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Il divieto di assumere l’incarico nei confronti dell’ex cliente - Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Corona, rel. Secchi Tarugi), sentenza n. 207 del 15 luglio 2025

La ratio del divieto all’assunzione di incarichi contro una parte già assistita - Il divieto di assumere l’incarico nei confronti dell’ex cliente - Il concetto di “estraneità” dell’incarico professionale contro una parte già assistita

 Il concetto di “estraneità” dell’incarico professionale contro una parte già assistita

Nel quadro delle disposizioni dirette a tutelare, nell’esercizio dell’attività professionale, i valori della correttezza e della lealtà nei rapporti con i terzi, l’art. 68, comma 2, CDF (secondo cui “l’avvocato non deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita quando l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza”) eleva a parametro selettivo della condotta sanzionabile il concetto di “estraneità”, opportunamente evocato dal regolatore forense in luogo del concetto di “diversità” per chiarire, già dal punto di vista letterale, come la condotta dell’avvocato assume potenziale rilievo disciplinare non solamente quando l’oggetto del secondo mandato non differisce da quello del primo – cioè quando petitum e causa petendi non sono diversi –, ma anche quando l’oggetto del nuovo incarico non è estraneo a quello espletato in precedenza, nonostante petitum e causa petendi differiscano, per via della consonanza tra gli incarichi professionali alla luce dei doveri fondamentali di probità, lealtà e correttezza che si impongono all’avvocato nell’esercizio della sua attività professionale: è solo attraverso il filtro costituito dalla trama dei doveri fondamentali che debbono guidare anche nei rapporti con i terzi la condotta del professionista che si rende perciò possibile misurare quanto il nuovo incarico risulti estraneo a quello già espletato. Tale valutazione è condotta dal giudice disciplinare unicamente in fatto, perché è solo attraverso l’apprezzamento degli elementi di fatto che connotano la fattispecie oggetto di disamina che egli è posto in grado di stabilire o meno se il nuovo incarico possa dirsi estraneo al precedente, sicché il relativo responso è sottratto al sindacato della Corte di Cassazione.

Il divieto di assumere l’incarico nei confronti dell’ex cliente

L’avvocato non può né deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita (art. 68 cdf), se non dopo il decorso di almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale (comma 1), ma anche dopo tale termine deve comunque astenersi dall’utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito (comma 3). Peraltro, il divieto de quo non è soggetto ad alcun limite temporale se l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza (comma 2), ovvero quando dovesse assistere un coniuge o convivente more uxorio contro l’altro dopo averli assistiti congiuntamente in controversie di natura familiare (comma 4), ovvero ancora quando abbia assistito il minore in controversie familiari e poi dovesse assistere uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura o viceversa (comma 5).

 

La ratio del divieto all’assunzione di incarichi contro una parte già assistita

La ratio dell’art. 68 co. 1 cdf va ricercata nella tutela dell’immagine della professione forense, ritenendosi non decoroso né opportuno che un avvocato muti troppo rapidamente cliente, passando nel campo avverso senza un adeguato intervallo temporale e prescinde anche dal concreto utilizzo di eventuali informazioni acquisite nel precedente incarico, non solo quando il nuovo incarico sia inerente al medesimo procedimento nel quale il difensore abbia assistito un’altra parte, che abbia un interesse confliggente con quello del nuovo assistito, ma anche nella ipotesi in cui il giudizio successivamente instaurato, pur avendo un petitum diverso, scaturisca da un identico rapporto, a nulla rilevando un’eventuale differenza tra difesa formale e difesa sostanziale basata sulla distinzione tra parte assistita (recte, parte della quale si spende processualmente il nome) e cliente (recte, colui che dà l’incarico, e che normalmente paga).

Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Corona, rel. Secchi Tarugi), sentenza n. 207 del 15 luglio 2025