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Espressioni sconvenienti e offensive - illecito non scriminato dalla provocazione altrui Consiglio Nazionale Forense , sentenza del 15 ottobre 2012, n. 148

La provocazione (e lo stato d’ira che da questa dovesse derivare) non esclude l’infrazione alla regola deontologica di cui all’art. 20, comma I, c.d.f., ma, al più, può solo essere considerata come possibile attenuante ai fini della riduzione della sanzione.Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 15 ottobre 2012, n. 148

 Consiglio Nazionale Forense , sentenza del 15 ottobre 2012, n. 148

FATTO
Con memoria difensiva, datata 16 dicembre 2004, depositata in un procedimento civile di natura risarcitoria, l’incolpato criticava l’operato della Collega, difensore di controparte, Avv. Maria Grazia Ma.., censurandolo come, a suo dire,
sconcertante, al punto da ritenerlo, come si legge alla pag. 8 dell’atto anzidetto, gravemente lesivo del prestigio dell’avvocatura non avendo, la Collega, assistito “il cliente nel migliore dei modi”. Concludeva, fra l’altro, chiedendo al Giudice designato di accertare se il comportamento della Collega fosse conforme ai precetti deontologici, instando, in caso contrario, affinchè fosse il medesimo giudice ad informare il P.M. per l’avvio del conseguente procedimento disciplinare.
Tali considerazioni erano poi oggetto di un esposto presentato sempre dall’Avv. M. al C.O.A. di Roma con lettera del 27 maggio 2005. In tale occasione, l’odierno incolpato deduceva altresì l’avvenuta infrazione dei precetti di cui agli artt. 3, 8 e 12 del Codice deontologico.
Il Consiglio dell’Ordine di Roma informava l’accusata dell’avvenuto deposito dell’esposto e riceveva l’8 luglio 2005 dalla medesima le rituali controdeduzioni, nonché una specifica doglianza in ragione delle accuse rivoltele dall’Avv. M. e la conseguente, formale richiesta di accertare se il comportamento del medesimo potesse ritenersi deontologicamente corretto.
Il COA, pertanto, in data 14 novembre 2005 informava l’avv. M. della circostanza, invitandolo ad esprimere al riguardo la sua opinione. Questi rispondeva con lettera recapitata all’Ordine il 5 dicembre successivo, con la quale, da un lato, respingeva gli addebiti mossigli dall’Avv. Ma.. e, dall’altro, ribadiva le censure già in precedenza svolte verso l’operato della Collega.
Con deliberazione del 12 ottobre 2006, il COA disponeva l’archiviazione del procedimento aperto nei confronti dell’Avv. Ma...
Nella medesima seduta, peraltro, deliberava di aprire un procedimento disciplinare nei confronti dell’Avv. V. A. M., formulando il seguente capo di incolpazione, poi integralmente mantenuto anche nella successiva citazione del 18 settembre 2008 a comparire avanti il Consiglio il giorno 4 dicembre 2008:
«A) Nella qualità di difensore della sig.ra Gemma Ca.., nel giudizio da quest'ultima intrapreso nei confronti del Condominio di via Monte del Gallo n. 45 per ottenere il risarcimento dei danni subiti e quantificati complessivamente Euro 45.000, 00 circa, a seguito di incidente occorsole all'interno dello stabile sito in Roma Via Monte del Gallo n. 45 nella memoria difensiva, depositata ex art. 183, comma 5° c.p.c., chiedeva, senza che fosse necessario ai fini difensivi e pur essendo consapevole della eccepita inoperatività della polizza assicurativa del condominio e del diniego al risarcimento del danno manifestato dalla compagnia assicuratrice "Le Assicurazioni
d'Italia", al Giudice designato per la trattazione della causa e nei confronti dell'avv. Maria Grazia Ma.., nominata difensore dal convenuto condominio di Via Monte del Gallo n. 45, regolarmente costituitasi in giudizio per tutelare gli interessi del cliente di: " . . . verificare il comportamento dell'avv. Ma.. e se ritenuto non conforme ai precetti deontologici informare il P.M. per l'avvio del procedimento disciplinare per avere ella, seppure rendicontata sull'esistenza di una polizza assicurativa prevedente, tra le varie, il patto di polizza c.d. gestione della lite, inutilmente appesantito l'onere economico del condominio di via Monte del Gallo sottoponendolo al pagamento dei suoi onorari"; di ammettere il seguente capitolo di prova testimoniale "Vero che non eravate informati della superfluità dell'intervento dell'avv. Maria Grazia Ma.. poiché già prevista l'assistenza legale agli obblighi contrattuali assunti dall'Assitalia?";
eccepiva, argomentando sul punto, nella suindicata memoria difensiva, la responsabilità deontologica della difesa avversaria, lo sconcerto per l'operato dell'avv. Maria Grazia Ma.., la responsabilità personale di quest'ultima per una difesa ritenuta superflua, la condotta gravemente nociva per il prestigio dell'Avvocatura non avendo l'avv. Ma.. assistito il cliente nel migliore dei modi. B) Ribadiva, nell'esposto presentato al Consiglio il 31 maggio 2005, tali negative valutazioni, aggiungendo che "l'avv. Ma.. è venuta meno al dovere di fedeltà nel momento in cui non ha evitato al cliente ogni pregiudizio tenendo un comportamento consistente nel compimento di atti consapevolmente contrari all'interesse del proprio assistito" e che, nell'ipotesi in cui fosse ravvisabile "... solo colpa stante l'assenza di volontarietà, la stessa "(ossia l'avv. Ma..)" incorrerebbe comunque in un illecito non avendo per incompetenza informato dell'esistenza di una clausola di così fondamentale importanza quale gestio litis, in violazione dell'art. 12 che prevede la necessarietà della competenza a svolgere un incarico prima dell'accettazione".
Con tale condotta violava il divieto di uso di espressioni sconvenienti ed offensive nei confronti della Collega, sancito dall'art. 20 del Codice Deontologico nonché l'obbligo di mantenere un comportamento ispirato a correttezza e lealtà nei confronti del Collega previsto dall'art. 22 del Codice Deontologico.
Veniva così meno ai suindicati doveri compromettendo la propria dignità professionale.
Fatti accaduti in Roma, dal dicembre 2004 al 31 maggio 2005".
A fronte della notifica dell’atto di incolpazione e citazione a giudizio, l’Avv, M. depositava memoria difensiva il successivo 5 novembre, con la quale eccepiva:
-errata ricostruzione dei fatti e travisamento dei medesimi, non avendo il COA procedente compreso che il Condominio era stato necessariamente citato non avendo la danneggiata sua cliente azione diretta nei confronti dell’Assicuratore;
-errore e travisamento nel ritenere che la polizza Assicurativa della responsabilità civile condominiale non fosse efficace nella fattispecie per cui era causa.
Ribadiva altresì la fondatezza delle ragioni rappresentate nell’esposto archiviato, ne chiedeva il rinnovato esame, instando affinchè fosse avviata l’azione disciplinare nei confronti dell’Avv. Maria Grazia Ma.. e venisse viceversa archiviato il procedimento aperto nei Suoi confronti.
Non si opponeva, infine ed in subordine, all’archiviazione dei reciproci esposti.
All’udienza succitata, il Consiglio ascoltava la testimonianza resa dall’avv. Maria Grazia Ma.., oggetto delle censure processuali e dell’esposto dell’Avv. M., respingeva le istanze istruttorie di quest’ultimo, condiderandole non pertinenti ed irrilevanti e, ritenutane la responsabilità disciplinare, infliggeva al medesimo la sanzione della censura.
L’impugnazione del ricorrente è sostanzialmente proposta sulla scorta di sette motivi di ricorso.
L'incolpato lamenta, in primo luogo, eccesso di potere del C.O.A. di Roma, dovuto sia al travisamento dei fatti che formano oggetto del presente procedimento, sia alla mancata considerazione della responsabilità professionale ravvisabile nel comportamento della controparte condominiale e del difensore del medesimo.
Secondariamente, eccepisce un presunto sviamento di potere da parte del C.O.A. giudicante. Rileva, infatti, che il Consiglio avrebbe omesso, da un lato, di apprezzare l’offensività delle espressioni rivolte dalla Collega Ma.. nei suoi confronti, dall’altro invece, avrebbe contraddittoriamente ritenuto che le sue censure disciplinari all’operato della Collega dovessero essere perseguite.
Con il terzo motivo di impugnazione, lamenta carenze procedurali del giudizio ed insufficiente motivazione del provvedimento impugnato, nonchè eccesso di potere del giudicante, il quale avrebbe travisato e/o erroneamente ricostruito i fatti.
Con il quarto motivo sostiene come la sollecitazione – rivolta al Giudice in sede civile – di trasmettere gli atti di causa al Pubblico Ministero al fine di intraprendere azione disciplinare nei confronti della Collega, qualora ne fossero stati ravvisati gli estremi, fosse espressione di un proprio diritto-dovere.
Con il quinto motivo di impugnazione, lamenta la scarsa attenzione riservata dal Relatore alle sue difese, la probabile non conoscenza da parte del medesimo della materia oggetto della causa instaurata dalla sua assistita nei confronti del
Condominio assistito dall’Avv. Ma.., nonchè un’irrimediabile carenza istruttoria, da ravvisarsi nella mancata ammissione dei testi indicati sulle circostanze dedotte. Di qui, a suo dire, l’evidente violazione del suo diritto di difesa.
Con il sesto motivo reitera, sotto un ulteriore profilo, il vizio di eccesso di potere in cui sarebbe incorso il Consiglio giudicante, il quale avrebbe erroneamente valutato le circostanze inerenti la contestata copertura assicurativa, al punto che era stata radicata una nuova causa civile nei soli confronti della Compagnia assicuratrice.
Da ultimo, con il settimo motivo di impugnazione, paventa la presunta incostituzionalità della norma, alla quale, a suo parere, sarebbe ricorso il Consiglio dell’Ordine di Roma, che impedirebbe ad un Avvocato di sollecitare un giudizio disciplinare nei confronti di un Collega.
In forza dei motivi addotti, l’incolpato conclude chiedendo l’archiviazione del procedimento nei suoi confronti, mentre, in via istruttoria, insta per la rinnovazione dell’esame testimoniale dell’Avv. Ma.. e l’ammissione delle prove testimoniali richieste e non ammesse dal Consiglio capitolino.
DIRITTO
In base al primo motivo di ricorso, l’eccesso di potere di cui il COA si sarebbe reso responsabile conseguirebbe dal travisamento dei fatti oggetto del presente giudizio.
In realtà, i fatti in ragione dei quali il Consiglio di Roma aveva deliberato il rinvio a giudizio erano emersi dagli atti e dai verbali del processo civile nel quale l’Avv. M., difensore di parte attrice, si era confrontato con l’Avv. Ma.., legale di parte convenuta. Al riguardo, il COA aveva rilevato la possibile infrazione ai precetti recati dagli artt. 20 e 22 del Codice Deontologico Forense.
Ogni richiamo ad altri accadimenti riconducibili al succitato processo, costituiti da asseriti comportamenti, od affermazioni offensive, od omissioni, che l’avv. M. attribuisce all’Avv. Ma.. sono ultronei al fine della decisione che dovrà essere presa.
Il primo motivo è, pertanto, infondato.
Con il secondo motivo, il ricorrente eccepisce che il COA si sarebbe reso responsabile di sviamento di potere a causa dell’uso asseritamente inappropriato della giurisdizione domestica.
Il fondamento di tale doglianza risiederebbe nel fatto che il Consiglio capitolino, nell’archiviare l’esposto presentato dall’incolpato nei confronti dell’Avv. Ma.., si sarebbe reso connivente con la medesima in ordine alle offese che quest’ultima avrebbe rivolto al ricorrente.
Il motivo, esula, però, dal thema decidendum, che ha a che vedere solo con i doveri di non usare espressioni sconvenienti nei confronti dei Colleghi “Indipendentemente dalle disposizioni civili e penali ::” (art. 20) e con il dovere di comportarsi con ogni Collega in modi corretti e leali (art. 22).
Pare opportuno ricordare, a tale proposito ed ovviamente a prescindere da qualsivoglia giudizio sulle accuse rivolte dall’Avv. M. all’Avv. Ma.., che il can. 1 dell’art. 20 del Cod. Deont. For. prevede che l’aver eventualmente subito ritorsioni, ovvero provocazioni od anche offese non esime l’Avvocato dall’obbligo di non usare espressioni sconvenienti verso il Collega che gliele avrebbe rivolte.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta carenza della motivazione, mancanza del procedimento, travisamento dei fatti, errori nella ricostruzione dei medesimi ed anche “sistema della esposizione rilevante”.
La motivazione della decisione impugnata è certamente sintetica, ma lo sono anche le espressioni ritenute sconvenienti, dal COA, che le ha diligentemente riportate, concludendo che l’attribuire al difensore di controparte la mancanza di scrupolo nel compilare “atti contrari al proprio assistito”, con la conseguenza di appesantire “l’onere economico” della causa incida direttamente sulla onorabilità del medesimo.
Detta valutazione può essere condivisa solo che si pensi alla gratuità delle affermazioni attribuite all’Avv. M. e da questi non smentite; affermazioni che sono il frutto di considerazioni unilaterali, prive di interesse dal punto di vista processuale atteso che l’accoglimento della domanda attorea sarebbe stato deciso dal Giudice della causa a prescindere dalla maggiore o minore economicità della difesa di parte convenuta.
L’eventuale carenza (e non assenza) della motivazione, peraltro, non farebbe discendere la nullità della decisione, essendo nelle prerogative di questo Consiglio, quale giudice del merito ed ai sensi dell’art. 51, comma 3, del R.D. n. 37/1934, integrare le motivazioni delle decisioni impugnate sulla scorta delle risultanze in atti.
Può pertanto osservarsi che la memoria difensiva ex art. 183 comma 5 cpc dell’Avv. M. del 16 dicembre 2004 reca altre espressioni rivolte all’Avv. Ma.., quali quella leggibile a pag. 8: “la collega, aggravava ancor di più la situazione, procedendo imperterrita nella superflua difesa … (omissis) … omettendo anch’ella, …. , non si sa se per non conoscenza o per l’interesse suo personale, …”.
Ed ancora, sempre alla pag. 8: “a parere dell’esponente, con tale condotta, l’Avv. Maria Grazia Ma.. ha nuociuto gravemente il prestigio dell’Avvocatura non assistendo il cliente nel migliore dei modi, ..”.
Orbene, come già rilevato con riferimento alle espressioni richiamate in motivazione dal COA di Roma, anche in questi casi siamo di fronte a giudizi nei quali si adombrano (non si sa), ma anche si affermano (non assistendo), comportamenti professionalmente disdicevoli. E ciò, senza che possa essere invocata un’eventuale convenienza processuale e difensiva.
La doglianza è conseguentemente infondata.
Il quarto motivo di impugnazione consiste nell’eccepire che l’aver sollecitato il Giudice della causa ed il Pubblico Ministero a promuovere l’azione disciplinare costituisce un diritto-dovere del professionista.
Da ciò discenderebbe, secondo l’incolpato, un deficit sia del procedimento, che del provvedimento.
Le conseguenze che l’incolpato trae dalla considerazione preliminare sono però infondate ed inconferenti.
Se, infatti, nulla osta a che un avvocato possa rappresentare con toni ed espressioni urbane al proprio Consiglio comportamenti di altro Collega, ritenuti lesivi dei precetti deontologici, l’eventuale archiviazione del relativo esposto non induce alcuna mancanza nell’eventuale procedimento contrario aperto nei confronti dell’originario denunciante. Tanto meno, può ritenersi che ne risulterebbe inficiato anche il provvedimento, purchè quest’ultimo motivi, anche succintamente, ma sufficientemente come la decisione impugnata, con riferimento ai capi di incolpazione.
Il quinto motivo del ricorso viene definito come “Carenza del procedimento e mancato inquadramento della controversia”.
Esso trae esplicitamente spunto dalla sensazione dell’Avv. M. che i suoi scritti difensivi non siano stati letti e che, per di più, il Relatore fosse digiuno in materia di risarcimento da sinistri. Non si spiegherebbe altrimenti, secondo lui, il mancato apprezzamento delle numerose eccezioni e censure svolte nell’ambito del procedimento civile, che, a parere del ricorrente, avrebbero consentito al COA di inquadrare correttamente la controversia.
Si tratta in tutta evidenza di un’ipotesi non comprovata, prina, di conseguenza, di efficacia.
Del pari, peraltro, detto asserito vizio consentirebbe di comprendere perché non siano stati ammessi i testi dedotti.
Nell’odierna sede e ad ulteriore sostegno delle proprie argomentazioni, il ricorrente, nell’insistere per l’ammissione della prova testimoniale già dedotta, ha altresì introdotto in atti due distinte dichiarazioni, raccolte, ai sensi degli artt. 391 bis e ter
cpp, nei confronti della Sua assistita, nel più volte richiamato procedimento civile, e del di lei coniuge.
Si deve preliminarmente ricordare che, all’udienza del 4 dicembre 2008, il Consiglio capitolino ritenne l’anzidetta richiesta istruttoria, contenuta nella memoria difensiva depositata il 10 novembre 2008, non pertinente ed irrilevante.
La decisione, della quale si deve rilevare l’estrema sinteticità, è da valutare alla luce delle circostanze di fatto (e non) sulle quali i testimoni indicati avrebbero dovuto essere sentiti.
Esse attengono, per quanto riguarda i testi Ca.., Speranza, Turchi e Testa, a fatti riconducibili alla causa civile nella quale l’Avv. M. difendeva l’attrice Sig.ra Gemme.
L’Avv. Ma.., teste indicato dal COA e regolarmente ascoltato, era stato indicato, invece, per riferire sue asserite dichiarazioni di incompetenza tecnica e/o non conoscenza della materia trattata nel succitato processo.
Da ultimo, i testi Malara, Marchetti ed Archidiacono avrebbero dovuto riferire sull’attività professionale e socio-politica dell’Avv. M. e sul suo equilibrio mentale.
E’ evidente che nessuna delle circostanze dedotte a prova ha attinenza con i capi di incolpazione, sicchè la decisione del Consiglio di Roma di non ammetterne alcuna è condivisibile.
Il medesimo giudizio di inconferenza ed ininfluenza ai fini del decidere deve essere espresso, infine, anche con riferimento alle dichiarazioni testimoniali raccolte, ai sensi degli artt. 391 bis e ter cpp, nei confronti dei coniugi Ca.. e Speranza, ai quali sono state chieste notizie in ordine alla loro conoscenza, o meno, dell’avv. Ma.. e se fosse vero che i condomini riponessero fiducia nella medesima.
Con il penultimo motivo, il ricorrente eccepisce che il COA sarebbe incorso nel vizio di eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti, avendo, a suo dire, indebitamente rappresentato nel capo di incolpazione, alla lettera A, comma 2, che il ricorrente era “consapevole dell’eccepita inoperatività della polizza” da parte della Compagnia assicuratrice del Condominio.
L’eccezione è infondata, atteso che è in atti, alla pag. 57 del fascicolo del procedimento disciplinare avanti il COA, una lettera dell’Avv. M. alla Compagnia, nella quale egli dà atto di conoscere la circostanza succitata.
Il COA, quindi, non ha erroneamente valutato il fatto, ma si è limitato a richiamarlo correttamente.
Con il settimo motivo, da ultimo, l’Avv. M. solleva una questione di legittimità costituzionale avverso la asserita impossibilità di “adombrare il sospetto di una responsabilità professionale di un Avvocato”.
Al riguardo, però, non viene indicata la, ovvero le disposizioni sostanziali, disciplinari o deontologiche ritenute incostituzionali, né la norma costituzionale che sarebbe stata violata.
Ne consegue che la questione posta è manifestamente inammissibile.
Per tutto quanto sopra esposto, attesa l’infondatezza delle eccezioni svolte, il ricorso è da ritenersi infondato.
P.Q.M.
Il Consiglio Nazionale forense, riunito in Camera di Consiglio;
visti gli artt. 50 e 54 del R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 e 59 e segg. del R.D. 22.01.1934, n. 37;
respinge il ricorso.
Così deciso in Roma lì 21 giugno 2012