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Condominio – spese comuni –- corte di cassazione, sez. 2, ordinanza n. 28282 del 04 novembre 2019

Riscaldamento centralizzato contabilizzato- ripartizione spese – delibera regionale che individui i criteri di ripartizione – atto amministrativo – irrilevanza ai fini della suddivisione delle spese -  corte di cassazione, sez. 2, ordinanza n. 28282 del 04 novembre 2019 a cura di Adriana Nicoletti – Avvocato del Foro di Roma – Commento

FATTO. Un condomino, risultato soccombente in entrambi i giudizi di merito, ricorreva in Cassazione avverso la sentenza di secondo grado. Oggetto della controversia era la domanda di declaratoria di nullità della delibera assembleare, che aveva ripartito le spese del riscaldamento centralizzato contabilizzato, alimentato da gas metano, suddividendole in base al consumo conteggiato nella misura del 50% e per la restante quota secondo i millesimi di proprietà. Il ricorrente sosteneva che tale riparto non fosse conforme né alla delibera della Regione Lombardia, né alla normativa di attuazione di cui al Regolamento UNI CTI 10200 espressamente richiamata dalla Giunta regionale. Ad avviso del condomino, infatti, la quota da suddividere per millesimi doveva riguardare solo la spesa di manutenzione dell’impianto e la quota di combustibile non direttamente imputabile (poiché legata alla dispersione termica dell’edificio), mentre la residua quota doveva essere ripartita secondo i consumi effettivamente registrati.

I due motivi di ricorso, trattati congiuntamente dai Giudici di legittimità, riproponevano sostanzialmente quanto già eccepito in entrambi i giudizi di merito. La Suprema Corte accoglieva il ricorso, rinviando la causa ad altra sezione della Corte di appello. 

DECISIONE. I Giudici, richiamati i precedenti legislativi antecedenti alla legge n. 220/2012 ed aventi ad oggetto l’adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore, hanno evidenziato che la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che nelle materie di competenza legislativa regionale residuale o concorrente, la legge di rango superiore, in forza dell’art. 117, comma 2, lett. l), Cost., pone un limite diretto ad evitare che la norma regionale incida su un principio di ordinamento civile. Infatti, garantire sul territorio nazionale una uniformità di regole  fondamentali di diritto, che disciplinano i rapporti giuridici fra i privati, rappresenta - secondo la Corte  costituzionale - l’esplicazione di un principio di eguaglianza.

In questo ambito il giudicante ha rammentato che già in passato il Giudice costituzionale (Corte cost. 14 novembre 2008, n. 369: fattispecie relativa allo svolgimento di attività di bed&breakfast in appartamenti situati in condominio) aveva affermato che una norma regionale non può incidere direttamente sul rapporto civilistico tra condomini e condominio. Pertanto, con riferimento al caso concreto, la stessa normativa regionale non può indicare i criteri di ripartizione degli oneri di contribuzione per la conservazione delle parti comuni o per la prestazione dei servizi comuni, andando a modificare la portata dei diritti e la misura degli obblighi spettanti ai singoli comproprietari, come fissati dalla legge statale o da una convenzione negoziale.

A maggior ragione, quindi, una delibera della Giunta regionale, che è atto formalmente e sostanzialmente amministrativo, non potrà mai incidere sulla materia di ripartizione degli oneri condominiali. Discorso, questo, che si estende anche alla norma UNI, trattandosi di disposizioni tecniche a base volontaria e che, in ogni caso, per essere recepite nel   regime condominiale richiedono l’approvazione  unanime dei condomini se ed in quanto dettate in deroga ai criteri legali di ripartizione delle spese comuni.

Sulla base di tali considerazioni la Corte di cassazione ha ritenuto inammissibili le censure avanzate dal ricorrente con riferimento alla delibera della regione Lombardia, in quanto non contenente norme di diritto.

Come conseguenza, per ciò che concerne  il profilo di nullità della delibera assembleare (ripartizione delle spese di riscaldamento per il 50% in base al consumo conteggiato e per il restante 50% in base alla tabella millesimale), la Corte ha rilevato l’errore in cui era incorso il Giudice dell’appello, il quale aveva affermato, semplicemente, che la normativa di riferimento era  la delibera della Giunta regionale Lombardia, rimettendo al ricorrente l’onere probatorio di dimostrare la nullità della decisione assembleare.

Infatti, secondo quanto affermato dalla stessa Corte a sezioni unite, quando sia stata proposta una domanda di nullità negoziale il Giudice adito, anche in sede di appello e di cassazione, deve rilevare d’ufficio l’esistenza della causa di nullità anche se diversa da quella allegata dall’istante (Cass. Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26242). Inoltre, secondo la corrente giurisprudenza, le spese del riscaldamento centralizzato possono essere variamente ripartite in base al valore millesimale delle singole unità immobiliari servite solo ove manchino sistemi di misurazione del calore erogato in favore di ciascuna di esse, che ne consentano il riparto proporzionale all’uso (Cass. 04 agosto 2017, n. 19651; Cass. 09 marzo 2017, n. 6128; Cass. 07 novembre 2016, n. 22573).

In conseguenza, nell’accogliere il ricorso, i Giudici di legittimità hanno enunciato il seguente principio di diritto:

“le spese del riscaldamento centralizzato di un edificio in condominio, ove sia stato adottato un sistema di contabilizzazione del calore, devono essere ripartite in base al consumo effettivamente registrato, risultando perciò illegittima una suddivisione di tali oneri operata, sebbene in parte, alla stregua dei valori millesimali delle singole unità immobiliari, né possono a tal fine rilevare i diversi criteri di riparto dettati da una delibera della giunta regionale, che pur richiami specifiche tecniche a base volontaria, in quanto atto amministrativo comunque inidoneo ad incidere sul rapporto civilistico tra condomini e condominio”