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Riproposizione domande ed eccezioni non decise in primo grado non oltre la prima udienza

Appello – Riproposizione domande ed eccezioni non decise in primo grado non oltre la prima udienza – art. 346 c.p.c. – eccezioni – Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 7940 del 21 marzo 2019 commento a cura dell’Avv. Ylenia Coronas

Fatto. Il Giudice di prime cure rigettava la domanda dei genitori di Tizio, in proprio e in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sul minore, nei confronti dei genitori di Caio, in proprio e in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sul minore, volta al risarcimento dei danni per le lesioni riportate dal proprio figlio durante la settimana bianca organizzata dall’istituto Scolastico frequentato da questo ultimo. Si costituiva in anche l’Istituto Scolastico, chiamato in causa dal convenuto, nonché le compagnie assicuratrici chiamate in manleva.

La Corte di Appello adita dai genitori di Tizio, accoglieva il gravame principale e riformava la sentenza di primo grado, dichiarando inammissibile l’impugnazione incidentale degli appellati/originari convenuti, perché tardivamente proposta con comparsa di costituzione depositata dopo la scadenza del termine di cui all’art. 343 c.p.c. co.1.

I soccombenti proponevano ricorso per cassazione, lamentando la nullità della sentenza de qua per violazione dell’art. 346 c.p.c., con riferimento all’art. 2048 c.c., co.2, e art. 2055 c.c., nonché dell’art. 343 c.p.c., con riferimento all’art. 1917 c.c. per aver la Corte distrettuale ritenuto che le domande di manleva, avanzate sia nei confronti dell’istituto che delle compagnie assicurative, dovessero essere oggetto di appello incidentale, sebbene fossero state non disattese, ma assorbite dal giudice di primo grado.

Inoltre, i ricorrenti deducevano la nullità della predetta sentenza anche in relazione alla violazione dell’art. 112 c.p.c., in rapporto agli artt. 343 e 346 c.p.c., avendo la Corte di Appello interpretato la richiesta di andare indenni dalle conseguenze risarcitorie del sinistro per cui è causa, chiedendo la condanna dell’Istituto Scolastico e delle Compagnie di assicurazioni, già parti nel primo grado di giudizio, come una domanda proposta con appello incidentale in luogo di pura e semplice riproposizione ex art. 346 c.p.c.

Decisione. La Suprema Corte ha accolto i motivi del ricorso con rinvio, valutando se la mancanza di una tempestiva costituzione possa comportare la decadenza dalla facoltà di riproporre, a norma dell’art. 346 c.p.c., le domande condizionate e/o le eccezioni rimaste assorbite dal rigetto delle istanze avversare o se, al contrario, tali domande possano essere riproposte in appello fino all’udienza di precisazione delle conclusioni.

Le Sezioni Unite hanno ritenuto che, ferme ratione temporis per la presente controversia le norme codicistiche previste dalla l. 20 dicembre 1995, n. 534, applicabile ai giudizi instaurati dopo il 30 aprile 1955, con esclusione delle successive modifiche previste dalla l. 80/2005, la decisione della Corte di Appello sia in contrasto con i principi espressi dalla precedente giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. n. 7700/2016 e n. 11799/2017). Ciò in quanto, la disciplina di cui all’art. 346 c.p.c. prevede un effetto devolutivo in appello limitato, comportando una vera e propria decadenza per la mancata riproposizione delle domande e/o eccezioni respinte o ritenute assorbite.

In particolare, l’onere di riproposizione ex art. 346 c.p.c. non opera per le questioni rilevabili d’ufficio in sede di gravame, ove non oggetto di esame e decisione in primo grado. Tale principio deve necessariamente coordinarsi con il sistema delle preclusioni e, dunque, con l’art. 342 c.p.c.. Ne consegue che la mancata riproposizione di una domanda non esaminata in primo grado non dà luogo a giudicato ma ad una preclusione processuale.

Pertanto, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., la parte vittoriosa in primo grado ha l’onere di riproporre, a pena di formazione del giudicato implicito, in modo chiaro e preciso le domande e le eccezioni in senso stretto respinte o ritenute assorbite, in qualsiasi momento del giudizio di secondo grado, fino alla precisazione delle conclusioni, non essendo applicabile al giudizio di appello il sistema delle preclusioni relative al primo grado ex L. 534/1995. A tale consolidata giurisprudenza, la Corte contrappone la dottrina dominante, secondo la quale l’orientamento di legittimità determinerebbe una disparità di trattamento sia tra le parti del giudizio che tra i vari gradi dello stesso.

Considerato, tuttavia, che non risulta automaticamente assimilabile la riproposizione delle domande con la formulazione di domande ed eccezioni nuove in appello, non può operare il principio di preclusione.

Le considerazioni svolte dalle Sezioni Unite non sono, infine, contrastate dalla previsione di cui all’art. 281 sexies c.p.c., attraverso il quale è stata codificata la possibilità di definire con il meccanismo di immediata decisione anche il giudizio di impugnazione, all’esito di discussione orale della causa. Infatti, anche in questa ipotesi il nostro ordinamento non esclude la facoltà di costituzione tardiva della parte appellata.

In conclusione, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto: “nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla L. n. 353 del 1990, e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione - che costituisce pur sempre una revisio prioris istantiae - nel rispetto dell'autoresponsabilità e dell'affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale: art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell'art. 346 c.p.c., le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado”.

La sentenza integrale

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