Skip to main content

Realizzazione ex novo di una veranda con chiusura, totale o parziale, d’un balcone - Consiglio di Stato Sentenza n. 2272 del 16/03/2021

La realizzazione ex novo di una veranda con chiusura, totale o parziale, d’un balcone, determina un nuovo volume, che va a modificare la sagoma d’ingombro dell'edificio, per cui è necessario il previo rilascio del permesso di costruire. Il discorso non cambia, sol perché il balcone è incassato nella struttura dell’edificio, non è aggettante (sporgente) dal muro perimetrale di esso e viene chiuso nel suo (dapprima aperto) quarto lato, poiché in tal modo viene trasformato da spazio aperto in nuovo locale chiuso (pur se arieggiato, come arieggiate sono pure le altre stanze interne) dell’appartamento. In tal caso, infatti, si ha la trasformazione del balcone in una veranda chiusa (lo stesso sarebbe stato se vi fosse un bow-window, ecc.) in un nuovo locale autonomamente utilizzabile, che viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio e ne cambia l’uso, come se fosse una stanza in più, non prevista, né assentita come tale dall’originario titolo edilizio.

Consiglio di Stato Sentenza n. 2272 del 16/03/2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 5377/2020, proposto da -OMISSIS- tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Francesco Bocchinfuso ed Antonio Torchia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, v.le dei Parioli n. 74, presso l’avv. Saverio Menniti,

contro

il Comune di Crotone, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Maurizia Venezia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza breve del TAR Calabria, sez. II, n. -OMISSIS-/2019, resa tra le parti e concernente l’ordine comunale, ingiunto a ciascun appellante, per la rimessione in pristino del vano veranda dei rispettivi appartamenti siti in Crotone, nei condomini gemelli di -OMISSIS-;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Crotone;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 4 febbraio 2021 il Cons. Silvestro Maria Russo;

Dato atto che l’udienza si svolge ai sensi degli artt. 4, co. 1 del DL 30 aprile 2020 n. 28 e 25 del DL del 28 ottobre 2020 n. 137, in videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams”, come previsto della circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa n. 6305 del 13 marzo 2020;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. – La sig. -OMISSIS- e consorti dichiarano d’esser tutti proprietari di distinte unità immobiliari ad uso abitativo, poste in due edifici gemelli siti in Crotone, -OMISSIS- ed aventi ciascuna di esse un’identica veranda, chiusa per tre lati dai tramezzi interni di tali unità ed aperta sul lato esterno a filo col muro perimetrale dell’edificio, nonché dotata degli allacci ai servizi ed al riscaldamento.

È accaduto che, a seguito di accertamenti di PG effettuati nel mese di febbraio 2019 in relazione ad un procedimento penale pendente innanzi all’AGO, la Polizia Locale di Crotone ha appurato che, presso le unità immobiliari di proprietà della sig. -OMISSIS- e consorti, «… era avvenuta una diversa destinazione d’uso della veranda che allo stato consiste in superficie coperta pari a mq 13 circa, chiusura di una veranda,… mediante la messa in posa di infisso in PVC e vetro, avente dimensioni di mtl 3,50 x 1,50 circa, trasformando la destinazione d’uso della veranda in vano cucina completo di arredi ed utenze…», oltreché in difformità alla SCIA proposta il 21 febbraio 2012 dall’impresa costruttrice dei due fabbricati ai fini del c.d. Piano Casa.

Ebbene, con le distinte ma identiche ordinanze del 22 maggio 2019, il Comune di Crotone ha quindi ingiunto alla sig. -OMISSIS- e consorti la demolizione del vano aggiuntivo ed il ripristino dello stato dei luoghi. La sig. -OMISSIS- e consorti hanno allora proposto altrettante SCIA in sanatoria, ma il Comune, con le ordinanze del 22 agosto 2019, le ha respinte tutte.

2. – Sicché la sig. -OMISSIS- e consorti hanno impugnato tali provvedimenti al TAR Calabria, col ricorso NRG 1474/2019, deducendo: A) – il difetto del presupposto applicativo della sanzione reale, poiché la veranda non è stata una nuova opera e, quindi, un incremento volumetrico con cambio di destinazione d’uso rilevante (illecito in difetto di PDC), essendo invece computabile nell’indice di edificabilità e nel volume complessivo dei due predetti edifici e non avendo determinato tal cambio di destinazione; B) – l’assenza dell’accertato aumento della superficie lorda di pavimento-SLP, ché tal definizione non è prevista né dal Piano Casa (che ne adopera altre per indicare la superficie calpestabile ed utilizzabile delle verande), né dal Regolamento Edilizio Tipo (che parla di superficie utile-SU, ossia la superficie su cui è possibile camminare, utilizzabile per il godimento dell’intero bene, utilizzabile ai fini dell’art. 23-ter, co. 2 del DPR 6 giugno 2001 n. 380; C) – la preesistenza della veranda e l’avvenuta sola sua chiusura, verso l’esterno, non con opere murarie o altre rilevanti trasformazioni (di superfici o volumetriche), bensì solo mediante un infisso in PVC e vetro (la cui installazione è attività edilizia libera o al più soggetta a CILA), allo scopo d’evitare l’accumulo di polveri o d’altro materiale esterno o l’esposizione alle intemperie e per migliorare l’efficientamento energetico e termico dell’edificio; D) – l’omessa applicazione nella specie degli artt. 22 e 37 del DPR 380/2001, avendo il Comune qualificato la chiusura della veranda in violazione della SCIA del 2012, onde tal trasformazione soggiace non alla sanzione reale, ma a quella pecuniaria.

L’adito TAR, con sentenza breve n. -OMISSIS- del 15 ottobre 2019, ha respinto la pretesa attorea, perché la chiusura delle verande d’un appartamento determinano una variazione plano-volumetrica ed architettonica dell’edificio in cui son realizzate e, pertanto, son senza dubbio soggette al preventivo rilascio del permesso di costruire-PDC.

3. – Appellano dunque la sig. -OMISSIS- e consorte, contestando l’impugnata sentenza perché: 1) – nell’unico capo decisivo di essa il TAR fa riferimento a «…verande realizzate sulla balconata di un appartamento…», mentre in realtà il Comune ha sanzionato la chiusura della veranda esistente; 2) – il TAR ha così fondato il suo convincimento su un fatto invero inesistente, mai contestato dal Comune e non emergente dai documenti di causa, donde l’abnormità della decisione; 3) – il TAR non ha colto che l’intervento in contestazione è consistito solo nell’installazione di un semplice infisso in PVC e vetro, di modeste dimensioni e per la chiusura d’uno spazio già esistente e già chiuso su tre lati, tale, perciò, da non incidere in alcun modo sui parametri edilizi rilevanti su cui si fonda l’obbligo normativo del previo rilascio del PDC; 4) – la conseguente inapplicabilità della sanzione demolitoria; 5) – l’ingiustizia della condanna alle spese di lite.

Resiste in giudizio il Comune intimato, concludendo per il rigetto dell’appello.

4. – L’appello è del tutto infondato, a partire dal preteso errore revocatorio che gli appellanti han voluto ravvisare nella citazione, da parte del TAR, d’una massima giurisprudenziale non solo in sé corretta in punto di diritto, ma ben attagliata al caso in esame.

Invero, il TAR precisa che «… le verande realizzate sulla balconata di un appartamento, in quanto determinano una variazione plano-volumetrica ed architettonica dell’immobile nel quale vengono realizzate, sono senza dubbio soggette al preventivo rilascio di permesso di costruire…». Ora, son stati proprio gli appellanti stessi a parlare, descrivendo in fatto il proprio abuso, di «…chiusura del vano mediante l’installazione di un infisso in vetro e PVC nello spazio rimasto aperto sul quarto muro perimetrale, e nel suo utilizzo come cucina…». Si tratta di quello spazio abitabile chiuso completamente su tre lati (dai tramezzi degli altri vani del medesimo appartamento) e in parte anche sul quarto lato (dal muro perimetrale d’affaccio verso l’esterno). Questo “vano” può esser tanto un terrazzo (chiuso su tre lati dalla struttura dell’edificio), quanto una veranda “aperta” sul quarto lato e di veranda si parla nel contratto d’acquisto delle singole, ma di fatto identiche, unità immobiliari attoree. Inoltre dalla planimetria allegata ben s’evince che le verande, poste a filo perimetrale dei due edifici gemelli ed incassate nel loro corpo di fabbrica, erano aperte per dar luce ed aria al locale interno immediatamente retrostante, almeno fin quando, quasi allo stesso momento e profittando dell’esistenza colà degli allacci al riscaldamento ed agli altri servizi, tutti i condòmini hanno chiuso tal affaccio con un infisso in vetro e/o in PVC, trasformandolo in un altro locale dell’appartamento (perlopiù, in una cucina).

Ora, è jus receptum che, specie nel caso di realizzazione ex novo di una veranda con chiusura, totale o parziale, d’un balcone, si determina un nuovo volume, che va a modificare la sagoma d’ingombro dell'edificio, per cui è necessario il previo rilascio del permesso di costruire (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 4 ottobre 2019 n. 6720; id., II, 23 ottobre 2020 n. 6432). Ma il discorso non cambia, sol perché il balcone è incassato nella struttura dell’edificio, non è aggettante (sporgente) dal muro perimetrale di esso e viene chiuso nel suo (dapprima aperto) quarto lato, poiché in tal modo viene trasformato da spazio aperto in nuovo locale chiuso (pur se arieggiato, come arieggiate sono pure le altre stanze interne) dell’appartamento. In tal caso, infatti, si ha la trasformazione del balcone in una veranda chiusa (lo stesso sarebbe stato se vi fosse un bow-window, ecc.) in un nuovo locale autonomamente utilizzabile, che viene ad aggregarsi ad un preesistente organismo edilizio e ne cambia l’uso, come se fosse una stanza in più (arg. ex Cons. St., VI , 9 ottobre 2018 n. 5801), non prevista, né assentita come tale dall’originario titolo edilizio.

La Sezione, da tempo (cfr. Cons. St., VI, 25 gennaio 2017 n. 306), ha precisato che una veranda, nel senso considerato dall'intesa sottoscritta tra il Governo, le Regioni e i Comuni il 20 ottobre 2016 per l'adozione del Regolamento edilizio-tipo di cui all'art. 4, co. 1-sexies del DPR 380/2001, si realizza unicamente su balconi, terrazzi, attici o giardini, ed è tale da determinare l’aumento di cubatura e superfici utili dell'edificio, nonché, com’è accaduto nella specie, una modifica della sagoma o del prospetto (nel caso in esame, di fatto tutti i preesistenti balconi son diventati locali aggiuntivi degli appartamenti a suo tempo autorizzati) e, pertanto, necessita del PDC.

Anche il Comune resistente ha rimarcato, nelle proprie difese, la congruenza di tal illecito stato di fatto con la definizione sul punto rinvenibile nel citato Regolamento edilizio-tipo, secondo cui la veranda consiste nel «… locale o spazio coperto avente le caratteristiche di loggiato, balcone, terrazza o portico, chiuso sui lati da superfici vetrate o con elementi trasparenti e impermeabili, parzialmente o totalmente apribili…».

Sicché l’infisso in vetro e PVC, quindi, è stato installato dai ricorrenti per la definitiva chiusura del “terrazzo” o della “veranda aperta”, ad integrazione del parapetto per trasformarlo in un ambiente proprio della casa (perlopiù, una cucina), grazie agli allacci già colà esistenti. Scolorano così tutte le questioni sulla definizione del vano qual elemento architettonico (veranda o terrazzo) dell’edificio, irrilevante appalesandosi al riguardo la profusione di dati costruttivi o architettonici messi in campo dagli appellanti. Quel che più rileva qui è il più semplice fatto della chiusura di tal terrazzo e della sua definitiva trasformazione in una porzione interna di ciascun appartamento attoreo, grazie ad un infisso non più amovibile, cosa, questa, che per giurisprudenza nota e ferma implica l’incremento plano-volumetrico dell’edificio, sì da soggiacere al regime del PDC.

5. – A fronte di tutto ciò, gli appellanti tentano di minimizzare la vicenda abusiva, riducendola alla sola materiale installazione di tal infisso, quasi fosse una sorta di sostituzione della struttura di una finestra o dell’elemento trasparente di essa.

Per un verso, dimenticano gli appellanti che le loro condotte, da cui è scaturito l’illecito edilizio poi sanzionato dal Comune, devono esse esaminate nel loro complesso e per gli effetti che comportano nel contesto territoriale in cui son commesse. Sicché la pur semplice messa in opera definitiva della chiusura in PVC e vetro non è stata fine a se stessa, ma è servita a realizzare con facilità detto abuso edilizio, determinando una modifica irreversibile e strutturale, con modifica dei prospetti dei due fabbricati e cambio di destinazione d’uso. Anzi, giova precisare che v’è stata creazione d’una nuova superficie (non meramente calpestabile ma) utile ed veramente abitabile, per cui ineludibile sarebbe stata la previa richiesta di PDC e, in difetto di quest’ultimo, doverosa è stata l’irrogata sanzione ripristinatoria.

Per altro verso, corretta è stata pure la reiezione, da parte del Comune, delle istanze attoree di SCIA in sanatoria, poiché l’intervento aveva comportato un incremento volumetrico escluso dall’art. 22 del DPR 380/2001 tra quelli soggetti alla mera SCIA.

Ma, quand’anche gli appellanti, consci della sicura applicazione del regime di PDC al caso in esame, avessero chiesto l’accertamento ex art. 36 del DPR 380/2001, ciò non sarebbe potuto tornare loro utile. Invero, l’intervento così realizzato ha determinato, con la trasformazione della veranda in un vano cucina completo di arredi ed utenze, un incremento di fatto della superficie ai fini abitativi, ma esclusa dal calcolo della SLP prevista nel progetto allegato alla SCIA n. 9048/2012. La ragione è evidente: il soggetto costruttore degli edifici condominiale (la Omissis s.r.l.) aveva proceduto alla demolizione e ricostruzione delle preesistenti strutture con maggiorazione della volumetria del 35%, all’uopo avvalendosi dei benefici recati dal Piano Casa regionale (cosa nota agli appellanti, perché chiarito nei loro atti di compravendita dei loro appartamenti), con consumazione di tutta la cubatura e dell’intera superficie utilizzabile. Rettamente il Comune rammenta ed eccepisce l’impossibilità a priori di riconoscere la “sanatoria” ex art. 36 agli appellanti, in quanto sarebbe mancato il requisito della doppia conformità, già con riferimento al tempo del commesso abuso, avendo la consistenza dei due edifici già all’epoca raggiunto il limite assentibile.

L’infondatezza manifesta della pretesa attorea in primo grado rende equa la liquidazione delle spese di lite, disposta dal TAR, senz’uopo di dover ricorrere alla ferma giurisprudenza di questo Consiglio (cfr., per tutti, Cons. St., III, 21 giugno 2018 n. 3818) per il caso (che qui non ricorre) di abnormità di tal liquidazione.

6. – In definitiva, l’appello va respinto. Tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

Le spese del presente grado, come di regola, seguono la soccombenza e son liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso NRG 5377/2020 in epigrafe), lo respinge.

Condanna gli appellanti, in solido, al pagamento, a favore del Comune resistente e costituito, delle spese del presente grado di giudizio, che sono nel complesso liquidate in € 5.000,00 (Euro cinquemila/00), oltre IVA ed accessori se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità delle parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 4 febbraio 2021