraddittorietà della motivazione, senza fornire gli elementi necessari alla verifica della fondatezza di tale affermazione.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 2909, 1123, 1130 numero 3, 1362 - 1366 Cc e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, per avere affermato la corte di appello che la delibera del 23 ottobre 1995 non era conforme al regolamento condominiale, non prevedendo che dalle spese di portierato fossero espunte quelle di guardiania e pulizia delle parti comuni, sebbene la delibera in questione avesse fatto riferimento alla sentenza passata in giudicato che imponeva l'applicazione rigorosa delle tabelle, respingendo l'interpretazione del regolamento sostenuta dalla Bai e chiarito che a norma dell'articolo 13 del regolamento le spese del servizio di portierato andavano suddivise tra i condomini dei tre corpi di fabbrica nella misura del 25% con riferimento alle quote millesimali della tabella C, mentre il restante 75% doveva essere suddiviso secondo le quote della tabella D. La corte di appello aveva invece inspiegabilmente espresso la convinzione che il D'Ambrosio ed il Simetti erano gravati, contrariamente al regolamento, per il 75% delle spese suddette.
Neppure tale motivo può trovare accoglimento. In sostanza il condominio ricorrente fa un ulteriore riferimento alla sentenza di questa Suprema Corte pronunciata nel precedente giudizio promosso dalla Bai, sostenendo che la pronunzia della stessa riguardo al regolamento condominiale fosse diversa da quella ritenuta dalla corte di appello con la sentenza impugnata, senza tuttavia fornire neppure sotto tale profilo quegli elementi indispensabili per una adeguata valutazione della censura. Pertanto in proposito vanno richiamate tutte le considerazioni fatte riguardo al motivo precedente. Il ricorrente sostiene poi, nella seconda parte del motivo, che la corte di appello sarebbe incorsa in una erronea lettura delle tabelle millesimali, oltre che dal regolamento condominiale, per quanto riguardava la ripartizione in percentuale delle spese di portierato. Tuttavia tale circostanza, se vera, costituirebbe un tipico errore di fatto, e quindi un vizio revocatorio non rientrante nelle ipotesi in cui è consentito il ricorso per cassazione.
Il ricorrente denunzia poi, con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2948 numero 4 e 1130 Cc per avere la corte di appello ritenuto, ai fini dell'applicazione della prescrizione, che le spese occorrenti per il godimento e la conservazione delle parti comuni dell'edificio condominiale rientrassero nella categoria dei contributi fissi e periodici dovuti da alcune categorie di cittadini ad enti privati od organismi statali o parastatali, senza considerare che invece il condominio non ha poteri impositivi e non è creditore di versamenti e periodici, essendo l'amministratore solo un mandatario addetto alla riscossione di crediti che sono degli stessi condomini.
Anche questo motivo va rigettato, in quanto infondato.
Correttamente, infatti, la corte di appello ha ritenuto che i pagamenti periodici, relativi alle spese fisse per la pulizia ed ordinaria manutenzione del fabbricato condominiale rientrassero tra quelli soggetti alla prescrizione quinquennale di cui all'articolo 2948 Cc a nulla rilevando che l'amministratore si ponga come una sorta di delegato degli stessi condomini per la riscossione di tali quote, poiché il pagamento delle quote suddette costituisce comunque un vero e proprio debito del singolo condominio nei confronti della collettività di tutti i condomini costituente il condominio che, sebbene privo di personalità giuridica, è comunque abilitato a tutelare i diritti comuni, anche contro la volontà di singoli condomini dissenzienti ma minoritari.
Infine con il quarto motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 1218 e 1123 Cc e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, per avere la corte di appello ritenuto che la insufficiente erogazione di calore dell'impianto centrale di riscaldamento costituisse il nesso di causalità tra l'omissione del condominio ed il danno subito dal D'Ambrosio, liquidato in base al criterio della riconducibilità al condominio della spesa affrontata da detto condominio per l'installazione di un condizionatore. In tal modo la corte avrebbe ricondotto la causa del danno ad una inadempienza contrattuale costituita dalla violazione di uno specifico obbligo esistente tra il condominio e l'amministrazione condominiale, pur avendo fatto riferimento al principio giurisprudenziale secondo cui il condomino non può sottrarsi all'obbligo di contribuire alle spese di riscaldamento allegando la insufficiente erogazione di calore.
Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente la corte di appello ha applicato correttamente i principi in materia di riscaldamento centralizzato dell'edificio condominiale e di reciproci obblighi esistenti tra condominio e singoli condomini. È infatti vero che il condominio non può sottrarsi al pagamento delle quote relative al riscaldamento allorché il relativo impianto sia in funzione, adducendo come giustificazione la semplice affermazione dell'insufficienza del calore erogato. Tuttavia ciò non significa che il condomino danneggiato non posa fare valere la lesione del proprio diritto a conseguire una adeguata erogazione di calore derivante proprio dal fatto che al pagamento da parte sua del corrispettivo richiestogli non abbai fatto riscontro l'erogazione della giusta quantità di calore, previo accertamento in via giudiziale (o eventualmente anche stragiudiziale, qualora vi sia un accordo tra le parti) della entità di tale mancata erogazione e liquidazione del relativo danno, che non può non comprendere tutte spese affrontate per mantenere nell'unità condominiale quella temperatura che il regolare funzionamento dell'impianto centralizzato avrebbe dovuto garantire, e quindi sia le spese per altro combustibile o energia elettrica, sia quelle per l'acquisto dei macchinari necessari alla erogazione del calore.
L'infondatezza di tutti i motivi illustrati con il ricorso determina il rigetto dello stesso e la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che si liquidano nella misura indicata nel dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il condominio ricorrente alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 176,00 oltre a euro 1.500,00 per onorari.