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Uso del bene comune – trasformazione in terrazzo a tasca – corte di cassazione, sez. 2, sentenza n. 2126 del 29 gennaio 2021 -  commento

Tetto -  trasformazione in terrazzo a tasca – illegittimità – remissione in pristino – limiti -   corte di cassazione, sez. 2, sentenza  n.  2126  del 20 gennaio  2021 a cura di Adriana Nicoletti – Avvocato del Foro di Roma – Commento

FATTO. I proprietari di tre aree sottotetto situate in un fabbricato condominiale, da questi trasformate in mansarde, venivano condannati in primo grado a ricostruire per intero le falde del tetto, anche in corrispondenza dei tre terrazzi realizzati, ed a sostituire le tegole utilizzate.

La Corte di appello, per quanto qui rileva, respingeva l’appello principale con le seguenti sostanziali motivazioni: 1) incontestato che il tetto dell’edificio fosse interamente a falde, i condomini, a seguito della ricostruzione dello stesso, ne avevano lasciate scoperte alcune zone che erano state annesse alla loro proprietà esclusiva ed  a vantaggio dei loro sottotetti; 2) la conformazione della copertura era stata, pertanto, modificata provocando una "innovazione del tetto"; 3) gli stessi condomini, seppur obbligati al rifacimento del tetto in corrispondenza dei loro tre terrazzini avrebbero, tuttavia, dovuto munirsi dell'autorizzazione assembleare per trasformare lo stesso nei tre terrazzini, atteso che, in difetto di tale autorizzazione, non soltanto non potevano conseguire il rimborso delle spese sostenute, ma dovevano pure "ricondurre la sagoma del tetto alla sua originaria conformazione"; 4) aderendo alle conclusioni del CTU, la Corte di merito aveva ritenuto antiestetica l'apposizione di "tegole marsigliesi", pregiudizievoli per il decoro architettonico dell'edificio e ne avevano ordinato la sostituzione con altre di tipo diverso e simili a quelle pre-esistenti.

Avverso tale decisione i due condomini ricorrevano in Cassazione, la quale accoglieva parzialmente il ricorso, rinviando il giudizio ad altra sezione della Corte di appello, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

DECISIONE. Per quanto di specifico interesse i ricorrenti denunciavano: 1) la violazione dell’art. 1102 c.c., poiché  ancora prima dell’effettuazione dell’intervento di trasformazione del tetto in mansarda,  la struttura era andata completamente distrutta, con conseguente non operatività della norma. I condomini, inoltre, avendo proceduto direttamente alla ricostruzione parziale del tetto crollato non potevano intendersi obbligati alla ricostruzione integrale dello stesso; 2) la circostanza che la Corte di appello, a fronte della domanda di ripristino del preesistente stato dei luoghi, aveva condannato  gli stessi ricorrenti al rifacimento integrale del tetto e 3) la nullità della sentenza appellata per contrasto tra dispositivo e motivazione.

I giudici di legittimità hanno richiamato l’art. 1128 c.c. confermando il principio di ordine generale secondo il quale «quando l’edificio condominiale sia perito per meno dei tre quarti la mancanza di una delibera assembleare avente ad oggetto la ricostruzione delle parti comuni, ovvero una delibera contraria, non impedisce ai singoli condomini di ricostruire le loro unità immobiliari di proprietà esclusiva parzialmente perite e, conseguentemente, le parti comuni necessarie a ripristinare l'esistenza ed il godimento di esse…., non potendosi negare a chi aveva il diritto di mantenere la sua costruzione sul suolo… il potere di riedificarla ai sensi dell'art 1102 c.c., salvi il rispetto delle caratteristiche statico-tecniche preesistenti, in maniera da non impedire agli altri condomini di usare parimenti delle parti comuni secondo il proprio persistente diritto di condominio, e il divieto di attuare innovazioni, per le quali è indispensabile la delibera assembleare ai sensi degli artt. 1120 e 1136 c.c.» (vedi Cass. 14 settembre 2012, n. 15482).

Nella fattispecie i ricorrenti, nel ristrutturare i sottotetti di loro proprietà e ricostruendo parzialmente il tetto, avevano ricavato i tre terrazzi in corrispondenza dei medesimi sottotetti, realizzando opere edilizie con le quali avevano annesso alla proprietà esclusiva una porzione del tetto. L’intervento, quindi, dava diritto ai restanti condomini di opporsi ad un intervento che aveva ripristinato in modo difforme le precedenti strutture ed aveva, altresì, pregiudicato i rispettivi diritti sulle parti comuni.

In relazione a ciò, ad avviso della Corte di cassazione, i giudici del merito avevano correttamente accertato, da un lato, il mutamento dello stato dei luoghi con riferimento alla modifica effettuata rispetto all’originaria conformazione del bene (il tetto), che si presentava - in corrispondenza dei tre terrazzi a tasca - parzialmente a falde ed in parte piana e, dall’altro,  la lesione del decoro architettonico in quanto per la copertura del tetto era stato utilizzato un materiale diverso da quello originario.

Tale intervento, consistente nella parziale ricostruzione del tetto,  è riconducibile non alla nozione di innovazione ex art. 1120 c.c. ma a quello di modificazione ex art. 1102 c.c., che consente l’uso del bene comune da parte del condomino nei limiti sanciti dalla stessa norma, la cui finalità è quella di ripristinare il bene illegittimamente alterato.

Detto questo, tuttavia, la condanna giudiziale dei ricorrenti doveva consistere unicamente nella eliminazione della situazione che aveva generato l’illecito utilizzo del bene comune e nel ripristino della situazione quo ante.  Risultato, questo, che poteva essere raggiunto anche con l’esecuzione di un quid novi, ma solo se effettuato nell’ottica della realizzazione di un rifacimento idoneo ad un ripristino che tenesse conto dell’utilità originaria della res.

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