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Appropriazione indebita aggravata – contratto di vendita con riserva di proprieta' le cui rate non erano state pagate alle scadenze pattuite

- Appropriazione indebita aggravata – contratto di vendita con riserva di proprieta' le cui rate non erano state pagate alle scadenze pattuite - "nell'ipotesi di un contratto di vendita con patto di riservato dominio ex articolo 1523 c.c., ove l'acquirente, pur non adempiendo al contratto perche' non paga le rate pattuite, si appropri della merce di cui ha il possesso non restituendola al legittimo proprietario, e' configurabile il solo reato di appropriazione indebita non essendo configurabile la contestazione dell'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 11. Il suddetto contratto, infatti, non presenta quelle caratteristiche tipiche dei contratti che hanno ad oggetto un servizio (e, quindi, un facere) e che presuppongono un rapporto di fiducia fra le parti contraenti, unica tipologia contrattuale per la quale e' configurabile l'aggravante in questione". (Corte di Cassazione Sezione 2 Penale Sentenza del 19 febbraio 2010, n. 6947)

Appropriazione indebita aggravata - contratto di vendita con riserva di proprieta' le cui rate non erano state pagate alle scadenze pattuite - "nell'ipotesi di un contratto di vendita con patto di riservato dominio ex articolo 1523 c.c., ove l'acquirente, pur non adempiendo al contratto perche' non paga le rate pattuite, si appropri della merce di cui ha il possesso non restituendola al legittimo proprietario, e' configurabile il solo reato di appropriazione indebita non essendo configurabile la contestazione dell'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 11. Il suddetto contratto, infatti, non presenta quelle caratteristiche tipiche dei contratti che hanno ad oggetto un servizio (e, quindi, un facere) e che presuppongono un rapporto di fiducia fra le parti contraenti, unica tipologia contrattuale per la quale e' configurabile l'aggravante in questione". (Corte di Cassazione Sezione 2 Penale Sentenza del 19 febbraio 2010, n. 6947)


Corte di Cassazione Sezione 2 Penale Sentenza del 19 febbraio 2010, n. 6947

FATTO

1. Con sentenza del 15/02/2008, la Corte di Appello di Firenze confermava la sentenza pronunciata dal Tribunale di Arezzo in data 27/10/2005 nella parte in cui aveva ritenuto DO. An. responsabile del delitto di appropriazione indebita aggravata ex articolo 61 c.p., n. 11 di macchinari di proprieta' di De. Fu. Al. e di cui aveva il possesso in virtu' di un contratto di vendita con riserva di proprieta' le cui rate non aveva pagato alle scadenze pattuite.

2. Avverso la suddetta sentenza, l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi:

1. VIOLAZIONE dell'ARTICOLO 61 C.P., n. 11 per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto la sussistenza della suddetta aggravante che, in considerazione dei fatti cosi' come contestati, al contrario, non avrebbe potuto essere contestata;

2. VIOLAZIONE dell'ARTICOLO 646 C.P., per non avere la Corte territoriale considerato che, ai fini della valutazione dell'elemento soggettivo del reato, la consegna a terzi per le riparazioni (come avvenuto nel caso di specie) non equivaleva ad un atto di disposizione, difettando la volonta' di appropriarsi del bene altrui;

3. MOTIVAZIONE CONTRADDITTORIA per non avere la Corte considerato, ai fini della decisione, la deposizione del teste Ba. il quale aveva riconosciuto di avere avuto tutti i macchinari di cui al capo di imputazione anche se poi aveva consegnato al B. solo uno di essi, non ricordando se li avesse portati dal suddetto B. o se erano rimasti nel suo deposito.

DIRITTO

3. VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 61 C.P., n. 11 (motivo sub 1): la censura deve ritenersi fondata per le ragioni di seguito indicate. In punto di fatto, e' pacifico che la parte offesa ( De. Fu. Al. ) vendette al Do. alcuni macchinari con la clausola di riservato dominio e che il ricorrente non li restitui' nonostante non avesse pagato le rate pattuite.

La Corte territoriale, avanti alla quale la stessa doglianza era stata proposta, l'ha respinta con la seguente motivazione: "Secondo il costante orientamento della Corte Suprema l'aggravante in parola e' costituita dalla circostanza dell'abuso di prestazione d'opera che si manifesta ogni qualvolta sussista un rapporto giuridico, a carattere anche saltuario o temporaneo, che consenta ad uno dei soggetti di detto rapporto di commettere il reato in condizioni di maggiore possibilita' o facilita' approfittando della particolare fiducia in lui riposta. Il Do. ha disposto uti dominus di merce che non gli sarebbe stata consegnata dalla sua dante causa se non in forza di un contratto che gli consentiva la disponibilita' dei beni e che gli furono dati avendo la De. Fu. riposto in lui la fiducia propria di chi si predispone alla conclusione in buona fede di rapporti giuridici". La decisione della Corte territoriale deve ritenersi errata essendo stata la giurisprudenza di questa Corte fraintesa e, quindi, male applicata. L'aggravante dell'articolo 61 c.p., n. 11, nelle sue diverse articolazioni (abuso di autorita' - di relazioni domestiche - di relazioni d'ufficio - di prestazioni di opera - di coabitazione o di ospitalita') trova la sua ratio nell'abuso di fiducia, ossia una situazione che agevola la commissione del reato e che, appunto, costituisce il minimo comun denominatore di tutte le ipotesi previste come aggravanti. Per quanto, poi, riguarda, in particolare l'abuso di prestazione d'opera, e' del tutto pacifico che il concetto in questione non coincide con quello della locazione d'opera, avendo una latitudine ben piu' ampia di quella desumibile dalla nozione civilistica. Se, pero', e' vero che la giurisprudenza ha esteso il concetto di prestazione d'opera non facendolo coincidere con quello civilistico, e', pero', indiscusso che l'ambito di operativita' del medesimo va esteso solamente a quelle situazioni che si risolvono, pur sempre, in una prestazione di servizio, alla cui base vi sia un rapporto di fiducia. E' in questa ottica, infatti, che la giurisprudenza di questa Corte, ha sempre ritenuto che, affinche' possa essere riconosciuta la sussistenza dell'aggravante in esame, occorre che l'agente abbia conseguito il possesso del bene (di cui poi si e' appropriato) in virtu' di un qualsiasi rapporto giuridico (anche di mero fatto) avente ad oggetto un servizio improntato ad un rapporto di fiducia che agevoli la commissione del reato: ex plurimis Cass. 23/6/1984 in una fattispecie di mandato a vendere; Cass. 5257/2006 in relazione ad appropriazione indebita di somme di danaro realizzata dal conduttore di un immobile locatogli dalla parte offesa; Cass. 24997/2001 Riv 219460 in relazione ad un contratto di mediazione; Cass. 38498/2008 Riv 241463 in relazione ad un procacciatore di affari.

Al contrario, e' stato ritenuto che l'aggravante non e' configurabile nell'ipotesi di appropriazione indebita di un bene detenuto in locazione finanziaria proprio perche' nel leasing non e' ravvisabile l'esistenza di un obbligo di "facere", implicante un rapporto di fiducia che agevoli la commissione del reato: oggetto del negozio e' infatti l'utilizzazione del bene concesso verso un canone, e l'obbligo dell'accipiens di conservarlo in buono stato in vista della futura restituzione costituisce una prestazione del tutto accessoria che non puo' caratterizzare o modificare l'essenza del contratto: Cass. 123 67/1994 Riv 199976.

Orbene, nel caso di specie, e' del tutto evidente che il contratto di vendita con patto di riservato dominio, non e' che un normale rapporto giuridico che non presenta quelle caratteristiche tipiche dei contratti che hanno ad oggetto un servizio (e, quindi, un facere) e che presuppongono un rapporto di fiducia fra le parti contraenti. L'unica peculiarita' del suddetto contratto, rispetto ad una normale vendita, e' costituita, infatti, dal patto di riservato dominio in forza del quale, ove l'acquirente non paga le rate pattuite, il bene dev'essere restituito. Ma, tale clausola non trasforma di certo il contratto in uno avente ad oggetto un facere, atteso che l'acquirente consegue il possesso in virtu' della causa vendendi e non certo perche' il venditore nutre fiducia in lui (la fiducia, se vi e' stata, risale a monte ossia nella fase della trattativa come, d'altra parte, avviene per tutti i contratti che si stipulano proprio perche' fra le parti vi e' reciproca fiducia). La censura, pertanto, va accolta, dovendosi enunciare il seguente principio di diritto: "nell'ipotesi di un contratto di vendita con patto di riservato dominio ex articolo 1523 c.c., ove l'acquirente, pur non adempiendo al contratto perche' non paga le rate pattuite, si appropri della merce di cui ha il possesso non restituendola al legittimo proprietario, e' configurabile il solo reato di appropriazione indebita non essendo configurabile la contestazione dell'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 11. Il suddetto contratto, infatti, non presenta quelle caratteristiche tipiche dei contratti che hanno ad oggetto un servizio (e, quindi, un facere) e che presuppongono un rapporto di fiducia fra le parti contraenti, unica tipologia contrattuale per la quale e' configurabile l'aggravante in questione".

Peraltro, l'accoglimento della doglianza non comporta alcun effetto favorevole sul trattamento sanzionatorio perche', in primo grado, al ricorrente e' stata concessa l'attenuante di cui all'articolo 62 bis c.p. come se fosse prevalente sull'aggravante contestata di cui all'articolo 61 c.p., n. 11.

4. INSUSSISTENZA DEL REATO DI APPROPRIAZIONE INDEBITA (motivi sub 2-3): con i suddetti motivi, il ricorrente introduce elementi di fatto tendenti a dimostrare che il reato non sarebbe configurabile. Sennonche' si deve replicare che la Corte territoriale ha avuto ben chiaro il quadro probatorio ed ha confutato la tesi difensiva osservando che "il fatto che i beni siano stati affidati a terzi per la riparazione o altro (anche a voler per inconcessum dar credito per ipotesi al Do. ) cio' non autorizzava in alcun modo l'appellante a disinteressarsi della loro destinazione. Essendo il prefato indiscutibilmente detentore di quegli specifici beni, per conto di altri, egli avrebbe dovuto: o riconsegnarli alla De. Fu. (riparati o meno dal B. o da altri) o pagarli definitivamente per diventarne proprietario. Il non aver svolto invece, da semplice detentore, l'opportuno controllo sui beni ancorche' consegnati al Ba. per una fantomatica valutazione e/o riparazione - il quale tuttavia ha negato addirittura di averli ricevuti con esclusione del montapanna, avversando cosi' in radice la tesi difensiva dell'appellante - e' equivalso a disporne uti dominus realizzando pertanto quell'interversione del possesso che integra il reato di appropriazione indebita".

La suddetta motivazione deve ritenersi corretta in via di stretto di diritto e, comunque logica, congrua ed aderente ai dati fattuali evidenziati: il che rende inammissibile la censura dedotta dal ricorrente fondata, sostanzialmente, su una inammissibile rivalutazione degli elementi fattuali gia' presi in esame, in modo corretto e, quindi, incensurabile, dalla Corte territoriale.

P.Q.M.

ESCLUSA

L'aggravante di cui all'articolo 61 c.p., n. 11

RIGETTA

il ricorso nel resto.