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Praticante - Registro presenze - Effettivita' della pratica forense -

Avvocato -Praticante - Registro presenze - Effettivita' della pratica forense - Delibera consiglio assenze



Avvocati - Domanda di ammissione agli esami - Certificato di avvenuta pratica - Registro presenze - Una assenza non pregiudica la pratica degli aspiranti avvocati (Consiglio di Stato – Sezione quarta – decisione 9 dicembre 2003-17 febbraio 2004, n. 619)

Consiglio di Stato – Sezione quarta – decisione 9 dicembre 2003-17 febbraio 2004, n. 619

Fatto e diritto

1. I ricorrenti in primo grado, al fine di acquisire la necessaria documentazione da produrre a corredo della domanda di ammissione agli esami di avvocato della sessione 2002-2003, hanno chiesto all’Ordine degli avvocati di Catanzaro, al termine dell’ultimo semestre, il certificato di avvenuta pratica forense.

L’Ordine, con delibera generale 6 novembre 2002 indirizzata alla propria Segreteria, ha opposto un rifiuto, motivato sul rilievo che, sulla base della delibera adottata in data 22 aprile 2002, il certificato non può essere rilasciato a chi abbia compiuto più di un’assenza rispetto ad alcuni giorni prestabiliti nell’arco di ogni mese, giorni in cui i tirocinanti avevano obbligo di apporre la firma su un registro di presenze istituito con la delibera medesima.

I ricorrenti hanno pertanto impugnato sia la delibera del 6 novembre, sia la delibera del 22 aprile 2002. Alcuni di essi hanno, altresì, impugnato, con distinto atto per motivi aggiunti, la successiva delibera del 18 novembre 2002, con la quale, nel confermare la delibera del 22 aprile, è stata prevista la possibilità di recupero delle assenze.

Il Tribunale amministrativo, con le sentenze 349 e 350/03, ha accolto i ricorsi, annullando la delibera del 6 novembre 2002, che introduce il contestato criterio della sospensione della pratica in forza di una sola assenza, nonché “gli atti consequenziali che in quel criterio hanno trovato il loro esclusivo presupposto motivazionale. Restano salve le ulteriori determinazioni del Consiglio dell’Ordine in relazione alla verifica, sulla base delle peculiarità di ciascuna posizione soggettiva, della compiuta pratica forense da parte di ciascun candidato”.

Le sentenze sono appellate dal Consiglio dell’Ordine. In via incidentale autonoma, la sentenza 349 è appellata anche dalla dott.ssa Tiziana Delfanti, la quale chiede l’annullamento anche della delibera che non ha riconosciuto maturata la pratica forense da lei svolta, in forza del recupero dell’assenza non giustificata.

Resistono gli appellati, alcuni dei quali, in rito, eccepiscono la nullità e l’inammissibilità degli appelli principali.

All’udienza del 9 dicembre 2003, le cause sono state trattenute in decisione.

2. I ricorsi vanno riuniti perché proposti contro sentenze, di identico contenuto, attinenti alla originaria impugnazione dei medesimi provvedimenti.

La Sezione ritiene di poter prescindere dalle eccezioni pregiudiziali in rito, perché gli appelli sono infondati nel merito.

3. Il Tribunale amministrativo, nell’accogliere i ricorsi: ha ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo; ha ritenuto che il Consiglio dell’Ordine potesse istituire un registro delle presenze, al fine di verificare l’effettività della pratica forense, ma ha ritenuto illegittima la successiva delibera con la quale è stata assunta a parametro per escludere l’intervenuta pratica il criterio di un giorno di assenza in relazione ai giorni prestabiliti dal Consiglio medesimo per l’obbligo di firma. Tale delibera è stata ritenuta illegittima per due ragioni: perché il criterio è rigido; perché è stata adottata nel corso dell’ultimo semestre di pratica, cioè quando il periodo di pratica forense cui doveva trovare applicazione era in corso.

Le sentenze, censurate dall’appellante sotto ambedue i profili, meritano conferma. Esse resistono, altresì, anche alle censure mosse con l’appello incidentale della Delfanti.

4. Sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo.

L’originaria impugnazione concerne, in via primaria, le delibere dell’Ordine aventi ad oggetto le modalità di espletamento della pratica forense. Il rilascio del certificato, avente valore di mera attestazione della pratica, costituisce atto conseguenziale, sostanzialmente vincolato in funzione certificatoria. Ma è evidente che la contestazione riguarda in via primaria e diretta le delibere con cui le modalità di pratica forense sono fissate e, semmai, trova sbocco nella mancata ammissione dei candidati all’esame di avvocato, in ordine alla quale nessuno dubiterebbe della giurisdizione di questo giudice.

Invero, le delibere con le quali l’Ordine ha fissato le modalità di espletamento della pratica forense sono provvedimenti amministrativi, che, in quanto tali, non possono essere sottratti alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo.

Né appare ragionevole frazionare la vicenda amministrativa di cui è causa per individuare nella giurisdizione amministrativa il giudice competente a sindacare le delibere generali, nella giurisdizione speciale del Cnf (o in quella del giudice ordinario) il giudice competente a sindacare il mancato rilascio del certificato e, infine, di nuovo nel giudice amministrativo quello competente a sindacare la conseguente esclusione dall’esame.

Un tale frazionamento della tutela, oltre che illogico, urterebbe contro il principio della tendenziale concentrazione della tutela in un unico giudice, principio da ritenere di diretta derivazione del più generale principio, di recente costituzionalizzato, della ragionevole durata dei processi.

Né potrebbe sostenersi che la giurisdizione spetti al Consiglio Nazionale relativamente al certificato di compiuta pratica, salva la possibilità in quella sede di disapplicare le delibere generali di determinazione delle modalità della pratica forense, in quanto tale soluzione comporterebbe l’attrazione nella giurisdizione speciale della controversia sostanzialmente principale, devoluta a una giurisdizione di ordine generale, in più attribuendo al Cnf un potere di disapplicazione che non gli deriva da alcuna norma e che non troverebbe alcun fondamento nel vigente assetto costituzionale.

L’appellante sostiene che la giurisdizione speciale del Cnf sussisterebbe, nella specie, in forza del disposto dell’articolo 10, Rd 37/1934, secondo cui il Consiglio Nazionale decide sul “reclamo” presentato avverso il mancato rilascio del certificato di avvenuta pratica.

La tesi non può essere condivisa.

In aggiunta a quanto dianzi considerato, che impone di per sé di ricondurre alla giurisdizione generale di legittimità il sindacato sugli atti impugnati, la Sezione ritiene che la decisione sul reclamo in parola non sia riconducibile all’esercizio della giurisdizione speciale devoluta al Cnf.

La fattispecie delineata dall’articolo 10 dell’ordinamento forense delinea invero -come ritenuto anche dalla Corte di cassazione, in una pronuncia risalente ma di cui si condividono le argomentazioni (Cassazione 4284/74)- una “evidente” ipotesi di “atto amministrativo concernente l’attività di documentazione del Consiglio dell’Ordine, pronunciato in via gerarchica impropria” (così la citata pronuncia della Suprema corte). Il principio ha trovato ulteriore conferma, sia pure in fattispecie attinente al certificato di iscrizione all’albo, nelle considerazioni di ordine generale svolte dalla successiva giurisprudenza della Corte regolatrice (Cassazione 1881/77), nella quale è evidenziata la tassatività delle attribuzioni giurisdizionali del Cnf.

La tesi della natura amministrativa della pronuncia del Consiglio Nazionale sul reclamo avverso il mancato rilascio di compiuta pratica è stata condivisa dallo stesso Cnf (decisioni 16 maggio 2001 n. 24/00; 7 ottobre 2000 n. 99/99), che ha conseguentemente fatto applicazione della normativa contenuta nel Dpr 1199/71, che disciplina i ricorsi amministrativi.

Solo in tempi recenti –e, in pendenza del presente giudizio, proprio relativamente alla vicenda controversa della pratica forense svolta a Catanzaro, per di più con riferimento a un “reclamo” poi dichiarato inammissibile per difetto dello ius postulandi- il Consiglio Nazionale sembra rivedere il proprio orientamento nel senso della natura giurisdizionale del procedimento “avviato con il reclamo previsto dall’art. 10” più volte citato (decisione 21 novembre 2003 n. 236/02).

Ma la tesi non convince, sia perché riposa su un dato letterale (“reclamo”) -associato, ma nell’ordinamento forense, a un’ipotesi di attribuzione giurisdizionale del Consiglio (in materia elettorale), quando, semmai, il termine è sintomatico, nell’ordinamento generale, della natura amministrativa del rimedio – poco significativo, sia perché essa non si sottrae alla critica di fondo della tassatività delle attribuzioni giurisdizionali degli organi di giurisdizione speciale e della natura -già rilevata dalla Suprema Corte- sostanzialmente amministrativa, ancorché “giustiziale”, della decisione del Cnf, che significativamente si pronuncia, ai sensi dell’articolo 10 ultimo comma, sul “merito dell’istanza”, cioè sul provvedimento richiesto.

Tale ultima circostanza, lungi dall’essere incompatibile con la struttura dei ricorsi amministrativi, e segnatamente dei ricorsi gerarchici impropri, che si caratterizzano per l’assoluta atipicità dei poteri rimessi all’autorità decidente e non devono conformarsi ad alcun modello prefigurato (né è dato capire quale fonte abbia tale potere di conformazione del rimedio amministrativo in parola), avvalora invero la natura amministrativa della decisione del Cnf, che si pone come seconda istanza rispetto alla determinazione degli Ordini locali.

Infine –sempre con riferimento alle argomentazioni contenute nella decisione del Consiglio Nazionale da ultimo richiamata- anche il termine “decisione” è del tutto compatibile con la natura amministrativa della pronuncia del Consiglio Forense, ove si consideri che con tale termine tradizionalmente sono denominate le pronunce rese in sede giustiziale, tanto che dall’incerta origine giurisdizionale delle proprie pronunce (oltre che dall’esperienza comparata) questo stesso Consiglio di Stato ripete la tradizionale denominazione come “decisioni” delle stesse. In conclusione, deve ritenersi che la giurisdizione nella presente controversia spetti al giudice amministrativo, sia per l’assorbente ragione che sono nella specie impugnati in via diretta provvedimenti amministrativi rientranti nella giurisdizione generale di legittimità, sia per la ragione che, nella pronuncia sul reclamo di cui all’articolo 10 dell’ordinamento professionale, non è rinvenibile alcuna delle ipotesi di giurisdizione speciale devoluta al Cnf.

Il primo motivo di appello va pertanto disatteso.

5. Anche nel merito l’appello è infondato.

Come esattamente rilevato anche dal primo giudice, al Consiglio dell’Ordine spetta il potere di disciplinare la pratica forense e di vigilare sul corretto svolgimento della stessa.

In siffatto potere può anche essere ricompreso quello di istituire un registro di presenze come mezzo sussidiario volto ad assicurare la effettività della pratica nel più generale potere di vigilanza, senza ricollegare allo stesso fattispecie sanzionatorie a carattere automatico; e, sotto tale profilo, va respinta la doglianza contenuta nell’atto di appello incidentale.

Ma l’esercizio del potere amministrativo è assoggettato –come è noto- ai princìpi di ragionevolezza e di non discriminazione.

Urta contro il principio di ragionevolezza e di proporzionalità l’assunzione a parametro di mancato compimento della pratica un criterio, rigido e astratto, secondo cui, prefissati alcuni giorni anch’essi in maniera astratta, ogni assenza superiore all’unità comporti la sospensione del periodo di pratica forense e l’impossibilità di rilasciare il certificato di compiuta pratica.

Urta contro il principio di non discriminazione e di imparzialità –oltre che contro il principio generale secondo cui la regolazione di una fattispecie non può disporre che per l’avvenire- che tale disciplina sia introdotta mentre il periodo di pratica forense di riferimento è già in corso ed è anzi prossimo alla sua conclusione.

Il comportamento dell’Ordine, come tradotto nelle sue determinazioni, risulta pertanto affetto dal denunciato vizio di eccesso di potere già rilevato dal Tribunale amministrativo.

6. La sentenza del primo giudice merita quindi integrale conferma, anche con riferimento alla indicazione, rivolta all’ulteriore esercizio del potere amministrativo conseguente alla presente decisione, di valutare caso per caso, ma ad ogni modo prescindendo assolutamente dal criterio dichiarato illegittimo e dal percorso argomentativo che lo sorregge, se ricorrano ipotesi in cui debba ritenersi escluso il compimento della pratica forense, secondo criteri che valgano per tutti i candidati, indipendentemente dalla residenza anagrafica di provenienza, nell’esercizio e con le modalità proprie del generale potere di vigilanza.

Gli appelli vanno in definitiva respinti.

Ricorrono tuttavia giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado.

PQM

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – sezione quarta - riunisce gli appelli, principali e incidentale, e li rigetta, confermando la sentenza del Tribunale amministrativo.

Compensa tra le parti le spese del presente grado.

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