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concorrenza sleale – concorrenza parassitaria

Atti di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 cod. civ. – Concorrenza per appropriazione di pregi e concorrenza parassitaria – Differenze – Requisiti – Prova - Corte di Cassazione, sez. 1, sentenza n. 25607 del 12 ottobre 2018, a cura della Dott.ssa Claudia Borghini.

Fatto. Il Tribunale accoglieva la domanda della AAA_s.r.l., accertando l’illecito concorrenziale compiuto dalla convenuta BBB___s.r.l., alla quale inibiva, ex art. 2599 cod. civ., ogni ulteriore commercializzazione, importazione e pubblicizzazione della rivettatrice DX15, avente le medesime caratteristiche e la stessa forma della rivettatrice RAC 83, prodotta e commercializzata dall’attore fin dai primi anni ’80.

La Corte d’Appello adita dalla BBB___s.r.l., tuttavia, rigettava la domanda attorea revocando l’inibitoria ex art. 2599 cod. civ.. La Corte, in particolare, accertava ed ammetteva che le rivettatrici fossero effettivamente e sostanzialmente identiche, ma escludeva la sussistenza in concreto dei requisiti della concorrenza sleale per appropriazione di pregi, nonché di quelli della concorrenza parassitaria, ai sensi dell’art. 2598 nn. 2 e 3 cod. civ.

Tale decisione veniva, quindi, impugnata per cassazione dalla AAA_s.r.l., soccombente nel secondo grado del giudizio.

Decisione. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, soffermandosi e basandosi tanto sulla definizione della concorrenza sleale per appropriazione di pregi quanto su quella sleale parassitaria, indicandone pertanto i requisiti di inquadramento.

La concorrenza sleale per appropriazione dei pregi dei prodotti o dell’impresa altrui, di cui all’art. 2958 n. 2 cod. civ., “ricorre quando un imprenditore, in forme pubblicitarie o equivalenti, attribuisce ai propri prodotti od alla propria impresa pregi, quali ad esempio medaglie, riconoscimenti, indicazioni di qualità, requisiti, virtù, da essi non posseduti, ma appartenenti a prodotti od all’impresa di un concorrente, in modo da perturbare la libera scelta dei consumatori” (Cass., 07/01/2016, n. 100).

Sulla base di tale premessa, la Corte ha rilevato che qualora, quindi, il prodotto non fosse connotato da pregi tali da conferirgli particolare valore e qualità, e fosse accertata l’avvenuta “volgarizzazione e standardizzazione” del prodotto, sia a livello nazionale che internazionale, sarebbe corretto non riconoscere la sussistenza di un illecito concorrenziale nella forma dell’appropriazione di pregi ai sensi dell’art. 2598 n. 2 cod. civ.

La Corte ha inoltre puntualizzato, confermando altre precedenti pronunce, che “la concorrenza sleale parassitaria, ricompresa fra le ipotesi previste dall’art. 2598 n. 3 c.c., consiste in un continuo e sistematico operare – in un contesto temporale prossimo alla ideazione dell’opera, e prima che questa diventi patrimonio comune di tutti gli operatori del settore – sulle orme dell’imprenditore concorrente attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti, ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo e riguardante comportamenti idonei a danneggiare l’altrui azienda con ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale” (Cass., 29/10/2015, n. 22118). 

La Corte ha pertanto sottolineato che, distinguendosi tale forma di concorrenza dai casi tipici di cui ai precedenti nn. 1 e 2 della medesima disposizione, diversamente deve essere trattata anche sotto il profilo probatorio. Esclusa quindi un’attività imitativa che risulti nell’imitazione servile di cui al n. 1 dell’art. 2598 cod. civ., al fine di provare la sussistenza di atti di concorrenza sleale parassitaria, debbono essere indicate le attività del concorrente “sistematicamente e durevolmente plagiate”, “con l’adozione e lo sfruttamento, più o meno integrale ed immediato, di ogni sua iniziativa, studio o ricerca, contrari alle regole della correttezza professionale”.