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Regolamentazione delle spese processuali nel giudizio civile. La responsabilità processuale cd. Aggravata

Le pronunce della Suprema corte di Cassazione del 2021 in merito all’ambito di applicazione della responsabilità processuale cd. Aggravata (Le spese e la responsabilità’ processuale aggravata (di Cecilia Bernardo) – articolo estratto dalla Rassegna della giurisprudenza di legittimità Ufficio del Massimario pubblicata sul sito della Corte di Cassazione.

Responsabilità processuale cd. aggravata. (di Cecilia Bernardo - Magistrato) 

Infine, la Suprema Corte ha adottato varie pronunce in tema di responsabilità processuale cd. aggravata, precisandone i presupposti e l’ambito di applicabilità nelle due diverse ipotesi previste dal primo e dal terzo comma dell’art. 96 c.p.c., entrambe finalizzate alla repressione dell’abuso dello strumento processuale.

In particolare, in linea di continuità con il precedente orientamento, Sez. L, n. 3830/2021, Di Paolantonio, Rv. 660533-02, ha ribadito che, a differenza delle ipotesi di responsabilità aggravata previste dall’art. 96, commi 1 e 2, c.p.c., la condanna prevista dal terzo comma del citato articolo è applicabile d'ufficio in tutti i casi di soccombenza e configura una sanzione di carattere pubblicistico.

I due strumenti, pur essendo autonomi ed indipendenti, sono tra di loro cumulabili, ma differiscono quanto ai presupposti. Infatti, per l’applicazione dell’ipotesi di cui al terzo comma, non è richiesto il riscontro dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, essendo sufficiente una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di "abuso del processo”, quale l'avere agito o resistito pretestuosamente. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito, che aveva ravvisato un'ipotesi di abuso del processo nella condotta processuale della parte che aveva adito sia il giudice amministrativo che il giudice ordinario per ottenere l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento dei docenti in virtù del possesso del diploma magistrale, senza considerare che, all'epoca della domanda, la questione era controversa non solo nel merito ma anche in relazione alla giurisdizione), (conf. Sez. 6-2, n. 20018/2020, Oliva, Rv. 659226-01).

In applicazione dei medesimi principi, Sez. 6-L, n. 05721/2021, Leone, Rv. 660948-01, ha evidenziato che la condanna al risarcimento per lite temeraria prevista dall'art. 96, comma 1, c.p.c., presuppone sempre l'istanza di parte, anche nel caso richiamato dall'art. 152 disp. att. c.p.c..

Quanto alla proposizione della domanda di condanna al risarcimento dei danni per lite temeraria, devesi menzionare la risoluzione da parte di Sez. U, n. 25478/2021, Cirillo, Rv. 662368-02, della questione di massima di particolare importanza, relativa alla individuazione del giudice competente a conoscere la domanda di risarcimento dei danni provocati da un’esecuzione compiuta in difetto della normale prudenza, e in particolare promossa in forza di titolo esecutivo di formazione giudiziale provvisorio, «cioè a caducità intrinseca e necessariamente instabile». Il problema si era posto in quanto, in precedenti arresti specifici, si era prospettata una possibile proposizione alternativa dinanzi al «giudice del processo nell’àmbito del quale il titolo esecutivo si è formato» ovvero al «giudice dell’opposizione all’esecuzione», senza tuttavia discernere «in quali casi» operasse la devoluzione all’uno o all’altro giudice.

Nell’esaminare la questione, le Sezioni Unite hanno innanzitutto ribadito il consolidato principio della natura endoprocessuale dell’illecito regolato dall’art. 96 c.p.c. e della conseguente devoluzione della domanda di responsabilità aggravata al giudice della causa di merito (del giudizio, cioè, nel quale la condotta illecita è stata serbata). Affermato ciò, le Sezioni Unite hanno statuito che l’istanza di condanna al risarcimento dei danni ex art. 96, comma 2, c.p.c., per aver intrapreso o compiuto, senza la normale prudenza, un'esecuzione forzata in forza di un titolo esecutivo di formazione giudiziale non definitivo successivamente caducato, deve essere proposta, di regola, in sede di cognizione, ossia nel giudizio di formazione o preordinato alla definitività del titolo esecutivo, ove quel giudizio sia ancora pendente, e non vi siano preclusioni di natura processuale. In questa ultima ipotesi, la domanda deve essere formulata al giudice dell'opposizione all'esecuzione. Solo qualora sussista un'ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto all'articolazione della domanda anche in tale sede, ne è consentita la proposizione in un giudizio autonomo.

Giova, altresì, evidenziare che i presupposti per l’applicabilità della disciplina sulla responsabilità aggravata possono verificarsi nell’ambito di qualsiasi procedimento.

A tal riguardo, Sez. U, n. 25041/2021, Cosentino, Rv. 662248-01, ha riconosciuto l’applicabilità dell’art. 96 c.p.c. anche nell’ambito del procedimento per regolamento preventivo di giurisdizione, con la conseguenza che la condanna per il risarcimento dei danni da responsabilità aggravata, ai sensi di tale articolo, può essere emessa anche dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione.

Sempre nell’ambito del medesimo procedimento per regolamento preventivo di giurisdizione, le Sezioni Unite hanno ribadito che l’accertamento della responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., discende esclusivamente da atti o comportamenti processuali concernenti il giudizio nel quale la domanda viene proposta, quali, ai sensi del comma 1, l'aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o, per quanto riguarda il comma 3, l'aver abusato dello strumento processuale. Sez. U, n. 25041/2021, Cosentino, Rv. 662248-02, ha pertanto escluso la mala fede o colpa grave nell'introduzione di un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, in considerazione della atipicità del provvedimento impugnato e della mancanza di precedenti giurisprudenziali sulla questione, ritenendo per contro irrilevanti le condotte extraprocessuali e le iniziative processuali della parte diverse dalla proposizione di tale ricorso.

Il danno da responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96, comma 2, c.p.c. è configurabile anche nell’ambito del processo di esecuzione. A tal riguardo, e con specifico riferimento all’ipotesi in cui sia stata messa in esecuzione una sentenza di primo grado successivamente riformata, Sez. 3, n. 27689/2021, Valle, Rv. 662575-01, ha ritenuto sussistente la responsabilità processuale aggravata qualora il creditore abbia iniziato l'azione esecutiva o la abbia portata a compimento senza la normale prudenza. A tal fine, è stato ritenuto imprudente l’aver avviato l’azione esecutiva nonostante il probabile accoglimento del gravame proposto avverso il titolo esecutivo (spettando in ogni caso la relativa valutazione al giudice di merito), ovvero l’aver proseguito l’esecuzione nonostante l’assenza di un valido titolo esecutivo.

Sempre con riferimento ai presupposti per la configurabilità di un comportamento valutabile come “abuso del processo”, va segnalata Sez. 3, n. 22208/2021, Di Florio, Rv. 662202-01, secondo cui la proposizione di un ricorso per cassazione fondato su motivi palesemente inammissibili, rende l'impugnazione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l'accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (art. 6 CEDU) e dall'altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie e defatigatorie. La Suprema Corte ha, quindi, ritenuto che una condotta di tal tipo determini un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali, prestandosi pertanto ad essere sanzionata con la condanna del soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c.. La pronuncia, infine, in linea di continuità con i principi già sopra riportati, ha ribadito che l’ipotesi prevista dal terzo comma della disposizione citata configura una sanzione di carattere pubblicistico, che non richiede l'accertamento dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa dell'agente ma unicamente quello della sua condotta processualmente abusiva, consistente nell'avere agito o resistito pretestuosamente.

Da ultimo, appare interessante menzionare anche Sez. 3, n. 15102/2021, Graziosi, Rv. 661561-01, secondo cui la proposizione di un motivo d'appello relativo alla pronuncia in primo grado della condanna per lite temeraria introduce una specifica censura, il cui accoglimento, in conseguenza dell'effetto devolutivo, genera soccombenza (parziale, se ricorrono altri motivi, non accolti) della controparte e può giustificare la compensazione, anche integrale, dei costi del giudizio ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c.