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Responsabilità professionale dell’avvocato: presupposti

Diritto al riconoscimento del compenso professionale del difensore - Corte di Appello di Roma n. 7248 del 10 novembre 2023 – Commento a cura di Adriana Nicoletti, Avvocato del Foro di Roma

In tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa (Conf. Cass. 24 ottobre 2017, n. 25112). 

La Corte di appello capitolina ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado, ha rigettato il gravame proposto dagli appellanti ed ha condannato gli stessi a pagare al proprio legale un importo per la prestazione professionale da questi svolta in sede giudiziaria. In sostanza gli appellanti avevano lamentato che il proprio difensore non li aveva assistiti, informati e tutelati sia nel giudizio di usucapione, sia in quello relativo alla fase interdittale, compresa la fase di reclamo, tanto da decidere di revocare il mandato conferito. Il tutto oltre ulteriori addebiti.

Il giudice del gravame ha fondato la sua decisione su di un consolidato orientamento della Corte suprema (Cass. 29 settembre 2009, n. 20828; Cass. 17 gennaio 2007, n. 974; Cass. 11 agosto 2016, n. 16846) ad avviso della quale, l’avvocato può essere considerato responsabile ai sensi dell’art. 1176, co.2, c.c. solo quando, agendo con negligenza o imperizia, abbia compromesso il buon esito della controversia, ma non quando si sia trattato di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, a meno che non abbia agito con dolo o colpa grave.  Ciò in quanto l’inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma solo dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell’attività esercitata.

Tale principio, che ribadisce come l’obbligazione assunta dall’avvocato in favore del cliente sia di mezzi e non di risultato, presuppone anche che la responsabilità del professionista, se individuata nell’adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, non può essere esclusa o diminuita per il solo fatto che la linea difensiva sia stata sollecitata dal cliente stesso. Infatti, è il professionista il solo soggetto che può scegliere, vista la sua competenza, come procedere tecnicamente nell’ambito del giudizio senza, tuttavia, perdere mai di vista gli obblighi posti a suo carico per lo svolgimento di un incarico professionale corretto ed ispirato alle norme dettate dal Codice deontologico forense.

L’avvocato, al fine di escludere la sussistenza di una responsabilità professionale a lui addebitata dal cliente deve dimostrare di avere operato con la diligenza richiesta dalla natura dell’attività esercitata. In questo ambito, ad esempio, è stato affermato che “tra gli obblighi professionali dell'avvocato rientra quello di sollecitare il cliente a consegnargli la documentazione necessaria all'espletamento dell'incarico, il cui adempimento è onere dell'avvocato medesimo provare, onde non incorrere in responsabilità professionale” (Cass. 30 maggio 2023, n. 15271. Nella specie, la S.C. ha cassato, con rinvio, la sentenza di merito che, negando la responsabilità di un avvocato per il ritardo nella proposizione di un ricorso ex art. 700 c.p.c. aveva ritenuto a carico del cliente l’onere di dimostrare la tempestiva consegna al legale della documentazione necessaria per l'instaurazione del procedimento).