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Divorzio -Assegno - Decorrenza dalla domanda anzichè dalla decisione

Divorzio -Assegno - Decorrenza dalla domanda anzichè dalla decisione

Divorzio - Assegno - Decorrenza dalla domanda anzichè dalla decisione (Corte di Cassazione Sezione I civile Sentenza 25 giugno 2004, n. 11863 )

Corte di Cassazione Sezione I civile Sentenza 25 giugno 2004, n. 11863

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 16.4/14.7.1999, il Tribunale di Roma, che con precedente decisione n. 2647 del 1996, resa su domanda avanzata da (....) a mezzo ricorso depositato il 27.1.1995, aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il (....) dallo stesso (....) e da (....) impartiva i seguenti, consequenziali provvedimenti:

a) affidava la figlia minore (....) alla madre, cui veniva altresì assegnata la casa familiare;

b) determinava in lire 5.000.000 mensili, a decorrere dalla domanda (22.3.1995), l'assegno di divorzio in favore della (omissis) c) determinava in lire 1.000.000 mensili, con identica decorrenza, l'assegno dovuto a quest'ultima dal (omissis) a titolo di contributo al mantenimento di ciascuno dei tre figli.

Avverso la sentenza anzidetta, proponeva appello il (omissis) medesimo, chiedendone l'annullamento e/o la riforma integrale quanto, in particolare, agli assegni in parola ed alla loro decorrenza.

Resisteva nel grado l'appellata, la quale contestava i motivi del gravame chiedendo, in via incidentale, che l'assegno di divorzio venisse elevato a lire 10.000.000 mensili e che quello per i tre figli fosse analogamente innalzato a lire 5.000.000 mensili.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 19.7/12.10.2001, in parziale riforma della pronuncia impugnata, determinava in lire 6.000.000 mensili l'assegno di divorzio a favore della (omissis) ed in lire 2.000.000 mensili il contributo di mantenimento, a carico del (omissis) per la sola figlia minore, fissando per ambedue gli emolumenti l'identica decorrenza del 1^.7.2000, mentre revocava l'obbligo del (omissis) medesimo di contribuire al mantenimento degli altri due figli maggiorenni, divenuti economicamente autosufficienti.

Assumeva detto Giudice:

a) che le ammissioni del (omissis) non si conciliassero con il reddito in precedenza dichiarato dallo stesso, nè, tanto meno, con le sue più recenti dichiarazioni fiscali;

b) che, d'altra parte, il consulente tecnico avesse stabilito che la capacità reddituale minima del (omissis) ammontava a circa 200/240milioni di lire annue, laddove quella della (omissis) poteva essere valutata in lire 12.000.000 annue;

c) che lo stesso (omissis) avesse negli ultimi anni alienato diversi immobili, tra i quali un appartamento a (omissis) (destinato al soggiorno estivo della famiglia), ricavandone certamente un rilevante corrispettivo;

d) che, quanto alle potenzialità economiche della (omissis) quest'ultima, la quale risultava (sulla base della documentazione fiscale dalla stessa prodotta) avere percepito nel 1999 il reddito mensile netto (detratto l'assegno dell'ex coniuge) di circa lire 700.000 e che godeva in via esclusiva della casa familiare, il 15 settembre del medesimo anno fosse stata assunta come "farmacista collaboratrice" (part-time), con uno stipendio mensile lordo di poco più di lire 1.500.000;

e) che fosse perciò rilevante il divario reddituale tra le parti, tale da legittimare la corresponsione da parte del (omissis) le cui condizioni di salute non gli impedivano di continuare a lavorare, di un assegno di divorzio, in funzione di riequilibrio, alla (omissis) la quale aveva certamente subito un notevole deterioramento del proprio tenore di vita in conseguenza del fallimento del matrimonio;

f) che il contributo di mantenimento, a carico del padre, per la figlia minore dovesse essere correlato alle capacità economiche del (omissis) ed alle attuali esigenze di vita della giovane.

Avverso tale sentenza, ricorre per Cassazione lo stesso (omissis) deducendo un solo, complesso motivo di gravame, illustrato da memoria, cui resiste con controricorso la (omissis) la quale, a propria volta, spiega ricorso incidentale condizionato ugualmente affidato ad un solo motivo, del pari illustrando l'uno e l'altro con memoria.

Motivi della decisione

Deve, innanzi tutto, essere ordinata la riunione di entrambi i ricorsi, relativi ad altrettante impugnazioni separatamente proposte contro la stessa sentenza. Con l'unico motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente principale violazione e falsa applicazione dei principi vigenti in tema di attribuzione e determinazione dell'assegno di divorzio (art. 5 della legge n. 898 del 1970, come modificato dalla legge n. 74 del 1987, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.), violazione e falsa applicazione dei principi vigenti in tema di valutazione delle prove ( artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c.), omessa pronuncia (in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c.), nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c.), assumendo:

a) che la Corte territoriale ha omesso qualsiasi indagine sugli elementi che incidono sulla quantificazione dell'assegno di divorzio e che, una volta provato l'an debeatur, operano come fattore di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto, potendo, perciò, anche azzerare il diritto all'assegno medesimo, soprattutto quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione;

b) che la stessa Corte non ha affatto considerato che, nella specie, non era certo configurabile, rispetto alla (omissis) quella condizione di mancanza di mezzi adeguati che costituisce l'indefettibile presupposto per il riconoscimento dell'assegno di divorzio, avendo in particolare il giudice di merito fatto riferimento ad un presunto tenore di vita familiare che non risultava provato in alcun modo;

c) che, sempre in relazione all'accertamento dei criteri per il riconoscimento (e l'eventuale quantificazione) dell'assegno di divorzio, la Corte territoriale si è basata, in maniera apodittica, su elementi lontani nel tempo e completamente superati dalla realtà esistente all'epoca della decisione, onde nessun valore decisivo potevano assumere le dichiarazioni rilasciate dal (omissis) all'udienza presidenziale (del 22.3.1995) e nell'interrogatorio libero (del 21.5.1996), come pure gli esiti della consulenza tecnica di ufficio espletata in primo grado e destinata all'accertamento della situazione economico-patrimoniale del (omissis) stesso, con il preciso limite temporale, peraltro, del 31.12.1996;

d) che assurda, illogica e pressochè inesistente si palesa, poi, la motivazione della sentenza impugnata per quanto segnatamente attiene alle dichiarazioni dei redditi del (omissis) ed alle sue condizioni di salute, senza che, del resto, sia stata tratta alcuna conseguenza, sul piano degli effetti di natura economica, vuoi dall'accertamento (successivo all'instaurazione del giudizio di appello) dell'attività lavorativa svolta dalla (omissis) vuoi dall'assegnazione a quest'ultima della casa familiare;

e) che la Corte di merito, con un ragionamento palesemente assurdo, non solo ha attribuito illegittimamente efficacia retroattiva all'aumento dei due assegni posti a carico del (omissis) ma ha altresì negato lo stesso trattamento al venir meno dell'emolumento relativo ai due figli già indipendenti sul piano economico.

Il motivo, ancorchè ammissibile, non è fondato.

Sotto il primo profilo, infatti, deve essere disattesa la pregiudiziale eccezione, di segno contrario, sollevata dalla controricorrente sulla base dell'assunto secondo cui il ricorrente principale tenta in realtà di sollecitare un riesame del merito, del tutto inibito in questa sede, da parte della Suprema Corte, tali risolvendosi ad essere tutte le censure svolte ex adverso, ad onta, evidentemente, della veste che ad esse viene data in termini di rilievi di legittimità.

Al riguardo, basterà notare come le deduzioni del medesimo ricorrente, indipendentemente (come è palese) dalla loro fondatezza, appaiano pur sempre riconducibili, sotto le specie in particolare del vizio di motivazione suscettibile di venire denunziato per Cassazione, ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., con riferimento all'esame di un punto decisivo della controversia, alla prospettazione dell'omessa, insufficiente e contraddittoria considerazione, da parte del giudice di merito, dei "dati obiettivi emergenti dagli atti di causa", onde questa Corte, nella specie, si palesa in realtà chiamata, piuttosto che a compiere una nuova, inammissibile valutazione degli elementi di fatto analizzati da detto giudice (secondo quanto lamentato dalla controricorrente), ad apprezzare invece esattamente l'adeguatezza e la correttezza di una simile analisi.

Tanto premesso, per quanto specificatamente attiene alle censure (il cui esame verrà compiuto sulla base di un "riordino" delle stesse secondo un criterio di pregiudizialità logico-giuridica) poste a fondamento del motivo in oggetto, si osserva innanzi tutto in punto di diritto:

1) che l'accertamento del diritto all'assegno di divorzio, da compiersi sulla base del disposto dell'art. 5 della legge 1^ dicembre1970, n. 898, come modificato dall'art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio, laddove, nella seconda fase, detto giudice è tenuto a procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l'inadeguatezza di tali mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell'assegno, addivenendo alla determinazione in concreto della misura di questo in ragione della valutazione ponderata e bilaterale,con riguardo al momento della pronuncia di divorzio, dei criteri indicati nello stesso art. 5 (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), i quali agiscono, quindi, come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto così da potere, in ipotesi estreme, valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con simili elementi di quantificazione (Cass. 19 marzo 2003, n. 4040);

2) che, tuttavìa, sotto il primo profilo, per quanto, cioè, attiene all'an debeatur, del tutto correttamente il giudice di merito investito della domanda di attribuzione dell'assegno di divorzio procede a verificare, sulla base degli elementi acquisiti, lasussistenza nel richiedente del requisito della mancanza di mezzi adeguati alla conservazione del tenore di vita precedente, implicitamente affermando siffatta inadeguatezza attraverso l'apprezzamento di un rilevante divario di entrate patrimoniali (Cass. 28 gennaio 2000, n. 961), nel senso esattamente che, se per un verso il richiedente stesso ha l'onere di fornire la dimostrazione della fascia socio-economica di appartenenza della coppia all'epoca della convivenza e del relativo tenore di vita adottato in costanza di matrimonio, nonchè la situazione economica attuale, ovvero esistente al momento della domanda, per altro verso il giudice può tener conto della situazione reddituale della famiglia al momento della cessazione della convivenza quale elemento induttivo da cui desumere, in via presuntiva, il tenore di vita anzidetto e può, in particolare, in mancanza di prova da parte del richiedente medesimo, fare riferimento, quale parametro di valutazione del pregresso stiledi vita, alla documentazione attestante i redditi dell'onerato (Cass. 5 agosto 1997, n. 7199; Cass. 24 maggio 2001, n. 7068);

3) che, inoltre, sotto il secondo profilo, con riguardo, cioè, alla quantificazione dell'assegno in parola, deve escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice che ne dia adeguata giustificazione, di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dal legislatore per la determinazione dell'importo spettante all'ex coniuge, anche in relazione alle deduzioni e alle richieste delle parti, salva restando la valutazione della loro influenza sulla misura dell'assegno stesso (Cass. 15 gennaio 1998, n. 317; Cass. 7 maggio 1998, n. 4617; Cass. 3 ottobre 2000, n. 13068);

4) che l'assegno di divorzio, trovando la propria fonte nel nuovo status delle parti, rispetto al quale la pronuncia del giudice ha efficacia costitutiva, decorre dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale, laddove, però, a tale principio ha introdotto un temperamento l'art. 4, comma decimo, della già citata legge n. 898 del 1970, così come sostituito dall'art. 8 della parimenti richiamata legge n. 74 del 1987, conferendo al giudice il potere di disporre, in relazione alle circostanze del caso concreto ed anche in assenza di specifica richiesta, la decorrenza dello stesso assegno dalla data della domanda, senza peraltro escludere che, ove le condizioni per l'attribuzione siano maturate in un momento successivo, la decorrenza dell'assegno possa essere fissata a partire da tal momento, ferma restando la necessità, in una siffatta ipotesi, che il giudice motivi adeguatamente la propria decisione (Cass. 6 marzo 2003, n.3351);

5) che la sentenza di divorzio, mentre ha importanza costitutiva (come si è accennato) rispetto all'assegno che uno degli ex coniugi debba all'altro per le esigenze proprie di quest'ultimo, salvo il temperamento sopra indicato, è irrilevante rispetto all'obbligo di mantenere i figli, nel senso che i doveri ed i diritti dei genitori verso questi ultimi, impregiudicate le modifiche conseguenti ai provvedimenti relativi al loro affidamento, non subiscono alcun'alterazione sostanziale, rimanendo in particolare identico, sia prima sia dopo la pronuncia del divorzio, l'obbligo di entrambi i genitori medesimi di contribuire, in proporzione alle loro capacità, all'assistenza, all'educazione ed al mantenimento della prole, onde, se in sede di giudizio di divorzio uno dei coniugi abbia richiesto un assegno di mantenimento per i figli o l'adeguamento di esso, la domanda, se ritenuta fondata, deve essere accolta, in mancanza di espresse limitazioni, dalla data stessa della sua proposizione, ovvero dalla data dei fatti che ne impongono il riequilibrio, se successivi (Cass. 29 marzo 1994, n. 3050; Cass. 15 gennaio 1998, n. 317);

6) che il diritto del coniuge divorziato (o separato) ad ottenere, iure proprio, dall'altro coniuge un contributo al mantenimento del figlio maggiorenne con esso convivente e che non sia ancora in grado di procurarsi autonomi mezzi di sostentamento, è ontologicamente destinato, fino all'eventuale esclusione o affievolimento che può derivare solo dal giudicato, ad assicurare simili mezzi al beneficiario, onde gli effetti della decisione che escluda il diritto al mantenimento anzidetto, ovvero ne riduca la misura, non possono comportare la ripetibilità delle somme (o delle maggiori somme) percepite, sino al formarsi del giudicato stesso, dal coniuge, il quale non è tenuto al relativo accantonamento in previsione dell'eventuale revoca o riduzione dell'assegno corrispondente, che ne sia stato riconosciuto titolare in forza di provvedimenti non definitivi, senza che, per converso, l'esclusione o la diminuzione dell'assegno medesimo sia del resto suscettibile di comportare l'ultrattività di simili provvedimenti, così da legittimare l'esecuzione coattiva per l'assegno (o la sua parte) non pagato, non potendosi agire in executivis sulla base di un presupposto divenuto insussistente (Cass. 23 aprile 1998, n. 4198; Cass. 5 ottobre 1999, n. 11029; Cass. 9 settembre 2002, n. 13060; Cass. 10 ottobre 2003, n. 15164).

Ciò posto, vale notare come la Corte territoriale:

a) abbia espressamente riconosciuto "il rilevante divario reddituale tra le parti che legittima la corresponsione, da parte del (omissis) (di cui sono state apprezzate, in particolare, le "elevate potenzialità economiche"), alla (omissis) (la quale ha certamente subito un notevole deterioramento del proprio tenore di vita in conseguenza del fallimento del matrimonio) di un assegno divorzile in funzione riequilibratrice";

b) abbia segnatamente considerato, senza che il ricorrente principale abbia peraltro specificato "quali" degli indicati elementi di cui all'art. 5 della legge n. 898 del 1970 siano stati trascurati, le condizioni economiche di ambo le parti e quelle di salute del (omissis) c) abbia, riguardo alla posizione reddituale e patrimoniale di quest'ultimo, ponderatamente apprezzato non soltanto le ammissioni rese dall'interessato sia in sede di udienza presidenziale (il 22.3.1995) sia in sede di interrogatorio libero (il 21.5.1996), onde tali ammissioni (e le censure ad esse relative) non appaionominimamente decisive costituendo soltanto "uno" degli elementi complessivamente considerati dal giudice di merito, ma altresì le dichiarazioni fiscali dello stesso (omissis) anteriori (alle ammissioni anzidette) e più recenti (inerenti, cioè, agli anni 1998,1999 e 2000), la relazione del consulente tecnico "depositata il 2.3.1998" (a fronte della quale l'odierno ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non ha minimamente specificato nè da quali elementi sia desumibile "il preciso limite temporale ... del 31 dicembre 1996", nè quale sia stato il tenore delle "precise e puntuali critiche mosse alla C.T.U. dalla difesa e dal consulente di parte del (omissis)") e, infine, l'incensurata circostanza secondo la quale "il (omissis) negli ultimi anni ha alienato diversi immobili tra i quali un appartamento a (omissis)(destinato al soggiorno estivo della famiglia) ricavandone certamente un rilevante corrispettivo";

d) abbia, riguardo alle suindicate condizioni di salute del (omissis) ritenuto che esse "non impediscono (all'appellante) di continuare a lavorare", laddove un simile apprezzamento si palesa, per la sua stessa natura fattuale, insuscettibile di venire censurato in sede di legittimità quando, come nella specie, le doglianze del ricorrente non contengano riferimento alcuno ad elementi probatori di segno contrario, desumibili dagli atti di causa, la cui mancata considerazione venga denunziata sotto le specie del vizio di motivazione, ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., su un punto decisivo della controversia;

e) abbia, riguardo all'attività lavorativa svolta dalla (omissis)(assunta il 15.9.1999 come farmacista collaboratrice part-time con uno stipendio mensile lordo di L. 1.586.803) ed ai benefici economici derivanti a quest'ultima dall'assegnazione ("in esclusiva") della casa coniugale, puntualmente valutato (alla pagina 9 dell'impugnata sentenza) tali elementi, senza, tuttavia, che questi ultimi siano stati riconosciuti da detto giudice idonei ad inficiare, "a fronte delle elevate potenzialità economiche del (omissis)", "il rilevante divario reddituale tra le parti";

f) abbia del tutto correttamente (senza che, del resto, il ricorrente principale abbia neppure prospettato, in questa sede, una diversa decorrenza da attribuire all'aumento dei due assegni posti a carico del (omissis)) fissato la decorrenza "dall'1^.7.2000" tanto per l'assegno di divorzio quanto per il contributo al mantenimento dellafiglia (omissis) (così come rispettivamente aumentati a lire 6.000.000 mensili ed a lire 2.000.000 mensili), non statuendo analogamente riguardo alla disposta "revoca (dell')obbligo del (omissis) di contribuire al mantenimento dei figli (omissis) e (omissis) divenuti economicamente autosufficienti".

Pertanto, il ricorso principale deve essere rigettato, restando così assorbito quello incidentale condizionato, espressamente proposto in via subordinata, ovvero per il caso in cui "le censure avversarie si ritenessero in qualche modo fondate".

La sorte delle spese del giudizio di Cassazione segue il disposto dell'art. 385, primo comma, c.p.c., evidentemente applicabile nei soli riguardi del ricorrente principale, dal momento che non è intervenuta statuizione alcuna circa il ricorso incidentale, liquidandosi dette spese in euro 3.500,00 per onorario ed euro 100,00 per esborsi, oltre il rimborso delle spese generali (nella misura forfetaria del dieci per cento sopra l'importo dell'onorario stesso) e gli accessori (IVA e Cassa Previdenza Avvocati) dovuti per legge.

Deve, infine, ai sensi del secondo comma dell'art. 89 c.p.c., il quale risulta applicabile anche in sede di legittimità (Cass. 29 marzo 1999, n. 3032; Cass. 21 luglio 2001, n. 9946; Cass. 27 febbraio 2003, n. 2954), essere disposta la cancellazione delle espressioni, contenute sotto la pagina 14 del ricorso principale, che recitano "subdola e quasi beffarda" (alla prima riga) nonchè "il frutto di un deliberato e preordinato intendimento di giungere comunque ad" (alle righe sesta e settima), atteso che siffatte espressioni,letteralmente riferite alla "conclusione" del giudizio a quo, si palesano in definitiva sconvenienti, se non addirittura offensive, nei confronti dello stesso giudice, eccedendo così i limiti della corretta e decorosa manifestazione di dissenso verso la sentenza impugnata ed integrando, quindi, pur nel quadro di un rapporto con la materia controversa, un abuso del diritto di difesa riconosciuto alla parte (Cass. 3032/1999, cit.).

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale, condanna il ricorrente principale al rimborso in favore della controricorrente delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in euro 3.500,00 per onorario ed euro 100,00 per esborsi, oltre il rimborso delle spese generali e gli accessori dovuti per legge, dispone la cancellazione delle espressioni sconvenienti nei sensi di cui in motivazione.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2003.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2004.