Skip to main content

Responsabilita' civile automobilistica - Investimento pedone - risarcimento danno morale, patrimoniale ebiologico - calcolo del  danno morale

Responsabilita' civile automobilistica - Investimento pedone - risarcimento danno morale, patrimoniale ebiologico - calcolo del  danno morale

Responsabilità civile automobilistica - Investimento pedone - risarcimento danno morale, patrimoniale e biologico - calcolo del   danno morale (Cassazione, sentenza 23 maggio 2003, n. 8169)

Svolgimento del processo

Con citazione del 6 e 7 febbraio 1990, Giuseppe Axxxxxxxxx, nella veste di parte danneggiata nel corso di un incidente stradale occorsogli in Milano il 12 febbraio 1998, conveniva dinanzi al Tribunale di Milano il conducente dell’auto investitrice Rxxxx Mario, il proprietario dell’auto Sxxxxx Sandra e la impresa assicuratrice Ausonia assicurazioni spa (ora Milano assicurazioni spa) e ne chiedeva la condanna in solido al risarcimento dei danni morale, patrimoniali e biologico, conseguenti al suo investimento, mentre quale pedone attraversava la strada provinciale Paullese.

Il Tribunale, nel contraddittorio tra le parti, con sentenza dell’11 gennaio 1996 rigettava le domande del pedone, ravvisano la responsabilità esclusiva dell’incidente alla sua imprudenza. La decisione era appellata dal danneggiato, che ne chiedeva la riforma; resisteva l’assicuratrice e chiedeva la restituzione degli acconti versati, restavano contumaci le altre parti.

Con sentenza del 9 giugno 1998 la Corte di appello di Milano, in parziale accoglimento dell’appello, accertava che l’evento lesivo era stato provocato dal pari concorso di colpe tra il pedone ed il conducente investitore e procedeva alla liquidazione dei danni, applicando per il danno biologico le tabelle milanesi a punto del 1995 non aggiornate rispetto al tempo della liquidazione. Concedeva inoltre la rivoluzione monetaria sul danno liquidato a far data dal 10 ottobre 1995 e cioè dalla data della pronuncia negativa di primo grado. Contro la decisione ricorre lo Axxxxxxxxx deducendo due motivi di censura illustrati da memoria; resiste l’assicuratore Milano con controricorso e ricorso incidentale sul punto dell’an debeatur. Con ordinanza del 15 maggio 2002 questa Suprema Corte ha disposto l’integrazione del contraddittorio in ordine alle notifiche del ricorso incidentale a Rxxxx Mario ed a Sxxxxx Sandra, litisconsorzi processuali. L’adempimento risulta ritualmente compiuto. I ricorso sono stati previamente riuniti.

Motivi della decisione

Precede l’esame del ricorso incidentale dell’impresa assicuratrice, che concerne la questione pregiudiziale dell’an debeatur. Senonché il ricorso è sul punto inammissibile per assoluto difetto di specificità. La censura alla analitica motivazione della Corte di appello (ff 6 a 16 della motivazione) è così configurata: «la Corte di appello è partita con le stesse argomentazioni del tribunale, ha proseguito con il riconoscimento della piena ritualità della condotta di guida del Rxxxx, per concludere con una affermazione della colpa concreta di detto automobilista». Si tratta all’evidenza di assunti apodittici, contenenti asserzioni che non recano alcun puntuale riferimento all’ampia ed esaustiva motivazione data dai giudici del riesame. Esame del ricorso principale del danneggiato. Il ricorso merita accoglimento in ordine ai dedotti motivi. Nel primo motivo si deduce l’error iuris ed il vizio della motivazione in ordina al risarcimento integrale del danno biologico ai valori attuali ed ai criteri di liquidazione adottati mediante la applicazione delle tabelle a punto.

Il motivo si articola in due censure:

a) una prima censura attiene all’errore valutativo compiuto dai giudici milanesi, i quali, nel provvedere alla liquidazione del danno, verificatosi il 12 febbraio 1988, per la liquidazione del danno biologico con esiti permanenti, hanno applicato nel giugno 1998 le tabelle a punto del 1995 anziché le migliori tabelle del 1996, così determinando una illogica e non motivata riduzione del danno, non liquidato come debito di valore ed in termini di attualità.

La censura è fondata: questa Suprema Corte in due recenti decisioni ha precisato che:

a) è un criterio valido di liquidazione equitativa del danno alla salute quello che assume a parametro medio il punto di invalidità, calcolato sulla media dei precedenti giudiziari, onde la decisione che ricorre a tali criteri non è di per sé censurabile in sede di legittimità, purché sia sorretta da congrua motivazione sul punto della peculiarità del caso (Cassazione 8599/01, rel. Segreto).

Principio che afferma la natura equitativa ma non esaustiva delle tabelle cosiddette attuariali a base di media matematica, proprio perché esse non debbono condurre ad un automatismo asettico ed immotivato nella valutazione della gravità della lesione, ma devono essere sorrette da una adeguata motivazione circa il convincimento che tale valutazione sia idonea a risarcire integralmente la salute stabilmente compromessa.

b) che le tabelle elaborate da alcuni uffici giudiziari per la liquidazione del danno biologico non rientrano nelle nozioni di fatto di comune esperienza, né sono canonizzate come norme di diritto appartenenti necessariamente alla conoscenza del giudice. Pertanto il giudice che intenda utilizzare deve, per non incorrere nell’errore di omessa motivazione, dare conto dei criteri indicati nelle tabelle e poi descriverne la applicazione alla fattispecie concreta. (Cassazione 5012/02, relatore De Matteis).

Principio che riconduce il parametro equitativo nei criteri di liquidazione di cui all’articolo 2056 per la responsabilità aquiliana, ma richiedendo, con maggiore severità, l’obbligo di una puntuale esposizione delle ragioni della scelta gabellare e della eventuale personalizzazione del danno, tenendo conto di fattori e di variabili contemplate nella tabella.

Alla luce dei principi appena richiamati del tutto insufficienti la motivazione data dai giudici del riesame, i quali a fronte di una invalidità gravissima (pari al 65%) ed all’età del danneggiato al tempo dell’incidente (63 anni) assumono di dover applicare le tabelle a punto vigenti alla data della decisione di primo grado (ff 18 della motivazione) e non già le migliori tabelle vigenti al tempo della decisione che per la prima volta liquida il danno permanente nel 1998, senza peraltro applicare alcun altro correttivo personalizzante relativo alle condizioni familiari, lavorative ed interrazionali del danneggiato.

L’apoditticità della motivazione ne disvela la congruenza logica, essendo peraltro dimostrabile per tabulas il risultato riduttivo di tale automatismo valutativo, ad esempio comparando le tabelle del 1995 e le nuove tabelle del 1996 debitamente aggiornate ai valori attuali del 1998.

Sussiste dunque sia il vizio della motivazione che la violazione del principio, costituzionalmente protetto, per la particolare valenza del bene della salute, del risarcimento integrale del danno biologico. Parimenti fondato è il secondo motivo che liquida il danno morale in misura pari alla metà del danno biologico.

Questa Suprema Corte, dopo gli arresti delle Sezioni unite civili del 2002 (sentenze 2515/02 e 9566/02), ritiene che debba essere criticamente considerata la tendenza dei giudici del merito di considerare il danno morale consequenziale alla lesione della salute, come una figura minore, il cui risarcimento avviene pro quota rispetto a quello del danno biologico, con un automatismo che elude l’obbligo di motivazione.

Le Sezioni unite civili, nelle sentenze citate, hanno ribadito l’autonomia ontologica del danno morale, che attiene alla lesione della integralità morale della persona umana, da qualsiasi tipo di reato, inclusi i reati lesivi della integrità fisica o psichica.

La pretesa che il danno morale sia un minus rispetto al danno biologico non trova alcun riferimento logico, proprio perché si tratta di danni diversi, che ledono beni diversi della persona umana, e dunque è possibile, nella dolorosa esperienza, che sofferenza e dolore abbiano una valenza di gran lunga superiore ad una malattia o ad una invalidità. Ma non trova neppure un riferimento scientifico, posto che il danno morale si differenzia dal danno psichico e non richiede un accertamento medico legale, ma semplicemente una prova libera e circostanziata.

La costituzionalizzazione del danno morale, auspicata dalla migliore dottrina e da questa stessa Corte nell’incipit 6035/01, potrà contribuire alla migliore ricostruzione dogmatica di una figura che, per l’Italia, rispetto alle esperienze di diritto comparato europee e nordamericane, appare ormai come una compromissione collegata al fatto reato, storicamente superata.

Se rigorosa è la esigenza di motivazione adeguata per la adozione di parametri livellatori del danno biologico (espressi dalle tabelle attuariali e dalle stesse tabelle medico legali), altrettanto irrinunciabile è l’esigenza di una motivazione adeguata dei criteri di equità risarcitoria per il danno morale, che attinge direttamente alla dignità della persona e non è semplicemente prezzo del dolore.

Pertanto anche la quantificazione automatica del danno morale come quota del danno biologico, al quale si accompagna, ma non per derivazione eziologia, appare illogica e potenzialmente riduttiva. Riduttività peraltro evidente anche a volere considerare il cosiddetto automatismo, una volta verificata la erroneità della liquidazione dello stesso danno della salute.

All’accoglimento del ricorso principale segue la cassazione con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano che si atterrà ai principi di diritto come sopra richiamati e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

PQM

Riunisce i ricorsi, accoglie quello principale e dichiara inammissibile l’incidentale, cassa e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte di appello di Roma