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telecomunicazioni – contrasto diritto dell’unione europea - Telefonia mobile

telecomunicazioni – contrasto diritto dell’unione europea - Telefonia mobile – localizzazione impianti – divieto – Rimessione alla Corte di Giustizia –Cons. St., sez. VI, ord., 27 marzo 2019, n. 2033, commento a cura dell’Avv. Silvia Albanese.

Fatto. Le imprese licenziatarie del servizio pubblico di telefonia fissa e mobile sul territorio nazionale impugnavano dinanzi al Consiglio di Stato le sentenze con le quali il TAR aveva rigettato i ricorsi in primo grado.

I ricorsi originari erano stati proposti avverso le disposizioni contenute nel “Regolamento per la localizzazione, l'installazione e la modifica degli impianti di telefonia mobile” approvato con delibera comunale, in quanto asseritamente contrastante con il Codice delle telecomunicazioni e con la legge quadro n. 36/01 sull'elettromagnetismo nonché praticamente preclusivo delle attività di pianificazione dello sviluppo della rete.

Decisione. La sesta sezione del Consiglio di Stato, dopo aver riunito gli appelli proposti in considerazione della sussistenza di una connessione sia soggettiva che oggettiva dei ricorsi, rinvia in via pregiudiziale alla CGUE (art. 267 TFUE) il seguente quesito:

- se il diritto dell’Unione europea osti a una normativa nazionale (come quella di cui all’articolo 8 comma 6 legge 22 febbraio 2001. n. 36) intesa ed applicata nel senso di consentire alle singole amministrazioni locali criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile, anche espressi sotto forma di divieto, quali il divieto di collocare antenne in determinate aree ovvero ad una determinata distanza da edifici appartenenti ad una data tipologia.

Il Consiglio di Stato richiama la disciplina nazionale contestata dall’impresa appellante, contenuta nella legge 22 febbraio 2001, n. 36, e rubricata “Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”.

Secondo il Collegio, nel caso di specie assume rilievo preminente quanto sancito dall’art. 8, comma 6, l. 36 cit., secondo il quale: “I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.

Peraltro in materia va richiamata altresì la disciplina dettata dal decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche).

In particolare, l’art. 87 del decreto contempla un’ipotesi di silenzio assenso nel caso in cui vengano presentate istanze di autorizzazione e denunce di attività relative all’installazione delle reti di comunicazione elettronica qualora, entro 90 giorni dalla presentazione del progetto e della relativa domanda, non sia stato comunicato un provvedimento di diniego o un parere negativo da parte dell’organismo competente ad effettuare i controlli.

A fronte di quanto previsto a livello nazionale, il Collegio ritiene che possa sussistere un contrasto con la normativa europea ed, in particolare, con gli artt. 1 comma 3 bis, 3, e 8 direttiva 2002\21\CE ed agli artt. 3 e 8 direttiva 2002\22\CE, e con la direttiva 2002/20/CE recante la disciplina delle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica, c.d. direttiva autorizzazioni.

Queste direttive europee istituiscono un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica nonché per il servizio universale ed i diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica.

In linea generale, le direttive europee si occupano di dettare una disciplina che tuteli i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche nel caso di provvedimenti adottati dagli Stati membri riguardanti l'accesso o l'uso di servizi e applicazioni attraverso reti di comunicazione elettronica da parte degli utenti finali.

Si ammettono, infatti, tali provvedimenti solo qualora siano appropriati, proporzionati, necessari e rispettino, altresì, le garanzie procedurali previste dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Di preminente rilievo è il contenuto dell’articolo 3 della direttiva servizio universale (direttiva 2002\22\CE), in tema di garanzie di disponibilità del servizio universale che stabilisce che “gli Stati membri provvedono affinché nel loro territorio i servizi elencati nel presente capo siano messi a disposizione di tutti gli utenti finali al livello qualitativo stabilito, a prescindere dall'ubicazione geografica dei medesimi e, tenuto conto delle specifiche circostanze nazionali, ad un prezzo abbordabile”.

L’articolo 8 della direttiva quadro, poi, laddove individua gli obiettivi generali ed i principi dell'attività di regolamentazione, dispone che gli Stati membri provvedano affinché le autorità nazionali di regolamentazione adottino tutte le ragionevoli misure che siano proporzionate al raggiungimento degli obiettivi previsti.  

Alle autorità nazionali di regolamentazione è affidato il compito di promuovere la concorrenza nella fornitura delle reti di comunicazione elettronica, dei servizi di comunicazione elettronica e delle risorse e servizi correlati, nel rispetto della parità di trattamento tra gli utenti e garantendo che non vi siano distorsioni o restrizioni della concorrenza. 

Oltre alla disciplina europea si richiama anche l’interpretazione giurisprudenziale (cfr. Corte giustizia UE sez. III, 17/02/2011, n.16) fornita dalla Corte di Giustizia riguardo all’articolo 8 della direttiva servizio universale.

Secondo i giudici europei, la direttiva autorizza gli Stati membri, quando decidono di designare una o più imprese per la fornitura del servizio universale, di imporre alle imprese affidatarie unicamente gli specifici obblighi previsti dalla direttiva stessa, che sono collegati alla fornitura agli utenti finali.

Pertanto l'art. 3 n. 2 della direttiva stessa non consente ad uno Stato membro di imporre ad un'impresa, designata per lo svolgimento del servizio universale, obblighi diversi da quelli previsti dalla direttiva stessa.

Secondo il Collegio la disciplina nazionale suscita dubbi di compatibilità con il diritto europeo con particolare riferimento all’art. 8 comma 6 legge 36\2001 summenzionato, laddove è consentito individuare alle singole amministrazioni locali criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) ovvero attraverso l’imposizione di specifiche e predeterminate distanze.

E non solo. I dubbi comprendono anche l’interpretazione della norma da parte della prevalente giurisprudenza.

I giudici amministrativi (cfr. Consiglio di Stato sez. VI 13 marzo 2018 n. 1592), infatti, hanno interpretato la disposizione nel senso di riconoscere alle Regioni ed ai Comuni, nell’ambito delle rispettive competenze, il potere di individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.).

Al contrario, la giurisprudenza nega che le Regioni e i Comuni possano introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi ecc.).

Alla luce della normativa europea e di quella nazione e delle interpretazioni giurisprudenziali consolidatesi, emerge la necessità di un bilanciamento fra opposte esigenze ed interessi primari.

Più nel dettaglio, si nota come la disciplina europea ha contribuito a valorizzare il diritto all'informazione dei cittadini e quello di effettuare e ricevere chiamate telefoniche (e comunicazioni di dati) in ogni luogo, senza limitazioni di carattere spaziale-territoriale (cfr. altresì art. 4 direttiva servizio universale).

In tale diritto è ricompresa anche la facoltà di poter chiamare gratuitamente i numeri d'emergenza e in particolare il numero d'emergenza unico europeo a partire da qualsiasi apparecchio telefonico e di essere localizzati, anche senza comunicare, in situazioni in cui fosse necessario per la tutela della propria vita o della sicurezza anche altrui.

Per rendere effettivo tale diritto la disciplina europea ha imposto specifici obblighi a coloro i quali gestiscono i servizi, attribuendo agli operatori del servizio universale il compito di mantenere l'integrità della rete, come pure la continuità e la qualità del servizio (considerando 14), in modo tale da assicurare l'effettività del diritto in capo a tutti gli utenti omogeneamente su tutto il territorio dell'Unione europea.

Sotto questo profilo, secondo una impostazione dottrinale di origine europea, il diritto dell'utente a poter chiamare, essere chiamato e trasmettere dati sempre e dovunque costituisce un diritto a soddisfazione necessaria che non può essere compresso o limitato arbitrariamente né da normazioni di livello statale né tantomeno da normazioni di livello inferiore.

Ciò posto, tali diritti potrebbero entrare in conflitto con quelli posti a tutela dell'ambiente, della salute e del corretto assetto del territorio.

Nello specifico, infatti, la tutela dell’ambiente precluderebbe qualunque emissione elettromagnetica artificiale e pertanto qualsiasi apparato/antenna idonea a produrlo; la tutela dell’assetto del territorio, invece, comporterebbe che non vi siano pali, tralicci o altre strutture più o meno impattanti e, infine, la tutela alla salute che si eviti qualsiasi tipo di emissione elettromagnetica in quanto potenzialmente dannosa.

E proprio sulla base della tutela di questi contrapposti principi sorge il conflitto: infatti, i dati scientifici a disposizione non dimostrano in modo certo che le emissioni elettromagnetiche sono dannose per la salute ma il principio di precauzione impone comunque di adottare ogni cautela in vista di danni ipoteticamente possibili, pertanto occorre definire i limiti oltre i quali, precauzionalmente, non sono legittime le emissioni.

Come sostengono i giudici rimettenti, tali limiti segnano la misura dell'incomprimibilità del diritto alla salute e comporterebbero un limite invalicabile per la massimizzazione del diritto alla comunicazione.

Per tale ragione, si impone alle amministrazioni preposte al corretto governo del territorio di trovare le soluzioni che consentano il minor sacrificio dello stesso e, allo stesso tempo, la massima tutela del diritto alla comunicazione, sulla base di valutazioni svolte caso per caso.

In conclusione, alla luce dei contrapposti principi tutelati in ambito europeo e nazionale, il Consiglio di Stato rinviene la necessità di individuare un bilanciamento tra gli stessi; pertanto, sottopone la disciplina nazionale alla verifica della compatibilità con la disciplina europea vigente.