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Azione di disconoscimento della paternita' - Prova con test genetici

Azione di disconoscimento della paternita' - Prova con test genetici

Azione di disconoscimento della paternità - Prova con test genetici (Corte Suprema di Cassazione, Sentenza n. 10742 del 5 giugno 2004)

Ritenuto:

che con atto di citazione notificato il 6-14 luglio 1998 S. T. proponeva dinanzi al Tribunale di Roma domanda di disconoscimento della paternità di M. T. B., nata il 19 luglio 1997;

che la domanda era respinta dal Tribunale con sentenza depositata il 26 settembre 2000;

che la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 2-25 ottobre 2002 rigettava l'impugnazione proposta dal T., osservando, tra l'altro:

che la prova per testi dedotta era stata rettamente reputata dal Tribunale inidonea a dimostrare che la moglie avesse commesso adulterio nel periodo del concepimento;

che l'esistenza di relazioni in altri tempi non poteva fornire la prova per presunzioni dell'adulterio in quel periodo, nemmeno ai fini dell'espletamento della c.t. ematologica, gravando sull'attore l'onere della prova certa di un vero e proprio adulterio nel suddetto periodo;

che non potevano condividersi i prospettati dubbi di incostituzionalità dell'art. 235 c.c.;

'che avverso la sentenza d'appello il T. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati con memoria;

che A. G. ed il curatore della minore hanno resistito con distinti controricorsi;

che con il primo mezzo d'impugnazione il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 235, comma primo, n. 3 c.c., dell'art. 2697 c.c., degli artt. 2727 2729 c.c., degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, sostenendo:

che era illogica l'affermazione della sentenza secondo cui non sarebbe bastata la prova di una semplice relazione della donna, occorrendo invece un vero e proprio adulterio, tale da procurare il concepimento;

che la prova articolata fin dal primo grado tendeva a dimostrare una pluralità di incontri notturni della G. in camere d'albergo, estendentisi da prima del matrimonio al periodo del matrimonio ed ancora a dopo la nascita del figlio e che dai fatti dedotti nei capitoli di prova sarebbe stata desumibile, per presunzione, l'esistenza di adulterio nel periodo del concepimento;

che, inoltre, rispetto alla pretesa di disconoscimento fondata sul celamento della nascita circostanza che pure avrebbe abilitato ex se all'effettuazione delle prove ematicogenetiche si era registrata una omessa pronuncia, nonostante i capitoli di prova e le deduzioni formulati al riguardo;

che con il secondo motivo il ricorrente prospetta una questione di costituzionalità, in riferimento agli artt. 3, 24 e 30 Cost., dell'art. 235, comma primo, C.c.;

che la controricorrente ha eccepito l'inammissibilità e l'improcedibilità del ricorso per mancata formulazione delle conclusioni, in quanto la richiesta di rinvio ad altra Corte d'appello per un nuovo esame non integrerebbe il requisito della specificità della domanda ex art. 99 c.p.c. e ss., impedendo a posteriori la pronuncia di cui all'art. 112 c.p.c.;

Considerato:

che l'eccezione della ricorrente non è fondata, atteso che il ricorrente ha concluso, in via principale, affinché la Corte, in accoglimento del primo motivo del ricorso, annulli con rinvio l'impugnata sentenza, e che tali conclusioni sono logicamente collegate al contenuto delle censure rivolte contro la decisione di secondo grado, confermativa del rigetto della domanda di disconoscimento della paternità;

che nemmeno il primo motivo di ricorso appare fondato per le seguenti ragioni:

la Corte d'appello ha ritenuto che la prova testimoniale a conferma delle indagini eseguita da un'agenzia investigativa secondo cui la G. aveva lavorato per conto di una società come "accompagnatrice per professionisti" soggiornando in camere di albergo con uomini diversi dal T. il 19.7, il 27.7, il 29.10 ed il 30.10 dell'anno 1994, nonché il 24.1, il 3.3., il 7.8. ed il 23.11 dell'anno 1995, oltre che il 30.3. e dal 23 al 26 dicembre dell'anno 1997 era stata rettamente reputata dal Tribunale inidonea a dimostrare che la G. avesse commesso adulterio durante il periodo del concepimento (settembre, ottobre, novembre e dicembre 1996);

a giudizio del Collegio la censura formulata dal ricorrente contro la suddetta affermazione non riguarda un punto decisivo della controversia, atteso che, ai sensi dell' art. 235, comma primo, n. 3 c.c.,l' azione per il disconoscimento è consentita quando l'adulterio è stato commesso nel periodo del concepimento, con la conseguenza che la relativa prova deve riguardare quel periodo (in tal senso, vedi anche Cass. 7 settembre 1984 n. 4783), mentre le circostanze oggetto della prova testimoniale richiesta nella specie riguardavano periodi diversi;

la Corte territoriale ha pure escluso che tali circostanze potessero essere utilizzate per provare "per presunzioni" che l'adulterio avesse avuto luogo anche nel periodo del concepimento e siffatta valutazione riguardando un apprezzamento di fatto esente da vizi di illogicità sfugge al sindacato di legittimità di questa Corte;

quanto al vizio di omessa pronuncia riguardante il punto del celamento della nascita e della relativa richiesta di prova, va rilevato che la Corte d'appello nella motivazione collega espressamente la lamentela del T. in ordine alla mancata ammissione delle prove testimoniali non solo al profilo dell'adulterio, ma anche a quello del celamento al marito della nascita del figlio, sicché deve ritenersi che il giudice di merito non abbia omesso di prendere in considerazione tale aspetto, ma abbia considerato irrilevante la prova relativa, tenuto conto della prospettazione dei fatti da parte dell'appellante che sin dal primo grado di giudizio aveva sostenuto che la G. aveva rifiutato di comunicare al marito il nosocomio in cui avrebbe partorito e del tenore dei capitoli di prova dedotti (dal testo dei quali, riportato nel ricorso per cassazione, si ricavano circostanze non decisive ai fini della prova del celamento della nascita del figlio, atteso che, secondo il T. egli avrebbe concordato con la moglie che il bambino sarebbe nato presso il Policlinico "Gemelli", mentre la sera prima della nascita del bambino la G., senza comunicare la sua intenzione al marito, si era fatta ricoverare all'ospedale "Fatebenefratelli" dove aveva partorito);

che non risultando il ricorso accoglibile per il primo motivo, è necessario procedere all'esame del secondo, con cui il ricorrente prospetta una questione di costituzionalità, in riferimento agli artt. 3, 29 e 30 Cost., dell'art. 235, comma primo, c.c. nella parte in cui consente l'azione di disconoscimento della paternità nei soli limitati .casi ivi previsti e nel contempo ammette il marito a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o di gruppo sanguigno incompatibili con le proprie soltanto nell'ipotesi in cui provi che la moglie ha commesso adulterio o abbia celato la gravidanza e la nascita del figlio;

che, secondo il ricorrente:-- ) l'assetto normativo in questione è stato delineato negli anni '40 del secolo scorso, quando le risultanze della prova biologica erano meramente probabilistiche ed appariva necessario per porre un freno a giudizi di disconoscimento con scopi meramente esplorativi, mentre la coscienza sociale è ora, invece, sempre più incline, anche per effetto del carattere assolutamente probante raggiunto dall'indagine genetico ematica, a riconoscere rilevanza al dato sostanziale (favor veritatis) rispetto al favor legitimitatis; --) la piena parificazione della posizione di figli legittimi e naturali è stata realizzata dall'art. 30 Cost. e dalla legge del 1975, che ha disposto che la prova della paternità e della maternità naturale può essere data con ogni mezzo (art. 269, comma secondo, c.c.), ed analoga possibilità è prevista in tema di impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del figlio naturale (art. 263 c.c.);il favor veritatis, e cioè la sollecitudine per l'interesse sia del genitore che del figlio di conoscere la realtà dei rapporti di sangue, e quindi della propria origine, costituisce, secondo il ricorrente, un valore assoluto del soggetto, che se può essere limitato nel tempo, allo scopo di non turbare all'infinito i ritmi della famiglia legittima, non può ammettere limitazioni di prova, pena la violazione degli artt. 3 e 24 Cost., oltre che delle disposizioni riguardanti la filiazione legittima o naturale (artt. 29 e 30 Cost.);

che, a giudizio del Collegio, la questione di costituzionalità è rilevante in quanto il T. si duole del fatto che la c.t.u. ematologica da lui richiesta non sia stata espletata perché non ritenuta ammissibile da parte del giudice di merito per integrare la prova carente dell'adulterio della moglie:

che, a seguito della nuova formulazione dell'art. 235, dopo la riforma del diritto di famiglia, le prove ematologiche e genetiche non solo hanno dignità probatoria pari a tutte le fonti di convincimento , ma possono formare oggetto di richiesta di prova, come gli altri mezzi istruttori, e non soltanto di istanza di retta a sollecitare l'esercizio di un potere proprio del giudice (Cass. 21 aprile 1983 n. 2736);

che l'esclusione della c.t.u. da parte della Corte d'appello di Roma è stata basata su una corretta interpretazione dell'art. 235 n. 3 c.c. ed è coerente con la giurisprudenza di questa Corte;

che nelle cause di disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio, la consulenza tecnica di ufficio non può essere utilizzata per conseguire attraverso indagini genetiche ed ematologiche la prova dell'adulterio della moglie, atteso che l'art. 235, comma primo, n. 3 c.c. (nel testo introdotto dalla legge n. 151 del 1975 sulla riforma del diritto di famiglia) stabilisce che l'adulterio costituisce una delle ipotesi in cui l'azione di disconoscimento è consentita e che "in tal caso" il marito è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre;

che è quindi chiaro che l'indagine sul verificarsi dell'adulterio ha carattere preliminare rispetto a quella sulla sussistenza o meno del rapporto procreativo (Cass. 20 febbraio 1992 n. 2113, Cass. 22 ottobre 2002 n. 14887; cfr. pure Cass. 15 ottobre 1994 n. 8420, secondo cui la prova dell'adulterio pur essendo fortemente indicativa della fondatezza dell'azione, non è mai di per sé sufficiente per l'accoglimento della domanda di disconoscimento, il quale resta subordinato alla dimostrazione di altri fatti o circostanze inconciliabili con la paternità, quali le caratteristiche genetiche o ematologiche);

che la prova genetica o ematologia, anche se espletata contemporaneamente alla prova dell'adulterio, può essere esaminata solo subordinatamente al raggiungimento di quest'ultima prova ed al diverso fine di stabilire il fondamento del merito della domanda (Cass. 17 agosto 1998 n. 8087, Cass. 23 gennaio 1984 n. 541);

che tale interpretazione trova conferma nei lavori parlamentari per la riforma del diritto di famiglia del 1975, ove non venne accolto un emendamento (presentato dal Sen. C.) diretto ad introdurre un'autonoma previsione della prova ematologica da inserire in un punto 4 dell'articolo citato;

che, in conclusione, in base all'art. 235 n. 3 c.c., il motivo di ricorso dovrebbe essere rigettato;

che la questione di costituzionalità di tale norma, oltre che rilevante, appare sotto alcuni profili non manifestamente infondata;

che questa Corte ha sottolineato che, pur a fronte di un accentuato favore per una conformità dello status alla realtà della procreazione chiaramente espresso nel progressivo ampliamento in sede legislativa delle ipotesi di accertamento della verità biologica il favor veritatis non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque, atteso che l'art. 30 Cost. non ha attribuito un valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella legale, ma nel disporre al comma 4 che "la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità" ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, nonché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest'ultima, così affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell'interesse del minore (Cass. 30 gennaio 2001 n. 1264);

che lo stesso comma 3 del citato art. 30, nello stabilire che la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima, costituisce espressione della tutela preferenziale attribuita dalla Costituzione alla famiglia come società naturale fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.);

che in tale quadro la questione di costituzionalità prospettata dal ricorrente con riferimento all'art. 30 Cost. appare manifestamente infondata, atteso che è del tutto coerente con i principi costituzionali la possibilità che il legislatore ordinario preveda limitazioni nei confronti dell'azione di disconoscimento della paternità del figlio concepito durante il matrimonio con riferimento sia ai casi in cui l'azione può essere esercitata sia ai tempi della medesima;

che pure manifestamente infondata appare la questione di costituzionalità dell'art. 235 n. 3, in relazione all'art. 3 Cost., sotto il profilo della lamentata ingiustificata disparità di disciplina rispetto all'impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del figlio naturale ex art. 263 c.c. che consente all'attore di utilizzare qualsiasi mezzo di prova ed anche la sola prova ematologica in quanto si tratta di una situazione oggettivamente diversa da quella in esame e nella quale non si pongono esigenze di tutela del figlio legittimo; che, invece, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 235 n. 3 c.c. non appare al Collegio manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., con riferimento al principio di ragionevolezza ed al diritto di difesa; che l'esercizio del diritto di difesa non può compiutamente realizzarsi se non è reso possibile l'accertamento dei fatti su cui si fondano le ragioni sottoposte al giudice e non è consentito fornire la prova dei fatti stessi (Corte Cost. n. 55 del 1971); che norme che rendano estremamente difficile l'esercizio del diritto di difesa possono comportare violazione del precetto costituzionale dell'art. 24 (Corte Cost. n. 568 del 1989, n. 63 del 1977 e n. 55 del 1971);

che la valutazione della difficoltà di esercizio del diritto di difesa, pur se va effettuata in termini generali, prescindendo dalle peculiarità riscontrabili in casi particolari, non può tuttavia trascurare del tutto la considerazione della realtà sociale; che non sembra possa dubitarsi dei profondi cambiamenti intervenuti nella società italiana nei modelli di vita ed anche nella sfera dei costumi sessuali, divenuti notevolmente più liberi; che tali cambiamenti coinvolgono anche i rapporti coniugali i essendo la famiglia una entità che vive nell'ambito della società; che la diffusione del lavoro femminile ha fatto uscire un gran numero di donne dai confini di una vita prevalentemente svolta nell'ambito della casa coniugale e di luoghi ad essa prossimi o comunque collegati alle relazioni familiari; che il moltiplicarsi dei tipi e delle forme di lavoro, la mobilità richiesta ai lavoratori e la lontananza dei luoghi di lavoro porta spesso entrambi i coniugi a doversi allontanare dalla casa coniugale per l'intera giornata od anche per più giorni;

che è pure divenuto un costume piuttosto diffuso che i coniugi trascorrano separatamente parte del loro tempo libero ed anche periodi di vacanza;

che l'adulterio della moglie può consistere anche in un unico atto di infedeltà sessuale, conseguenza di un rapporto di natura occasionale;

che nell'attuale realtà sociale la prova dell'adulterio della moglie nel periodo del concepimento può costituire per il marito una circostanza la cui dimostrazione è di fatto impossibile o estremamente difficile in un gran numero di casi (come lo sarebbe la dimostrazione di un singolo atto di infedeltà sessuale del marito);

che, d'altra parte, è dubbio che possa considerarsi ancora ragionevole una previsione legislativa che, a fini del disconoscimento della paternità, richiede la previa prova dell'adulterio della moglie, in presenza di un progresso scientifico che consente di ottenere direttamente (e quindi senza passare attraverso la dimostrazione dell'adulterio) una sicura esclusione della paternità che rappresenta l'obiettivo finale dell'azione in questione attraverso accertamenti tecnici capaci di fornire risultati la cui piena attendibilità è unanimemente riconosciuta;

che l'adulterio in sé, inteso come violazione dell'obbligo della fedeltà nei confronti del coniuge, è irrilevante ai fini del disconoscimento di paternità, che coinvolge altri valori ed interessi;

che una possibile diversa interpretazione, costituzionalmente orientata, dell'art. 235 n. 3 che considerasse indirettamente raggiunta la prova dell'adulterio attraverso l'esclusione della paternità a seguito dei risultati della prova genetica o ematolo già sembra preclusa dalla volontà del legislatore, chiaramente desumibile dai lavori parlamentari sopra a menzionati, di non consentire il disconoscimento della paternità sulla base dei risultati del solo accertamento tecnico;

che, non apparendo al Collegio la questione di legittimità costituzionale dell'art. 235 n. 3 c.c. nella parte in cui subordina la prova genetica o ematologica alla prova dell'adulterio della moglie manifestamente infondata in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., sotto il profilo della limitazione del diritto di difesa e della ragionevolezza di tale limitazione, deve procedersi alla sospensione del giudizio ed alla rimessione degli atti alla Corte Costituzionale;

PER QUESTI MOTIVI

visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87;

dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 235, primo comma, n. 3 c.c., nella parte in cui ammette il marito a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre, se nel periodo del concepimento la moglie ha commesso adulterio, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.;

sospende il giudizio;

trasmette gli atti alla Corte Costituzionale;

dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alle parti;

dispone che l'ordinanza sia comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati.