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Investimento pedone -  danno patrimoniale da morte anche per i figli maggiorenni

Responsabilita' automobilistica - Investimento pedone -  danno patrimoniale da morte anche per i figli maggiorenni -  risarcimento del danno biologico e morale “iure hereditario”

Responsabilità automobilistica - Investimento pedone -  danno patrimoniale da morte anche per i figli maggiorenni -   risarcimento del danno biologico e morale “iure hereditario” (Cassazione – Sezione terza civile – sentenza 27 febbraio-14 luglio 2003, n. 11003)

Cassazione – Sezione terza civile – sentenza 27 febbraio-14 luglio 2003, n. 11003

Svolgimento del processo

1. Il giorno 6 dicembre 1992, Nicola Gxxxxxxx, alla guida di un’auto di proprietà di Simone Gxxxxxxx, assicurata con la spa Unione Subalpina, investì sulle strisce pedonali di Viale Caravaggio di Grosseto il professoro Ado Rxxxxxx, che le attraversava sotto il braccio della moglie Lara Bxxxx. In conseguenza dell’investimento, il Rxxxxxx riportò gravissime lesioni, per le quali decedeva dopo ventinove giorni, e Lara Bxxxx riportò lesioni personali con postumi invalidanti.

2. Lara Bxxxx, Andrea e Paola Gxxxxxx, figli di Ado, con atto di citazione del 13 aprile 1994, hanno convenuto in giudizio davanti al tribunale di Grosseto i Gxxxxxxx e la loro Compagnia di assicurazione, chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti. Nel giudizio si è costituita la sola società assicuratrice, che ha dedotto l’esistenza di un concorso di colpa delle parti offese e l’eccessività delle richieste risarcitorie.

3. Il tribunale, accogliendo in parte le domande, ha reso le seguenti decisioni: a) condannato i convenuti in solido a risarcire il danno morale nella misura di lire 200 milioni in favore di Lara Bxxxx e di lire 100 milioni in favore Andrea e Paola Gxxxxxx ciascuno; b) ha condannato i convenuti, sempre in solido, al pagamento in favore degli attori, quali eredi di Ado Gxxxxxx, della somma di lire 50 milioni, a titolo di risarcimento del danno biologico e morale “iure hereditario”, ed al pagamento della somma di oltre lire quattro milioni a titolo di rimborso delle spese funerarie sostenute, oltre gli interessi legali dal giorno del fatto; c) ha rigettato la domanda di risarcimento del danno patrimoniale degli attori per la perdita, rispettivamente, del marito e del padre.

4. La decisione è stata impugnata dalla Allianz Subalpina di Assicurazioni e Riassicurazioni (risultata dalla fusione tra la spa Unione Subalpina e la spa Allianz Pace), la quale ha dedotto che le liquidazioni contenute nella sentenza del tribunale erano eccessive.

Gli appellati hanno proposto, a loro volta, impugnazione incidentale, insistendo sulla richiesta di risarcimento del danno patrimoniale.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 12 luglio 1999, ha rigettato l’appello incidentale ed ha accolto in parte quello principale. Più precisamente, ha ridotto l’importo del danno biologico e morale iure hereditario a lire 10 milioni ed ha determinato nel quattro per cento all’anno la misura degli interessi.

5. Per la cassazione della sentenza Lara Bxxxx, Andrea e Paola Gxxxxxx hanno proposto ricorso.

Resiste con controricorso la spa Allianz Subalpina.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo del ricorso si riferisce alla liquidazione del danno biologico e morale “iure hereditario”.

Il motivo è fondato.

1.1. La Corte di Firenze, accogliendo l’appello della Compagnia di assicurazione, ha liquidato il danno biologico e morale “iure hereditario” in lire 10 milioni, applicando il “criterio tabellare” per ventinove giorni di malattia. In particolare, la Corte ha dichiarato che la somma determinata dal tribunale era “spropositata”, perché non poteva “sussistere un danno biologico e morale” da morte, giacché con l’evento morte una persona cessa di esistere come soggetto giuridico e non può quindi, proprio a causa dell’evento che la pone nel nulla, acquisire diritti; il diritto risarcitorio può e deve essere limitato al periodo di sopravvivenza.

I ricorrenti sostengono che la riduzione è ingiusta ed addebitano alla sentenza impugnata l’errore di avere determinato il danno con riferimento alla durata della malattia, senza tenere conto del peso straordinario del danno morale maturato in 29 giorni di “straziante agonia” e della gravità delle lesioni, che erano diffuse per tutto il corpo.

1.2. Il danno biologico e morale, cosiddetto terminale, che è quello che la vittima di un sinistro subisce nell’apprezzabile lasso di tempo tra la lesione e la conseguente, morte, è un danno nel quale i fattori della personalizzazione debbono valere in un grado assai elevato e, per questa ragione, non può essere liquidato attraverso l’applicazione di criteri contenuti in tabelle, che, per quanto dettagliate, nella generalità dei casi, sono predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità temporanee o permanenti di soggetti che sopravvivono all’evento dannoso.

Il danno terminale è differente da queste due ultime voci.

Nel danno biologico o da invalidità temporanea o permanente, fatta eccezione delle invalidità permanenti assai gravi, infatti, la salute del danneggiato tende a regredire o, almeno, a stabilizzarsi; in quello terminale, invece, si assistere ad un danno che tende ad aggravarsi progressivamente. Questa differenza deve essere tenuta nel dovuto conto, per non mettere nel nulla il principio della personalizzazione del danno, che è l’elemento cardine della valutazione del danno alla persona.

La sentenza impugnata non ha considerato alcun fattore di personalizzazione, ponendosi rispetto al problema della liquidazione del danno biologico e morale, subito direttamente dal danneggiato, e del quale gli eredi hanno chiesto il risarcimento, alla stessa maniera di come ci si pone nella liquidazione di un danno per un’invalidità temporanea della durata di 29 giorni, come si legge nella motivazione della decisione che è stata prima riportata. Nella valutazione del danno, infatti, non compare alcun accenno alla gravità delle lesioni ed all’intensità del dolore della vittima, delle quali, invece, occorreva dare preciso conto, soprattutto nel momento in cui era operata la riduzione di un importo di danno, già liquidato dal giudice di primo grado in maniera che non si poteva definire senz’alta motivazione “spropositata”.

Il capo della decisione relativo alla liquidazione del danno biologico e morale “iure hereditario”, quindi, deve essere cassato con rinvio ed il giudice del rinvio, esaminando l’appello della compagnia di assicurazione sul punto, dovrà tenere conto dei necessari fattori di personalizzazione del danno prima esposti.

2. Il secondo motivo del ricorso si riferisce alla liquidazione degli interessi sulle somme liquidate.

2.1. La Corte di appello ha dichiarato che il criterio del cumulo integrale della rivalutazione e degli interessi legali dalla data del sinistro, adottato dal primo giudice, era errato. Per evitare “duplicazioni risarcitorie”, ha dichiarato che le somme liquidate all’attualità dovevano essere aumentate nella misura dei quattro per cento l’anno.

I ricorrenti sostengono che la pur necessaria correzione dell’errore del primo giudice si è risolta in un’ingiusta e “rilevantissima” penalizzazione delle parti offese.

Anche questo motivo è fondato.

2.2. Nel danno da fatto illecito gli interessi non possono essere calcolati sulla somma liquidata per il capitale, defìnitivamente rivalutata, perché, operando in questo modo, il fattore tempo incide due volte: una, ai fini della rivalutazione della somma capitale; una seconda volta, nella determinazione degli interessi legali. Gli interessi legali debbono essere determinati, invece, con riferimento ai singoli momenti (determinati in concreto), con riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto s’incrementa nominalmente in base ad indici prescelti di rivalutazione monetaria: Cassazione, Sezioni unite, 1712/95.

2.3. Al criterio indicato non sì è uniformata la sentenza impugnata. Anche questo capo della decisione, quindi, deve essere cassato con rinvio.

Il giudice del rinvio si atterrà ai criteri di liquidazione degli interessi legali, già enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte prima richiamata.

3. Il terzo motivo si riferisce al mancato riconoscimento del danno patrimoniale.

3.1. La Corte di appello ha escluso che fosse provato che il professor Ado Gxxxxxx contribuisse al mantenimento dei figli, dichiarando che si doveva presumere il contrario, perché i figli erano maggiorenni ed economicamente indipendenti, e la vedova percepiva una pensione di riversibilità superiore al danno patrimoniale.

Lara Bxxxx, Andrea e Paola Gxxxxxx addebitano alla decisione il doppio errore, di una motivazione non corretta e dell’omessa valutazione di prove che sono indicate nel ricorso.

Il motivo è fondato.

Ricorrono, infatti, entrambi gli errori denunciati.

3.2. In primo luogo, il fatto che i figli della vittima fossero maggiorenni ed economicamente indipendenti è un fatto che, di per sé, non è contrasto con la possibilità che essi ricevevano provvidenze aggiuntive ai loro redditi.

La sufficienza dei redditi di figlio può escludere l’obbligo giuridico di incrementarlo da parte dei suoi genitori, ma non esclude il beneficio quando i genitori vi provvedono durevolmente, prolungatamente e spontaneamente. La perdita conseguente si risolve nel danno patrimoniale, corrispondente al minor reddito per chi ne sia beneficato.

La domanda di risarcimento del danno proposta con l’appello incidentale dai ricorrenti non poteva, dunque, essere rigettata con il solo richiamo ad una presunzione, non precisa e non concordante nei termini espressi dalla sentenza impugnata.

In secondo luogo, non è neppure corretto affermare che la vedova non aveva subito danno dalla morte del marito, perché la pensione di riversibilità era “presumibilmente maggiore della pensione che il marito a lei destinava”, come si legge nella sentenza impugnata.

Questo ragionamento, infatti, si fonda su una presunzione, nella quale i cui caratteri della precisione e della concordanza sono affidati dalla decisione alla mera affermazione, che ciò era vero, perché vero. Inoltre, non tiene in alcun conto delle deposizioni testimoniali, riportate nel ricorso, dalle quali si poteva ricavare l’importo elevato di quanto la vittima dell’incidente versava per far fronte ai bisogni della moglie.

Dall’accoglimento del terzo motivo discende che il capo della decisione relativo al rigetto dell’appello incidentale deve essere cassato con rinvio, affinché la motivazione sul rigetto del l’impugnazione sia resa in maniera corretta.

4. Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto e la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione.

La determinazione delle spese di questo giudizio può essere devoluta al giudice del rinvio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.