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Rapporto di lavoro privato - Portiere – Corte di Cassazione, Sez. Lav.- Ordinanza n. 34019 del  12 novembre 2021 -  commento

Condominio – Retribuzione portiere – Decesso – Intervento in causa dei figli n.q. di eredi – prova della legittimazione ad causam - riconoscimento del diritto - Corte di Cassazione, Sez. Lav. – Ordinanza n.  34019   del 12 novembre   2021 a cura di Adriana Nicoletti – Avvocato del Foro di Roma – Commento

 

FATTO. La Corte di Appello di Napoli, confermando la sentenza di primo grado, condannava il condominio a pagare, in favore degli eredi della loro dante causa ed intervenuti nel corso del primo giudizio, una somma per il rapporto di lavoro di portierato intercorso tra lo stesso condominio e la defunta attrice e madre degli stessi intervenuti. Depositato il certificato di morte, il convenuto condominio nulla aveva da eccepire in ordine all’intervento volontario degli eredi. Solo in sede di comparsa conclusionale, per la prima volta, il condominio eccepiva la carenza di prova di legittimatio ad causam degli eredi.

La Corte del merito si uniformava alla decisione assunta dal giudice di primo grado, il quale aveva dato per non contestata l’affermata qualità di eredi degli intervenuti poiché, nel corso della lunga istruttoria, il difetto di prova della legittimazione non era mai stato sollevato, talché l’eccezione formulata nella comparsa conclusionale era tardiva e da considerare una non contestazione. Quanto al merito della questione, altrettanto corretta era la ricostruzione del rapporto di portierato tra il condominio e la defunta portiera.

Avverso la sentenza di appello il condominio proponeva ricorso per cassazione lamentando, per quanto di specifico interesse, che la prova della titolarità attiva del rapporto spetta alla parte istante, mentre la sua contestazione assurge a mera difesa ed è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio. Il tutto con una asserita inconciliabilità della decisione della Corte sul punto stesso (applicabilità del principio di con contestazione da parte del convenuto, da un lato e, dall’altro, deposito da parte degli intervenuti a seguito dell’eccezione dello stato di famiglia). Veniva, altresì, censurata come impropria l’acquisizione agli atti del giudizio del certificato di famiglia, trattandosi di documento non idoneo a provare la titolarità del diritto controverso in capo agli intervenuti. 

DECISIONE. I primi tre motivi, esaminati congiuntamente non hanno trovato accoglimento. Ha osservato, infatti, la Corte Suprema che la decisione impugnata era in linea con i principi espressi dagli stessi giudici di legittimità (Cass. SS.UU. 16 febbraio 2016, n. 2951) i quali hanno ritenuto che “la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all'attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto. Ne consegue che la valutazione in ordine all’onere della prova non rientra nella competenza della Corte di Cassazione. Entrambi le decisioni del merito erano, pertanto, corrette, poiché la prova della legittimazione degli eredi era emersa sì da un documento depositato successivamente, ma dopo che l’eccezione era stata sollevata dal condominio, del quale andava valutata anche la condotta processuale non improntata ai canoni di lealtà e probità, che impongono di collaborare, fino dalle prime battute processuali, a circoscrivere la materia del contendere. 

In ogni caso, la stessa Corte rammentava che se è vero che colui che si costituisce in giudizio come successore a titolo universale di una delle parti deve provare detta qualità, è altrettanto vero che – secondo il costante orientamento della giurisprudenza– il mancato adempimento di tale onere non può essere fatto valere, in assenza di qualsivoglia contestazione sul punto, nè in sede di precisazione delle conclusioni, né tanto meno in comparsa conclusionale

Per quanto concerne, infine, la situazione del figlio che aziona un diritto del genitore del quale afferma di essere erede – come nella fattispecie – la confutazione del suo “status” priva della contestazione specifica del rapporto di discendenza con il de cuius non richiede al discendente di dimostrare tale legame tramite l’atto di stato civile, attestante la filiazione, essendo sufficiente che l’erede abbia accettato, anche tacitamente, l’eredità a titolo di successione legittima (cfr. Cass. 19 marzo 2018, n. 6745).