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Condominio – spese comuni - Opposizione a decreto ingiuntivo - usufruttuario corte di cassazione, sez. 2, sentenza n. 32993 del 13 dicembre 2019 - commento

casettaOpposizione a decreto ingiuntivo - usufruttuario – legittimazione passiva -  corte di cassazione, sez. 2, sentenza n. 32993 del 13 dicembre 2019 a cura di Adriana Nicoletti – Avvocato del Foro di Roma – Commento

FATTO. Una società proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con il quale le era stato ingiunto di versare al condominio spese condominiali di cui era morosa. Per quanto di specifico interesse il condominio si costituiva contestando le domande e, in via preliminare, eccepiva la carenza di legittimazione attiva della società in quanto usufruttuaria e non proprietaria. Opposizione e conseguente appello venivano rigettati.

Il giudice del gravame, in particolare, riteneva infondato il motivo con il quale la società usufruttuaria aveva dedotto la propria carenza di legittimazione passiva rispetto alla richiesta, da parte del condominio, del pagamento di spese spettanti al nudo proprietario.

Su tale motivo la Corte di appello, infatti, aveva evidenziato che la opponente, in prima battuta, aveva eccepito la non debenza della somma e successivamente, la carenza della legittimazione ad essere destinataria del decreto ingiuntivo. Osservava sul punto il giudice del merito che, mentre la legitimatio ad causam, nel duplice aspetto di legittimazione ad agire e a contraddire, è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, l’attuale ricorrente aveva sostenuto che le erano state addebitate spese ad essa non imputabili in quanto usufruttuaria. Argomento, questo, che più che alla legittimazione passiva atteneva alla titolarità passiva del rapporto, da fare valere nel primo atto difensivo (nella specie: atto di citazione) e non nel corso della prima udienza.

Avverso tale sentenza la soccombente ricorreva in Cassazione e l’impugnativa per questo profilo – ritenuto assorbente rispetto a tutti gli altri – veniva accolta con rinvio ad altra sezione della corte di appello.

DECISIONE. La censura della ricorrente si basava sulla considerazione che la Corte di appello non aveva considerato che la questione posta dall’usufruttuario e concernente la titolarità, attiva o passiva, del rapporto sostanziale costituiva una mera difesa, la cui rilevabilità non è soggetta a preclusioni temporali. La Suprema Corte accoglieva tale tesi richiamando la costante giurisprudenza, secondo la quale “le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall'attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l'eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l'allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti” [1].

Nella motivazione, tuttavia, manca un elemento essenziale ovvero che “nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la posizione processuale delle parti risulta invertita, nel senso che l’opponente (attore in senso formale) è convenuto in senso sostanziale, mentre l’opposto (convenuto in senso formale) è attore in senso sostanziale, di modo che è quest’ultimo a soggiacere ai conseguenti oneri probatori relativi ai fatti costitutivi della pretesa fatta valere in sede monitoria” [2]. Quindi, nella fattispecie, la società opponente, quale convenuta, poteva giovarsi del consolidato orientamento giurisprudenziale.

[1] Cass. S.U., 16 febbraio 2016, n. 2951. Conf. Cass., 20 dicembre 2017, n. 30545

[2] Trib. Roma 07 agosto 2018, n.16333.