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Rassegna di giurisprudenza 2013 Cassazione

Comunione e condominio (di Antonio Scarpa) Corte suprema di cassazione ufficio del massimario - Rassegna della giurisprudenza di legittimità - Gli orientamenti delle Sezioni Civili 2013 ( testo estratto dal sito web della Corte di Cassazione www.cortedicassazione.it )

CONDOMINIO

SUPERCONDOMINIO

COMUNIONE E CONDOMINIO (di Antonio Scarpa)

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Regole di uso e di amministrazione della cosa comune. – 3. Rimborsi di spese e obbligazioni dei partecipanti alla comunione. – 4. Comunione di strada privata ex collatione agrorum privatorum. – 5. Le situazioni giuridiche di comunione e di condominio. – 6. Ripartizione delle spese condominiali ed obbligo di contribuzione. – 7. Innovazioni. – 8. Sopraelevazioni. – 9. Attribuzioni e legittimazione dell’amministratore. – 10. L’assemblea. – 11. Impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea. – 12. Supercondominio. – 13. Regolamento di condominio – 14. Condomini di immobili danneggiati da eventi sismici e condomini di gestione.

1. Premessa. La materia della comunione e del condominio negli edifici, oggetto come sempre, di numerose pronunce della S.C. anche nel 2013, rivela all’attualità particolare interesse alla luce dell’entrata in vigore, proprio nel mese di giugno di questo stesso anno, della legge 11 dicembre 2012, n. 220, la quale, com’è noto, ha introdotto Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici, intervenendo, in particolare, sugli artt. 1117, 1118, 1119, 1120, 1122, 1124, 1129, 1130, 1131, 1134, 1136, 1137, 1138 e 2659 cod. civ., nonché sugli artt. 63, 64, 66, 67, 68, 69 e 70 disp. att. cod. civ., sull’art. 2, primo comma, legge 9 gennaio 1989, n. 13, sull’art. 26, secondo comma, legge 9 gennaio 1991, n. 10, sull’art. 2-bis, tredicesimo comma, del d.l. 23 gennaio 2001, n. 5 (convertito in legge 20 marzo 2001, n. 66) e sull’art. 23, primo comma, cod. proc. civ.; risultano, inoltre, inseriti gli artt. 1117-bis, 1117-ter, 1117-quater, 1122-bis, 1122-ter, 1130-bis cod. civ., gli artt. 71-bis, 71-ter, 71-quater e 165-bis disp. att. cod. civ., e un art. 30 della medesima legge n. 220 del 2012, il quale rimane a sé stante.
Fermo il regime transitorio, dettato dall’art. 32 della legge n. 220 del 2012, potrà essere utile confrontare gli approdi giurisprudenziali degli ultimi mesi con le prospettive interpretative determinate dalla vigenza della disciplina novellata.

2. Regole di uso e di amministrazione della cosa comune. Sez. 2, n. 944 (Rv. 624867), est. Petitti, ricorda come l’esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall’art. 1102 cod. civ., deve esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di comproprietà e non può, quindi, essere esteso per il vantaggio di altre e diverse proprietà del medesimo comunista, perché in tal caso si verrebbe ad imporre una servitù sul
bene comune, per la cui costituzione è necessario il consenso di tutti i condomini.
Del pari, Sez. 2, n. 15024 (Rv. 626961), est. Falaschi, nega che i muri perimetrali di un edificio in condominio possano essere usati, senza il consenso di tutti i comproprietari, per l’utilità di altro immobile di proprietà esclusiva di uno dei condomini, costituente un’unità distinta rispetto all’edificio comune, in quanto ciò costituirebbe una servitù a carico di detto edificio.
Sez. 3, n. 11553 (Rv. 626712), est. Frasca, ha affermato che, nell’ambito del paritario concorso all’amministrazione della cosa in comunione, qualora il singolo partecipante compia un atto di ordinaria amministrazione, anche consistente in un negozio giuridico o in un’azione giudiziale aventi tali finalità, come l’agire per finita locazione contro i conduttori della cosa comune, opera la presunzione del consenso degli altri, ai sensi dell’art. 1105, primo comma, cod. civ., presunzione superabile dimostrando l’esistenza del dissenso degli altri comunisti per una quota maggioritaria o eguale della comunione, non occorrendo che tale dissenso risulti espresso in una deliberazione a norma dell’art. 1105, secondo comma, cod. civ.
Sez. 2, n. 15024 (Rv. 626960), est. Falaschi, ha ricordato che, ai sensi dell’art. 1108, terzo comma, cod. civ., applicabile al condominio in virtù dell’art. 1139 cod. civ., per la costituzione di diritti reali sulle parti comuni è necessario il consenso di tutti i condòmini, consenso che non può essere sostituito da una deliberazione assembleare a maggioranza. Può essere importante qui rimarcare come, in seguito all’approvazione della legge n. 220 del 2012, nell’art. 1120, secondo comma, n. 2, cod. civ., per l’esecuzione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, sia adesso prevista la facoltà di costituire a titolo oneroso in favore di terzi un diritto reale o personale di godimento sul lastrico solare (o altra superficie comune). Viene quindi da chiedersi cosa possa cambiare con tale disposizione rispetto al citato art. 1108, terzo comma, cod. civ., secondo il quale, come visto, non spetta all’assemblea, né tanto meno ai singoli condomini (semmai nei limiti della loro quota, ex art. 1103 cod. civ.) la potestà di cedere ad un soggetto estraneo al condominio l’uso di una cosa comune, sicché la costituzione del diritto reale o di una locazione ultranovennale impongono il consenso di tutti i partecipanti.
Sez. 2, n. 27233 (in corso di massimazione), est. Carrato, riconosce la derogabilità dei criteri d’uso delle parti comuni di cui all’art. 1102 cod. civ. ad opera delle regole di gestione collettiva, ma
senza mai poter contemplare un divieto di utilizzazione generalizzata delle stesse.

3. Rimborsi di spese e obbligazioni dei partecipanti alla comunione. Sez. 2, n. 20652 (Rv. 627614), est. Migliucci, ha potuto ribadire che l’art. 1110 cod. civ. esclude ogni rilievo dell’urgenza dei lavori, e stabilisce che il partecipante alla comunione, il quale, in caso di trascuranza degli altri compartecipi o dell’amministratore, abbia sostenuto esborsi necessari per la conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso, a condizione soltanto di aver precedentemente interpellato o, quantomeno, preventivamente avvertito gli altri partecipanti o l’amministratore. In caso di inattività di questi ultimi, il comproprietario può, dunque, procedere all’anticipazione e pretenderne il rimborso, pur in mancanza della prestazione del consenso da parte degli interpellati.
Secondo quanto evidenziato da Sez. 2, n. 253 (Rv. 624593), est. Bucciante, restano esclusi dall’eccezionale pretesa di rimborso ex art. 1110 cod. civ. gli oneri non necessari per il mantenimento della cosa nella sua integrità, quanto occorrenti unicamente per la migliore fruizione del bene, come le spese per l’illuminazione dell’immobile, ovvero per l’adempimento di obblighi fiscali.
Sez. 2, n. 20841 (Rv. 627630), est. Proto, ha chiarito il funzionamento del meccanismo di incremento della quota spettante al comproprietario che abbia pagato il debito in solido contratto per la cosa comune, senza riceverne il rimborso, ai sensi dell’art. 1115, terzo comma, cod. civ. Tale criterio di ricalcolo comporta che la quota del solvens cresce in misura corrispondente al rimborso dovutogli, ed opera al momento della divisione, a condizione che non siano ancora estinte le obbligazioni in solido dei comproprietari nei confronti di terzi, contratte per la cosa comune, scadute o scadenti entro l’anno dalla domanda di divisione. La disposizione sull’incremento di valore si correla, infatti, al secondo comma dello stesso art. 1115, per cui il prezzo di vendita, e comunque il valore della cosa da assegnare, viene diminuito dell’importo necessario all’estinzione delle obbligazioni e il valore recuperato per effetto dell’estinzione dell’obbligazione viene successivamente riaccreditato al condividente che ha pagato, sotto forma, appunto, di incremento del valore della quota.
Il coerede, poi, che sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie, può pretendere, in sede di divisione, non già l’applicazione dell’art. 1150 cod. civ., ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il
rimborso delle spese sostenute per la cosa comune, esclusa la rivalutazione monetaria: è quanto specifica Sez. 6-2, ord. n. 16206 (Rv. 626933), rel. Carrato.

4. Comunione di strada privata ex collatione agrorum privatorum. Per dirsi costituita una comunione di via privata ex collatione agrorum privatorum, non occorre soggiacere al regime probatorio della rivendicazione: al pari di ogni altra communio incidens, tale comunione può dimostrarsi con prove testimoniali e presuntive, concernenti l’uso prolungato e pacifico di essa e la sua rispondenza allo stato dei luoghi, nonché l’effettiva destinazione alle esigenze comuni di passaggio, purché l’asserito partecipante abbia contribuito al conferimento del sedime [così Sez. 2, n. 16864 (Rv. 627089), est. Mazzacane].
Proprio perché il sedime di una siffatta strada vicinale, formata con apporti di terreno dei proprietari frontisti, si trova in comproprietà dei medesimi titolari degli immobili latitanti, non è ammissibile un’azione di regolamento di confini tra gli stessi, né il giudice può fare applicazione dell’art. 950 cod. civ. al fine di individuare, all’interno della strada vicinale oggetto di comunione, l’originaria linea di confine: Sez. 2, n. 3130 (Rv. 625050), est. Proto.

5. Le situazioni giuridiche di comunione e di condominio. Anche a seguito della Riforma introdotta con la legge n. 220 del 2012, rimane confermata l’opzione codicistica di non dare una definizione normativa del condominio degli edifici. È rilevante, tuttavia, quanto deciso da Sez. 2, n. 10053 (Rv. 625818), est. Giusti, secondo cui la qualificazione di un contesto immobiliare in termini di comunione e non di condominio può essere oggetto di giudicato.
Sez. 2, n. 22641 (Rv. 627892), est. Bursese, estende le disposizioni in materia di condominio al consorzio costituito tra proprietari di immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale, assumendo, a tal fine, rilievo decisivo la volontà manifestata dagli stessi consorziati con la regolamentazione statutaria. Se ne fa discendere, peraltro, che solo l’adesione al consorzio può far sorgere l’obbligazione di versare la quota stabilita dagli organi statutariamente competenti, legittimando la pretesa di pagamento dell’ente.

6. Ripartizione delle spese condominiali ed obbligo di contribuzione. Sez. 2, n. 10081 (Rv. 625820), est. San Giorgio, riafferma che, ove sussista una deliberazione di ripartizione dei
contributi approvata dall’assemblea, il singolo condomino non può sottrarsi al pagamento delle spese a lui spettanti deducendo la mera mancanza formale delle tabelle millesimali, dovendo comunque opporsi al medesimo riparto mediante contestazione dei criteri seguiti. La soluzione offerta ribadisce così la più recente ricostruzione giurisprudenziale, ad avviso della quale la deliberazione che approva le tabelle millesimali non si pone come fonte diretta dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, che sono previsti nella legge, ma solo come parametro di misurazione degli stessi, determinato in base ad una valutazione tecnica. Il novellato art. 69 disp. att. cod. civ. dispone ora che i valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale possono essere, di regola, rettificati o modificati all’unanimità. I medesimi valori possono, invece, essere rettificati o modificati, anche nell’interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall’art. 1136, secondo comma, cod. civ., se siano conseguenza di un errore o quando le mutate condizioni di una parte dell’edificio, conseguenti ad interventi di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, abbiano alterato per più di un quinto il valore proporzionale anche di una singola proprietà individuale. Ciò dovrebbe mantenere integra altresì la conclusione secondo cui le tabelle millesimali non devono essere in origine approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo a tale scopo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, secondo comma, cod. civ., laddove rivela natura contrattuale la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123, primo comma, cod. civ. In sostanza, se una siffatta tabella meramente ricognitiva dei criteri di ripartizione legali sia stata approvata, e se essa non risulti viziata da errori originari o da sopravvenute sproporzioni (casi nei quali può rimediarvi la maggioranza nella soglia indicata), la modifica o la revisione di quella necessita dell’unanimità, perché così si altererebbe ciò che è matematicamente corretto, adottandosi una “convenzione” sulle spese.
Sez. 2, n. 21950 (in corso di massimazione), est. Bursese, proprio in relazione alle tabelle millesimali, riafferma che l’errore determinante la revisione delle stesse, ai sensi dell’art. 69, disp. att. cod. civ., è dato dall’obiettiva divergenza tra valori effettivi delle singole unità immobiliari e valori indicati in tabella, onerando la parte interessata di dare prova, sia pure implicita, di tale difformità,
e chiamando il giudice alle necessarie verifiche, per riscontrare e correggere gli errori nel calcolo proporzionale; viene, inoltre, desunta dalla natura, di regola, non contrattuale dell’atto di approvazione delle tabelle millesimali, la legittimazione a domandarne la revisione pure del condomino che vi abbia concorso.
Sez. 2, n. 21650 (Rv. 627880), est. Giusti, spiega come la deliberazione assembleare di approvazione del bilancio preventivo di un esercizio annuale, avendo carattere generale e rivestendo una specifica finalità amministrativo-contabile, non possa essere implicitamente desunta da una successiva deliberazione assembleare, che differisca l’approvazione del bilancio consuntivo dello stesso esercizio.
Sez. 2, n. 64 (Rv. 624553), est. Petitti, ha evidenziato come le parti dell’edificio – muri e tetti (art. 1117, n. 1 cod. civ.) – ovvero le opere ed i manufatti – fognature, canali di scarico e simili (art. 1117 n. 3, cod. civ.) – deputati a preservare l’edificio condominiale da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d’acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni, le cui spese di conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ai sensi della prima parte dell’art. 1123 cod. civ., non rientrando, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri, di cui all’art. 1123, secondo e terzo comma, cod. civ.
Sez. 2, n. 21742 (Rv. 627851), est. D’Ascola, spiega che, qualora sia stata adottata una delibera assembleare di sostituzione dell’impianto di riscaldamento centralizzato, ai sensi della legge 9 gennaio 1991, n. 10, i perduranti utilizzatori del vecchio impianto, comunque mantenuto in esercizio, non hanno titolo al rimborso dei costi sostenuti da parte dei condomini che abbiano ottemperato a quanto deciso dall’assemblea.
Se una delibera assembleare addebita le spese di riscaldamento a condomini cui non sia attribuito l’impianto comune, la stessa è da qualificarsi nulla, e quindi non soggetta al termine di decadenza di cui all’art. 1137 cod. civ., inerendo il vizio all’estensione dei diritti individuali dei partecipanti pregiudicati e non alla mera determinazione quantitativa del riparto delle spese [Sez. 2, n. 22634 (Rv. 627882), est. Nuzzo).
Sez. 2, n. 27233 (in corso di massimazione), est. Carrato, ripete che, in difetto di diversa convenzione negoziale adottata
all’unanimità, la ripartizione delle spese generali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità fissati nell’art. 1123, primo comma, cod. civ., non essendo, pertanto, consentito all’assemblea, mediante deliberazione a maggioranza, di suddividere con criterio “capitano” gli oneri necessari per la prestazione di servizi nell’interesse comune.
Ad avviso di Sez. 2, n. 10196 (Rv. 626168), est. Giusti, una deliberazione assembleare a maggioranza non può validamente sancire a carico dei partecipanti al condominio l’applicazione di interessi moratori per l’ipotesi di ritardato pagamento delle quote, potendo una tale previsione essere inserita soltanto in un regolamento contrattuale, approvato all’unanimità.
Per Sez. 2, n. 10053 (Rv. 625817), est. Giusti, inoltre, sebbene, in ipotesi di danni alle parti comuni ascrivibili ad uno o ad alcuni dei condomini, sussiste l’obbligo del responsabile di assumere l’onere del relativo ripristino, spetta all’assemblea, fino a quando il singolo partecipante non abbia riconosciuto la propria responsabilità o essa non sia stata accertata in sede giudiziale, il potere di ripartire tra tutti i condomini le spese di ricostruzione o riparazione dei beni danneggiati, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, fermo restando il diritto di costoro di agire, individualmente o mediante l’amministratore, per ottenere dal responsabile il rimborso di quanto anticipato.
Sez. 2, n. 2049 (Rv. 625051), est. D’Ascola, si rivela, invece, preziosa nel delineare l’indipendenza dell’obbligazione del singolo partecipante verso il condominio dalle vicende del debito del condominio verso i suoi creditori, con ciò tracciando le basi di una distinta imputazione del rapporto gestorio al condominio in quanto tale, e superando anche il postulato dell’immediata riferibilità a ciascuno dei condomini delle obbligazioni contratte dall’amministratore nei confronti dei terzi. La sentenza sostiene che è la deliberazione di approvazione delle spese, adottata dall’assemblea, a far sorgere l’obbligo dei condomini di pagare al condominio i contributi dovuti, sicché il singolo partecipante non può ritardare il pagamento delle rate di contribuzione in attesa degli sviluppi delle relazioni contrattuali del condominio col suo creditore, né può dedurre che il pagamento di quanto preteso dall’amministratore sia stato effettuato direttamente al terzo, dovendo pur sempre adempiere all’obbligazione verso quest’ultimo, salva l’insorgenza, in sede di bilancio consuntivo, di un credito da rimborso in caso di avanzi di cassa o di risoluzione dei contratti precedentemente stipulati.
La materia dei rapporti tra condominio, condomini e terzi creditori è ora regolata nei primi due commi del riformato art. 63, disp. att. cod. civ., ove si dispone che l’amministratore «è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi», ammettendosi, inoltre, i creditori ad agire nei confronti degli «obbligati in regola con i pagamenti» dopo la preventiva infruttuosa escussione dei morosi. Al fine di specificare tale condizione soggettiva di “condomino moroso” o di “obbligato in regola con i pagamenti”, sarà altrettanto utile l’insegnamento di Sez. 2, n. 5038 (Rv. 625346), est. Proto, per la quale, il condomino, eseguendo un pagamento per spese condominiali, può imputarlo ai debiti per singoli esercizi e può escludere che le somme pagate vengano imputate a crediti contestati.
Il nuovo primo comma del medesimo art. 63, disp. att. cod. civ. aggiunge che l’amministratore «è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi»; mentre l’art. 1130, n. 10, cod. civ., sempre voluto dalla Riforma, obbliga l’amministratore a «fornire al condomino che ne faccia richiesta attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e delle eventuali liti in corso». Al riguardo, Sez. 3, n. 1593 (Rv. 624998), est. Scarano, ha asserito che sono certamente riconducibili alla nozione di “dato personale”, oggetto di tutela ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, i dati dei singoli partecipanti ad un condominio, raccolti ed utilizzati per le finalità di cui agli artt. 1117 ss cod. civ.; giustificandosi, peraltro, in base a ragioni di buon andamento e di trasparenza, una comunicazione degli stessi a tutti i condomini, non solo su iniziativa dell’amministratore in sede di rendiconto annuale, di assemblea, o nell’ambito delle informazioni periodiche trasmesse nell’assolvimento degli obblighi scaturenti dal mandato ricevuto, ma anche su richiesta di ciascun condomino, in quanto investito di un potere di vigilanza e di controllo sull’attività di gestione delle cose comuni, che lo facoltizza a richiedere in ogni tempo all’amministratore informazioni sulla situazione contabile del condominio, comprese quelle che riguardano eventuali posizioni debitorie degli altri partecipanti.
Sez. 2, n. 10235 (Rv. 626331), est. Carrato, specifica che, in caso di vendita di una unità immobiliare in condominio, qualora l’approvazione della delibera di esecuzione dei lavori di straordinaria manutenzione sopravvenga soltanto successivamente alla stipula dell’atto di alienazione, l’obbligo del pagamento delle relative quote condominiali incombe sull’acquirente, non avendo alcun rilievo l’esistenza di una deliberazione programmatica e preparatoria
adottata anteriormente a tale stipula. In proposito, peraltro, l’ultimo comma del novellato art. 63 disp. att. cod.civ., contempla, proprio per il caso di alienazione della porzione esclusiva, l’obbligo solidale di cedente e cessionario al pagamento dei contributi fino al momento in cui il trasferimento venga reso noto all’amministratore grazie alla trasmissione di copia autentica del titolo, inserendo così una diposizione normativa in grado di ristabilire le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza nell’ambito delle relazioni condominiali e delle correlate legittimazioni.

7. Innovazioni. Per Sez. 2, n. 4340 (Rv. 625186), est. Carrato, non ha ad oggetto un’innovazione, e non richiede, pertanto, l’approvazione con un numero di voti che rappresenti i due terzi del valore dell’edificio, la deliberazione dell’assemblea con cui sia disposta l’apposizione di cancelli all’ingresso dell’area condominiale, al fine di disciplinare il transito pedonale e veicolare ed impedire l’ingresso indiscriminato di estranei, attenendo essa all’uso ed alla regolamentazione della cosa comune, senza alterarne la funzione o la destinazione, né sopprimere o limitare la facoltà di godimento dei condomini.
Per Sez. 2, n. 945 (Rv. 624969), est. Petitti, neppure costituisce un’innovazione, ai sensi dell’art. 1120 cod. civ., la deliberazione con la quale l’assemblea autorizzi chi lo richieda all’uso del vano contenente la canna pattumiera allo scopo di alloggiarvi il contatore e la caldaia di produzione dell’acqua calda.
Secondo Sez. 6– 2, ord. n. 18147 (Rv. 627307), est. Piccialli, ai fini della legittimità della deliberazione adottata dall’assemblea dei condomini ai sensi dell’art. 2 della legge 9 gennaio 1989, n. 13, volta all’installazione di un ascensore, l’impossibilità di osservare, in ragione delle particolari caratteristiche dell’edificio, tutte le prescrizioni della normativa speciale diretta al superamento delle barriere architettoniche non comporta la totale inapplicabilità delle disposizioni di favore, finalizzate ad agevolare l’accesso agli immobili dei soggetti versanti in condizioni di minorazione fisica, qualora l’intervento produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione.
Sez. 2, n. 22276 (Rv. 627900), est. D’Ascola, ha enumerato le condizioni di validità della delibera condominiale di trasformazione dell’impianto di riscaldamento centralizzato in impianti individuali, adottata ai sensi dell’art. 26, secondo comma, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, in conformità agli obiettivi di risparmio energetico
perseguiti da tale legge: non occorre, invero, una verifica preventiva di assoluta convenienza dell’innovazione, quanto ai consumi di ogni singolo impianto, né che il servizio impianto centralizzato da sostituire sia alimentato da fonte diversa dal gas, né rilevano le impossibilità emerse in sede attuativa in uno degli appartamenti, ovvero l’adozione di un sistema di contabilizzazione del calore, o l’utilizzo di energia solare.
Si consideri come, per effetto della legge n. 220 del 2012, con gli artt. 1120, secondo e terzo comma, 1122-bis e 1122-ter cod. civ., siano ora favorite, in particolare quanto all’individuazione dei quorum deliberativi occorrenti ed alle modalità esecutive coinvolgenti sia beni condominiali sia porzioni esclusive, le installazioni su parti comuni di opere ed impianti (centralizzati e non centralizzati) relativi a sicurezza e salubrità, eliminazione delle barriere architettoniche (qui, peraltro, innalzandosi la maggioranza necessaria rispetto a quella prima prevista dall’art. 2, primo comma, l. 9 gennaio 1989, n. 13), contenimento del consumo energetico e produzione di energia da fonti rinnovabili, ricezione radiotelevisiva e di flussi informativi, videosorveglianza. Mentre l’art. 1117-ter cod. civ., sempre ora allestito, contempla una consistente maggioranza, pari ai quattro quinti dei condomini ed ai quattro quinti del valore dell’edificio, che consente all’assemblea di “modificare la destinazione delle parti comuni”.

8. Sopraelevazioni. Sez. 2, n. 5039 (Rv. 625277), est. Carrato, ha negato che costituisca “nuova fabbrica” in sopraelevazione, agli effetti dell’art. 1127 cod. civ., la cosiddetta “altana”, struttura tipica dei palazzi veneziani consistente in una piattaforma o loggetta, di regola in legno, realizzata sulla sommità del fabbricato.
Per Sez. 2, n. 10082 (Rv. 625956), est. San Giorgio, l’art. 1127, secondo comma, cod. civ., il quale fa divieto al proprietario dell’ultimo piano dell’edificio condominiale di realizzare sopraelevazioni precluse dalle condizioni statiche del fabbricato, impedisce altresì di costruire sopraelevazioni che non osservino le specifiche disposizioni dettate dalle leggi antisismiche, fondandosi la necessità di adeguamento alla relativa normativa tecnica su una presunzione di pericolosità, senza che possa aver rilievo, ai fini della valutazione della legittimità delle opere sotto il profilo del pregiudizio statico, il conseguimento della concessione in sanatoria relativa ai corpi di fabbrica elevati sul terrazzo dell’edificio.
Chiarisce Sez. 2, n. 10048 (Rv. 625813), est. Bursese, che la nozione di aspetto architettonico, di cui all’art. 1127, cod. civ., la quale opera come limite alla facoltà di sopraelevare, non coincide con quella, più restrittiva, di decoro architettonico, di cui all’art. 1120 cod. civ., che invece limita le innovazioni, sebbene l’una nozione non possa prescindere dall’altra, dovendo l’intervento edificatorio in sopraelevazione comunque rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare una rilevante disarmonia in rapporto al preesistente complesso, tale da pregiudicarne l’originaria fisionomia ed alterare le linee impresse dal progettista.

9. Attribuzioni e legittimazione dell’amministratore. Sez. 2, n. 21826 (Rv. 627825), est. Falaschi, ha escluso che rientri nei poteri deliberativi dell’assemblea, come nei poteri di rappresentanza dell’amministratore, la proposizione di una domanda diretta non alla difesa della proprietà comune, ma alla sua estensione mediante declaratoria di appartenenza al condominio, per intervenuta usucapione, di un’area adiacente al fabbricato, implicando una siffatta azione non solo l’accrescimento del diritto di comproprietà, ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati. Per promuovere tale domanda, l’amministratore dovrà dunque munirsi di un mandato speciale rilasciato da ciascun condomino.
Neppure rientra tra le controversie nelle quali l’amministratore può agire o essere convenuto in giudizio senza espressa autorizzazione dell’assemblea quella relativa a querela di falso [Sez. 2, ord. n. 12599, (Rv. 626228), est. D’Ascola].
Soltanto l’amministratore (e non anche il condominio in sé) è, invece, interessato e legittimato a contraddire nel giudizio promosso da un condomino per la revoca del primo [Sez. 2, n. 23955 (Rv. 628020), est. Manna]. Il provvedimento di revoca giudiziale, conseguente ad un procedimento tuttora improntato a rapidità, informalità ed ufficiosità, può essere adottato «sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente» (ha così esteso anche al condomino istante il diritto alla comparizione personale già previsto per l’amministratore, in maniera da consentire al collegio di ascoltare le dichiarazioni di entrambi in contraddittorio sugli addebiti mossi. Peraltro, l’obbligo di sentire le parti non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto del condomino ricorrente e dell’amministratore di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del tribunale di valutarne la specifica rilevanza.
Sez. Un., n. 25454 (Rv. 628056), est. D’Ascola, peraltro, ridelineando i confini della iniziative processuali spettanti ai singoli condomini rispetto alle attribuzioni conservative riservate dalla legge all’amministratore, in relazione alla legittimazione alla tutela dei beni condominiali ed al contradittorio imposto delle liti in cui si faccia questione della condominialità di determinate res, ha accordato a ciascuno dei comproprietari la titolarità delle azioni di difesa della proprietà e del godimento della cosa comune, negando la necessità della partecipazione al giudizio di tutti gli altri condomini, almeno allorché l’attore non chieda che sia accertata con efficacia di giudicato la posizione degli altri comproprietari e il convenuto intenda unicamente resistere alla domanda di rivendica, senza, perciò, mettere in discussione la comproprietà degli altri soggetti.
Di seguito, Sez. 2, n. 28141, in corso di massimazione, est. Migliucci, ha precisato, nella piena consapevolezza del dictum di Sez. Un., n. 25454 (che si è inteso limitato alla fattispecie di controversia fra due condomini, e quindi non riferibile al caso in cui sia proposta da un condomino o da un terzo una domanda di accertamento della proprietà esclusiva di un bene condominiale, ovvero alla più ampia questione della legittimazione passiva dell’amministratore) come l’amministratore del condominio sia appunto legittimato passivamente in via generale, agli effetti del secondo comma dell’art. 1131 cod. civ., nelle liti aventi a oggetto le azioni reali relative alle parti comuni, senza che debba ritenersi necessaria la partecipazione al processo di tutti i condomini, e ciò in presenza di domanda con cui in via riconvenzionale i convenuti avevano chiesto l’accertamento della proprietà esclusiva di un sottotetto. Si è spiegato come detta legittimazione abbia portata generale, in quanto estesa a ogni interesse condominiale, essendo la ratio della citata norma diretta a evitare il gravoso onere a carico del terzo o del condomino, che intenda agire nei confronti del condominio, di evocare in giudizio tutti i condomini, facendosi ovviamente salva, per le cause aventi a oggetto materie che eccedono le attribuzioni dell’amministratore, ai sensi del terzo comma del medesimo art. 1131 cod. civ., l’esigenza di subordinare il potere di rappresentanza in giudizio dell’amministratore all’autorizzazione a resistere (o alla ratifica) da parte dell’assemblea.

10. L’assemblea. Sez. 2, n. 13011 (Rv. 626457), est. Bertuzzi, ha negato la sussistenza ex se di un conflitto di interessi in ipotesi di coincidenza, in capo ad uno dei partecipanti al voto in
assemblea di condominio relativo ad edificio destinato all’esercizio di attività imprenditoriale, delle posizioni di condomino di maggioranza, amministratore del condominio e gestore dell’impresa ivi esercitata. La questione assume nuove sembianze alla luce dei “nuovi” commi primo e quinto, in particolare, dell’art. 67 disp. att. cod. civ., ispirati dallo scopo di regolare l’esercizio del diritto dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee, in maniera da garantire l’effettività del dibattito e la concreta collegialità delle riunioni, prescrivendo, anzitutto, la forma scritta della delega, facendo poi divieto al delegato di rappresentare più di un quinto del condomini e del valore dell’edificio ove i condomini siano più di venti, impedendo, infine, il conferimento di deleghe all’amministratore. La non delegabilità dell’amministratore per la partecipazione alle assemblee suppone, all’evidenza, che l’amministratore, per quanto “mandatario” dei condomini, si riveli ormai sempre, con riferimento, cioè, a qualsiasi deliberazione, portatore di ragioni proprie, in potenziale conflitto con l’interesse istituzionale del condominio.
Per Sez. 2, n. 2218 (Rv. 625133), est. Carrato, i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato devono ritenersi disciplinati, in difetto di norme particolari, dalle regole generali sul mandato, con la conseguenza che solo il condomino delegante e quello che si ritenga falsamente rappresentato sono legittimati a far valere gli eventuali vizi della delega o la carenza del potere di rappresentanza, e non anche gli altri condomini estranei a tale rapporto. Il riformato art. 67 (in particolare, commi primo e quinto) disp. att. cod. civ. ha peraltro appena subìto cambiamenti complessivamente ispirati dallo scopo di regolare l’esercizio del diritto dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee, prescrivendo, anzitutto, la forma scritta della delega, facendo poi divieto al delegato di rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore dell’edificio ove i condomini siano più di venti, impedendo, infine, il conferimento di deleghe all’amministratore.
Sez. 6-2, ord. n. 14930 (Rv. 626785), rel. Carrato, riconosce il potere di convocazione dell’assemblea anche all’amministratore la cui nomina assembleare non sia stata immediatamente seguita dall’accettazione.
Sez. 6-2, n. 22047 (in corso di massimazione), est. Petitti, ha evidenziato come la recettizietà dell’avviso di convocazione assembleare, strumentale al diritto di intervento dei condomini, imponga la ricezione dello stesso nel termine di almeno cinque
giorni antecedenti alla data fissata per la riunione dell’assemblea in prima convocazione, a nulla rilevando la data di svolgimento dell’adunanza in seconda convocazione, come del resto confermato dal nuovo testo dell’art. 66, comma terzo, disp. att., cod. civ., introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220.
Dal recapito, poi, della lettera raccomandata contenente il verbale dell’assemblea condominiale all’indirizzo del condomino assente all’adunanza discende la presunzione iuris tantum di conoscenza della deliberazione ivi adottata, nonché la correlata decorrenza del termine per l’impugnazione ex art. 1137 cod. civ. [Sez. 2, n. 22240 (Rv. 627897), est. Giusti].
Afferma Sez. 2, n. 16774 (Rv. 627106), est. Bursese, che, qualora un’unità immobiliare facente parte di un condominio sia oggetto di diritto di usufrutto, all’assemblea chiamata a deliberare l’approvazione del preventivo di spesa per il rifacimento della facciata condominiale deve essere convocato il nudo proprietario, trattandosi di opere di manutenzione straordinaria. A seguito della legge n. 220 del 2012, l’art. 67, commi sesto e settimo, disp. att. cod. civ., lascia fermo il diritto di voto dell’usufruttuario negli affari che attengono all’ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni, e riserva in tutte le altre deliberazioni il diritto di voto ai proprietari, salvi i casi in cui l’usufruttario intenda avvalersi del diritto di eseguire a proprie spese le riparazioni, ai sensi dell’art. 1006 cod. civ., ovvero si tratti di miglioramenti o addizioni, ferma restando la necessità di avvisare entrambi dell’assemblea. Il comma ottavo dello stesso art. 67 disp. att. cod. civ. impone, infine, il pagamento solidale dei contributi dovuti da nudo proprietario ed usufruttuario dell’appartamento.

11. Impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea. Sez. 6-2, ord. n. 11214 (Rv. 626417), est. Bianchini, ha stabilito che l’interesse all’impugnazione per vizi formali di una deliberazione dell’assemblea condominiale, ai sensi dell’art. 1137 cod. civ., pur non essendo condizionato al riscontro della concreta incidenza sulla singola situazione del condomino, postula comunque che la delibera in questione sia idonea a determinare un mutamento della posizione dei condomini nei confronti dell’ente di gestione, suscettibile di eventuale pregiudizio. In argomento, il vigente art. 66, terzo comma, disp. att. cod. civ., precisa ora che, in caso di avviso omesso, tardivo o incompleto degli aventi diritto, la deliberazione adottata è annullabile, ma su istanza soltanto dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati; col che la Riforma
sembra aver tratto le dovute conseguenze sotto il profilo processuale dalla sistemazione della fattispecie dell’omessa convocazione nell’ambito dei rimedi sostanziali operata da Sez. Un., 7 marzo 2005, n. 4806.
Sotto il profilo processuale, Sez. 2, n. 18117 (Rv. 627305), est. Scalisi, ha sostenuto che, qualora il giudizio di primo grado, relativo ad impugnazione della deliberazione assembleare, sia stato introdotto con ricorso, anziché con citazione, può essere introdotto con ricorso anche il giudizio di appello, e, in questo caso, il rispetto del termine di gravame è assicurato già dal deposito del ricorso in cancelleria, a prescindere dalla sua successiva notificazione. Il riformulato art. 1137, secondo comma, cod. civ., tuttavia, ha eliminato dal testo normativo il riferimento letterale al “ricorso”, quale forma dell’atto di impugnazione, il che rende ormai inequivocabile che esso vada proposto con citazione, con conseguente presumibile superamento, per il contenzioso soggetto alla Riforma, della soluzione dell’equipollenza propugnata da Sez. Un. 14 aprile 2011, n. 8491 (soluzione, del resto, rimasta isolata nell’ambito del più ampio dibattito circa la piena fungibilità, tuttora osteggiata dalla giurisprudenza, degli atti litis ingredientes).
Sez. 2, n. 8525 (Rv. 625762), est. Bursese, pone in luce il principio dell’esecutività della deliberazione dell’assemblea, pur in pendenza di impugnazione, rimanendo riservato al giudice il potere di sospendere l’esecuzione del provvedimento; nondimeno, il credito del condominio nei confronti del singolo condomino, risultante da delibera assembleare impugnata, non è opponibile in compensazione ad estinzione delle reciproche obbligazioni, in quanto portato da un titolo la cui esecutività consente la sola temporanea esigibilità, laddove la compensazione postula il definitivo accertamento dei debiti da estinguere e non opera per le situazioni provvisorie.
Sez. 2, n. 21742 (Rv. 627851), est. D’Ascola, ha osservato che la sospensione giudiziale di una deliberazione assembleare impugnata non impedisce all’assemblea di adottare sul medesimo punto una nuova deliberazione scevra dai vizi della prima, delibera esecutiva ex lege ove il condomino interessato non si attivi per conseguirne a sua volta la sospensione. Il quarto comma del nuovo art. 1137 cod. civ. ammette ora la proponibilità di un’istanza per ottenere la sospensione della deliberazione pure prima dell’inizio della causa di merito, sebbene tale istanza ante causam non abbia effetti impeditivi della decadenza per la proposizione dell’impugnazione.

12. Supercondominio. Sez. 2, n. 19558 (Rv. 627536), est. Falaschi, osserva come, in ipotesi di supercondominio, la legittimazione degli amministratori di ciascun condominio per gli atti conservativi, riconosciuta dagli artt. 1130 e 1131 cod. civ., si riflette, sul piano processuale, nella facoltà di richiedere le necessarie misure cautelari soltanto per i beni comuni all’edificio rispettivamente amministrato, non anche per quelli facenti parte del supercondominio, che, quale accorpamento di due o più singoli condominii per la gestione di beni comuni, deve essere gestito attraverso le decisioni dei propri organi, e, cioè, l’assemblea composta dai proprietari degli appartamenti che concorrono a formarlo e l’amministratore del supercondominio.
Aggiunge Sez. 2, n. 4340 (Rv. 625185), est. Carrato, sempre in tema di supercondominio, che ciascun condomino, proprietario di alcuna delle unità immobiliari ubicate nei diversi edifici che lo compongono, è legittimato ad agire per la tutela delle parti comuni degli stessi ed a partecipare alla relativa assemblea, con la conseguenza che le disposizioni dell’art. 1136 cod. civ., in tema di formazione e calcolo delle maggioranze, si applicano considerando gli elementi reale e personale del medesimo supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le porzioni comprese nel complesso e da tutti i rispettivi titolari.
In conseguenza della Riforma appena entrata in vigore, vi è stata l’introduzione dell’art. 1117-bis cod. civ. il quale estende, nei limiti della compatibilità, la disciplina di cui al Capo II, Titolo VII, del Libro III a tutte le situazioni in cui più edifici o più condomini abbiano parti comuni, situazioni che certamente comprendono la fattispecie del cd. supercondominio. Di grande importanza si rivela, peraltro, il terzo comma dell’art. 67 disp. att. cod. civ., il quale, appunto nelle situazioni di supercondominio, o di condominio complesso, descritte dall’art. 1117-bis cod. civ., ma solo allorché i partecipanti siano complessivamente più di sessanta, obbliga ciascuno dei più condominii coordinati a designare, con la maggioranza di cui all’art. 1136, quinto comma, cod. civ., un proprio rappresentante all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni ai diversi edifici e per la nomina dell’amministratore. Se l’assemblea non vi provveda, ciascun partecipante può chiedere che l’autorità giudiziaria nomini il rappresentante del proprio condominio. Del pari, qualora alcuni dei condominii interessati non abbiano nominato il proprio rappresentante, alla nomina provvede il tribunale su ricorso anche di uno solo dei rappresentanti già
nominati. Il quarto comma dell’art. 67 disp. att. cod. civ. aggiunge che ogni limite o condizione al potere di rappresentanza si considera non apposto, dovendo il rappresentante rispondere secondo le regole del mandato e comunicare tempestivamente all’amministratore di ciascun condominio (il quale ne riferisce nella rispettiva assemblea) l’ordine del giorno e le decisioni assunte dalla riunione dei rappresentanti dei condominii. Alla regolare costituzione del collegio del supercondominio ed all’approvazione delle rispettive decisioni concorrono ora, pertanto, tutti i condomini a mezzo dei rispettivi delegati obbligatori, e con i rispettivi valori millesimali.

13. Regolamento di condominio. Sez. 2, n. 14898 (Rv. 626818 e Rv. 626819), est. Petitti, ha affermato che il regolamento di un supercondominio, predisposto dall’originario unico proprietario del complesso di edifici, accettato dagli acquirenti nei singoli atti di acquisto e trascritto nei registri immobiliari, in virtù del suo carattere convenzionale, vincola tutti i successivi acquirenti senza limiti di tempo, non solo relativamente alle clausole che disciplinano l’uso ed il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facoltà sulle loro proprietà esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca, senza, perciò, infrangere il principio del numero chiuso delle obbligazioni reali.
Sez. 2, n. 1748 (Rv. 624984), est. Vincenti, ha ritenuto legittima la norma di un regolamento di condominio – avente natura contrattuale – diretta a dare del limite del decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall’art. 1120 cod. civ., estendendo il divieto di innovazioni sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all’estetica, all’aspetto generale dell’edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva.
Viceversa, Sez. 2, n. 13011 (Rv. 626458), est. Bertuzzi, ha ravvisato la nullità della clausola del regolamento che riservi ad un determinato soggetto, per un tempo indeterminato, la carica di amministratore del condominio, sottraendo all’assemblea il relativo potere di nomina e di revoca, visto che l’art. 1138, quarto comma, cod. civ. dichiara espressamente non derogabile dal regolamento, tra le altre, la disposizione dell’art. 1129 cod. civ., la quale attribuisce all’assemblea la nomina dell’amministratore e stabilisce la durata dell’incarico. Tale inderogabilità regolamentare delle disposizioni del
codice concernenti la nomina dell’amministratore dovrà d’ora in avanti confrontarsi con le più severe discipline del medesimo art. 1129 cod. civ., nonché dell’art. 71-bis disp. att., cod. civ., introdotte dalla legge n. 220 del 2012.

14. Condomini di immobili danneggiati da eventi sismici e condomini di gestione. Sez. 2, n. 14899 (Rv. 626821), est. D’Ascola, ha deciso che l’amministratore del condominio costituito convenzionalmente, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 30 marzo 1990, n. 76, per gli immobili distrutti o da demolire o da riparare in conseguenza degli eventi sismici di cui al medesimo decreto, è legittimato passivamente in relazione alle controversie concernenti l’esecuzione dei lavori di ricostruzione o riparazione oggetto delle delibere adottate dal condominio stesso, essendo ciò conforme alle ragioni acceleratrici della normativa sulla ricostruzione, che postulano un amministratore munito dei poteri di rappresentanza di cui all’art. 1131 cod. civ.
Per Sez. 1, n. 17260 (Rv. 627341), est. Salvago, il contributo di ristrutturazione previsto dagli artt. 9 e 10 della legge 14 maggio 1981, n. 219, genera, in ogni caso, una serie di obbligazioni individuali tra il comune ed i singoli proprietari di ciascuna unità immobiliare, di tal che va escluso il litisconsorzio necessario nel giudizio instaurato da alcuni condomini comproprietari di unità immobiliari in ordine alla spettanza ed entità del contributo che li riguarda.
Sez. 2, n. 13855 (Rv. 626459), est. Matera, ha affrontato il tema della costituzione del cd. condominio di gestione in relazione ad alloggi realizzati o recuperati da soggetti privati, in edifici destinati ad edilizia residenziale pubblica e costruiti con capitale pubblico. In tal senso, si consideri come il comma sedicesimo dell’art. 1129 cod. civ. novellato estende l’applicabilità di tale disposizione anche «agli edifici di alloggi di edilizia popolare ed economica, realizzati o recuperati da enti pubblici a totale partecipazione pubblica o con il concorso dello Stato, delle regioni, delle province o dei comuni, nonché a quelli realizzati da enti pubblici non economici o società private senza scopo di lucro con finalità sociali proprie dell’edilizia residenziale pubblica»; estensione che sembra riferibile non soltanto alle norme relative alla nomina e alla revoca dell’amministratore, quanto pure di quelle sugli obblighi dell’amministratore connesse ad articoli successivi.