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Prescrizione - Illecito deontologico a carattere continuativo - Consiglio Nazionale Forense, decisione del 15-12-2011, n. 206

Istanza di verificazione della firma della denunciante - Inammissibilità - Oggetto del potere istruttorio del giudice di appello -  Doveri di probità, dignità, fedeltà, correttezza e decoro - Rapporti con la parte assistita - Contegno elusivo - Il termine di prescrizione dell'azione disciplinare, ai sensi dell'art. 51, r.d.l. 1578/1933, è fissato in cinque anni dalla consumazione del fatto disciplinarmente rilevante e si interrompe a seguito della notifica all'incolpato della delibera di apertura del procedimento disciplinare ovvero dal compimento di altri atti propulsivi del procedimento, come la delibera di rinvio a giudizio dell'incolpato; tali atti devono ritenersi idonei a determinare l'effetto interruttivo della prescrizione, a prescindere dalla loro successiva notifica al professionista, essendo sufficiente il solo compimento degli stessi quale manifestazione di volontà di procedere. Qualora, poi, la violazione deontologica sia integrata da una condotta protrattasi nel tempo, la decorrenza del termine ha inizio dalla cessazione della condotta medesima. E' inammissibile l'istanza di verificazione della firma della denunciante proposta dal ricorrente, ai sensi dell'art. 63 Reg. att., trattandosi di mezzo istruttorio che la parte è tenuta a proporre - secondo il dettato del codice di procedura civile applicabile al giudizio disciplinare - nel giudizio davanti al C.O.A. territoriale e non può farsi oggetto del potere istruttorio del giudice d'appello: potere residuale attribuito dalla norma invocata al fine di integrare carenze non imputabili all'incolpato, e non certo per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado. L'adozione, da parte dell'avvocato, di contegni elusivi volti ad impedire alla cliente di conoscere gli esatti termini dell'accordo raggiunto con la compagnia di assicurazione, al fine di ottenere dalla conclusione della pratica un maggior profitto in suo favore, integra sicuramente altrettante violazioni dei doveri di probità, dignità, fedeltà, correttezza e decoro sanciti dagli artt. 5, 6, 7, 35, 40 e 42 c.d.f. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Milano, 12 maggio 2008). Consiglio Nazionale Forense, decisione del 15-12-2011, n. 206

 

Consiglio Nazionale Forense, decisione del 15-12-2011, n. 206

FATTO
In data 1/06/2004 perveniva al COA di Milano un esposto e contestuale ricorso in prevenzione, protocollato con il n. 565, con il quale la signora B. D. V. allegava:
- Di essersi rivolta all'avv. G. I., nel febbraio 2003, perché l'assistesse in una pratica di risarcimento dei danni alla stessa occorsi in occasione di un sinistro stradale avvenuto il 29 gennaio 2003, nel quale la stessa riportava una grave lesione alla gamba sinistra – frattura scomposta pluriframmentaria - con conseguente invalidità permanente.
- L'avv. I. instaurava la causa civile, nei confronti del responsabile M. R. e della Compagnia Assicuratrice D. L. I. Spa nanti il Tribunale di Milano con prima udienza fissata per il 19.01.2004 davanti il Giudice dott. Ferrari.
- Sempre nello stesso mese di gennaio l'avv. I. comunicava alla cliente di avere ricevuto dalla Assicurazione una proposta transattiva di corresponsione della somma complessiva di € 100.000,00 a fronte dell'abbandono del giudizio e della trasmissione di tutta la documentazione relativa alle spese sostenute.
- All'inizio del febbraio 2004 la Signora D. V. comunicava verbalmente al legale la propria accettazione della proposta transattiva e, da questi richiesta, gli forniva le coordinate bancarie per consentire alla Compagnia assicuratrice di provvedere al pagamento, chiedendo contestualmente di indicarle, con nota specifica, l'esatto importo delle spese e competenze spettantigli.
- In data 16.03.2004 la Signora A. R., cognata a ciò incaricata dalla esponente, ritirava presso lo studio del legale un assegno di € 100.000,00, e nello stesso contesto riceveva la quantificazione delle competenze, quantificate in € 20.000,00, senza peraltro fornire nota specifica.
- Successivamente, e dopo numerose richieste, il legale consegnava, sempre alla R. una notula, non intestata, sottoscritta o datata, nella quale indicava in complessivi € 17.602,00 l'ammontare delle sue competenze.
- L'esponente, considerato il rilevante importo e l'assenza comunque di una specifica analitica si rivolgeva ancora una volta al legale, tramite la cognata ed una nipote praticante avvocato, per avere ulteriori chiarimenti e insospettita dal comportamento del legale, che rifiutava di comunicare neppure telefonicamente con i suoi familiari, si rivolgeva direttamente al Liquidatore della D. L. I. per avere notizie in merito all'esatto importo delle competenze dovute all'avv. I..
- Tra i documenti forniti in copia da questi l'esponente rinveniva un atto di transazione e quietanza, a suo dire, da lei mai ricevuto né sottoscritto: la quietanza recava l'importo di € 100.000,00 comprensivo di capitale, accessori e spese, la dicitura testuale "provvediamo contestualmente a liquidare spese e competenze del legale patrocinatore da lei incaricato nel congruo importo di €10.000,00 (IVA e CPA inclusi)" e ben due firme che la signora non aveva mai apposto.
- Rinveniva altresì la fattura n.13 emessa in data 19.02.2004 dall'avv. I. a lei intestata, anche questa mai ricevuta, per l'importo di € 9.999,99 e una nota del legale all'assicurazione, datata 23.02.2004 con la quale veniva trasmesso l'atto di quietanza "debitamente sottoscritto" e la predetta fattura.
- Sempre tra i documenti consegnati dall'Assicurazione l'esponente rinveniva un'altra lettera datata 17.02.2004 con la quale l'avv. T.R. dello Studio legale associato I. – R., premesso di aver ricevuto in data 18 dicembre 2003 una offerta telefonica nella misura di € 90.000,00 oltre le spese legali in € 10.000,00 più accessori, comunicava alla Compagnia che le erano pervenute quietanza per
complessivi € 100.000,00 che la cliente "non accetta" e proponeva una definizione con l'importo di € 105.000,00.
- L'esponente sostiene di non aver mai ricevuto alcuna comunicazione di trattative in corso da parte dell'avvocato e di avere subito accettato l'importo di € 100.000,00 propostole a gennaio e ribadisce che le competenze richieste, in un primo momento in €20.000,00, dall'avv. I. ammontavano a € 17.602,00.
- A questo punto la D. V. si rivolgeva allo studio dell'avv. C. E. perché risolvesse la vicenda e, dopo alcune richieste di chiarimenti e di specificazione degli importi contenuti nella notula in data 12.05.2004 l'avv. I. inviava due notule pro forma:
una di € 12.786,00 per l'attività giudiziale e una di € 3.951,18 per attività stragiudiziale, quindi per un importo complessivo di € 16.737,37, in ogni caso difforme, ad un dettagliato esame, dal tariffario forense.
- In conclusione la Signora D. V. chiedeva al COA di provvedere alla valutazione di conformità delle parcelle dell'avv. G. I. previa convocazione della stessa o del suo legale e di valutare la condotta professionale del legale nella vicenda in oggetto provvedendo, se del caso, all'adozione degli opportuni provvedimenti disciplinari.
In data 17.06.2004 l'avv. I. chiedeva al COA la liquidazione di due parcelle rispettivamente per € 8.064,47 per attività giudiziale e € 2.042,07 per attività stragiudiziale e in data 11.11.2004 presentava le proprie deduzioni in merito all'esposto, consegnatogli a mani il 12.10.2004 assumendo che:
- nella gestione della pratica si erano avvicendati numerosi parenti della signora D. V. per avere notizie e consegnare documentazione oltre che per ritirare l'assegno inviato dalla Assicurazione
- la signora D. V. non si era mai presentata in studio né aveva telefonato per avere notizie
- non gli era stata mai rimessa la somma relativa agli onorari.
Insisteva quindi per la liquidazione delle parcelle.
Con delibera 22/09/2005-05/10/2006 il COA di Milano apriva la procedura disciplinare, procedendo all'incolpazione nei confronti dell'Avv. G. I. per rispondere dei seguenti addebiti:
" essere venuto meno ai doveri di lealtà correttezza e probità per aver:
1) Inviato alla Compagnia di Assicurazione D. L. I. atto di quietanza recante due sottoscrizioni apocrife della cliente D. V. B.;
2) Aver taciuto alla cliente che la Compagnia di Assicurazioni aveva provveduto a liquidare complessivi € 100.000,00 di cui 10.000,00 per il suo onorario;
3) Per aver richiesto verbalmente alla cliente sull'importo di € 100.000,00 (di cui 90.000,00 destinato dalla Compagnia di Assicurazioni al risarcimento dei danni patiti dalla D. V.) l'importo di € 20.000,00 per suoi onorari;
4) Per aver in tempo successivo in seguito alle richieste della cliente predisposto e consegnato una parcella priva di intestazione con l'indicazione di diritti,onorari e spese per un importo di € 17.602,00;
5) Per aver mancato di fornire chiarimenti più volte richiesto dalla Signora D. V. B. che quindi si rivolgeva al liquidatore della D. L. I. apprendendo che l'assicurazione aveva inviato atto di transazione con il quale lei stessa avrebbe accettato, mediante sottoscrizione, dichiarata apocrifa, la somma di € 100.000,00.
La contestazione veniva comunicata in data 07.11.2006 all'incolpato il quale con nota depositata il 20 successivo confermava le proprie deduzioni precisando che la cliente aveva ottenuto tutte le prestazioni professionali richieste al suo studio e a lui personalmente il quale aveva pure provveduto all'anticipazione delle spese senza aver ricevuto mai neppure un acconto.
Disposto il rinvio a giudizio con decreto di citazione notificato il 3-14/04/2008, l'incolpato l'8 maggio 2008 presentava memoria con indicazione di testi a difesa con la quale ulteriormente precisava:
- Che mai la signora D. V., costretta a letto per diversi mesi a causa delle lesioni riportate nel sinistro, né il di lei marito si erano rivolti al suo studio, né telefonato, in quanto la pratica era stata trattata dai familiari
- Che non avendo sortito esito favorevole la fase stragiudiziale nell'ottobre 2003, sollecitato dai familiari e nonostante il consulente di parte richiedesse ulteriore tempo per una valutazione definitiva del danno, predisponeva e notificava l'atto di citazione avanti il Tribunale di Milano per l'udienza del 14 gennaio 2004
- Che qualche giorno prima dell'udienza la Compagnia di Assicurazioni contattava lo studio offrendo in via transattiva la somma di €100.000,00 comprensivi di €
10.000,00 (inclusi IVA e CPA) per spese legali
- Che l'offerta veniva riferita ai familiari della signora D. V. consegnando loro l'atto di transazione perché lo facessero firmare alla medesima
- Che l'atto di transazione firmato veniva restituito, sempre dai familiari, all'avvocato che lo inviava alla Assicurazione con racc.ta 23.02.2004 chiedendo il pagamento tramite bonifico sul conto della cliente e trasmettendo le coordinate bancarie indicategli sempre dai familiari
- Che il 16.03.2004 alla solita parente della D. V. veniva consegnato l'assegno di € 100.000,00 insieme ad una nota proforma per spese e onorari di € 17.602,00
- Che nessuna somma gli era stata mai corrisposta nonostante la correttezza dello studio che si era limitato a richiedere il compenso per un solo legale nonostante il mandato fosse stato conferito ai due associati avv.ti G. I. e T. R.
- Conclude indicando come testimone su capitoli di prova l'avv. T. R..
Il dibattimento si svolgeva all'udienza del 12/05/2008 con l'interrogatorio delle parti e l'audizione dei testi, A. R., avv. S. R., avv. T.R.e si concludeva con l'affermazione della responsabilità disciplinare dell' incolpato in relazione a tutti i capi di incolpazione ascrittigli e l'applicazione della sanzione della sospensione per mesi quattro.
Il COA, riteneva confermati dall'esito della prova testimoniale e dai documenti agli atti i fatti contestati, confermando che l'incolpato aveva posto in essere un'azione volta ad impedire alla propria cliente di conoscere il reale accordo raggiunto con la compagnia assicuratrice, nascondendole l'esatto importo di onorari da questa liquidato e compreso nella somma di €100.000,00, attraverso il mancato invio alla cliente dell'atto di quietanza e la sua sottoscrizione apocrifa.
La decisione veniva notificata all'incolpato e al difensore in data 27-28/10/2009.
Con atto di impugnazione, depositato nella Segreteria del Consiglio dell'Ordine territoriale il 16.11.2009, a firma dell'avv. Dario Ferrè, l'incolpato chiede in via principale il proscioglimento, in via subordinata la dichiarazione di nullità della decisione del COA di Milano, in via ulteriormente subordinata la prescrizione dell'azione e in estremo subordine la modifica della sanzione con altra meno grave e comunque di minore entità.
Si assumono i seguenti motivi:
1. La decisione del COA di Milano si fonda sulle dichiarazioni confuse della .0 forense.
2. Che la decisione è nulla perché non indica né il relatore, né l'estensore ed è priva della firma di questi, non è precisato se è stata assunta all'unanimità o a maggioranza, non indica la possibilità di impugnazione né le modalità e ti termini, nel decreto di citazione è indicato come teste l'avv. C. E., che invece è stato sostituito all'udienza per l'escussione dall'avv. S. R., così violando la norma dell'art.48 del Regolamento di Attuazione R.R. 22.11.1934 n.37.
3. Che ai sensi dell'art.51 L.P. l'azione si sarebbe prescritta per essere trascorsi 5 anni dal fatto senza che il procedimento si sia concluso.
DIRITTO
Preliminarmente devono trattarsi il quarto e quinto motivo di appello con i quali è stata eccepita la nullità della decisione e l'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare che vanno disattesi.
Le censure sono infondate.
a) In ordine alla nullità, la giurisprudenza di questo Consiglio è consolidata nell'affermare che "va esclusa la nullità della decisione del C.d.O. nella quale difetti l'indicazione del nome del relatore e dell'estensore con la relativa sottoscrizione, essendo sufficiente, ai sensi dell'art. 51 co. 3 del r.d. n. 37/34, che la decisione sia sottoscritta dal Presidente e dal Segretario."
Così come "L'omessa indicazione, nella decisione disciplinare adottata dal C.d.O., delle modalità e della tempistica per la presentazione dell'impugnazione non ne determina la nullità, atteso che, in linea di principio, la mancata apposizione in calce al provvedimento amministrativo della formula recante l'autorità e del termine per impugnare il provvedimento stesso non implicano l'annullabilità dell'atto." (cfr. per tutte Cons. Naz. Forense 15-09-2010, n. 64)
E ancora "la deliberazione con la quale il C.d.O. assume una decisione disciplinare non necessita di esplicitazione del numero dei votanti che hanno formato la maggioranza, con la dichiarazione della singola dichiarazione di voto, essendo sufficiente che nella verbalizzazione sia stato registrato il risultato della deliberazione, consentendo il controllo della regolarità della votazione medesima."
(cfr Cons. Naz. Forense 29-04-2003, n. 70).
La decisione impugnata, pertanto, regolarmente sottoscritta dal Presidente e dal Segretario, risulta soddisfare i requisiti richiesti dalla norma per la sua validità.
b) In relazione alla eccepita prescrizione si osserva come il termine di prescrizione dell'azione disciplinare, ai sensi dell'art. 51, r.d.l. 1578/1933, è fissato in cinque anni dalla consumazione del fatto disciplinarmente rilevante e si interrompe a seguito della notifica all'incolpato della delibera di apertura del procedimento disciplinare ovvero dal compimento di altri atti propulsivi del procedimento, come la delibera di rinvio a giudizio dell'incolpato; tali atti devono ritenersi idonei a determinare l'effetto interruttivo della prescrizione a prescindere dalla loro successiva notifica al professionista, essendo sufficiente il solo compimento degli stessi quale manifestazione di volontà di procedere.(cfr. Cons. Naz. Forense 27-11-2009, n. 130)
Qualora, poi, la violazione deontologica sia integrata da una condotta protrattasi nel tempo, la decorrenza del termine ha inizio dalla cessazione della condotta medesima. (cfr. Cons. Naz. Forense 04-06-2009, n. 50) .
Nel caso di specie è indubbio che i comportamenti del professionista, rilevanti ai fini della responsabilità professionale, si siano protratti quantomeno fino al giugno 2004, realizzando un illecito a carattere continuativo, mentre l'atto di incolpazione è stato notificato in data 09/11/2006 e il decreto di citazione a giudizio in data 14.04.2008 impedendo così il decorso del termine prescrizionale.
c) Per completezza deve dichiararsi inammissibile anche la censura relativa alla sostituzione del teste avv. C. E., indicato nel decreto di citazione in giudizio, con l'avv. S. R., in sede di escussione dibattimentale.
Nessuna contestazione risulta svolta nel dibattimento dall'incolpato, la cui difesa ha anzi proceduto all'interrogatorio della teste R., svolgendo successivamente l'assunzione dei propri testi a difesa senza nulla dedurre in proposito. Deve quindi ritenersi che tale comportamento processuale, unito alla circostanza che l'incolpato ha potuto far valere ampiamente le sue ragioni, indicando a sua volta le persone da sentire in ordine agli addebiti, gli ha precluso di dedurre la circostanza come causa di nullità della decisione in sede di gravame. (cfr. Sez. Un. Cass. N. 7891/2003)
d) Del pari deve dichiararsi inammissibile la istanza di verificazione della firma della denunciante proposta, ex art.63 del Regolamento di attuazione, poiché trattasi di mezzo istruttorio che la parte era tenuta a proporre, secondo il dettato del codice di procedura civile applicabile al giudizio disciplinare, nel giudizio davanti al COA territoriale e non può farsi oggetto del potere istruttorio del giudice d'appello. Potere residuale attribuito dalla norma invocata al fine di integrare carenze non imputabili all'incolpato e non certo per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado.
Negli atti e verbali del procedimento non v'è traccia di una deduzione in tal senso e comunque l'istanza deve ritenersi superflua e ininfluente ai fini della decisione e) Nel merito il ricorso è infondato.
La motivazione della decisione impugnata deve andare esente da censure avendo dato conto puntualmente del raggiungimento della prova in giudizio di tutti i fatti contestati nei capi di incolpazione.
Invero l'accertamento giudiziale, attraverso la documentazione prodotta dalla ricorrente e le univoche testimonianze raccolte, ha consentito al COA di ritenere adeguatamente provati i comportamenti posti in essere dall'incolpato e integranti un'azione volta ad impedire alla cliente di conoscere gli esatti termini dell'accordo raggiunto con la compagnia di assicurazione.
Anche a voler tacere della vicenda relativa alla sottoscrizione apocrifa della quietanza, di cui l'incolpato non è stato in grado di dare contezza per allontanare da se il dubbio della possibile commissione di un reato, è provato che l'avv. I. non ha informato la cliente delle trattative svolte in tempi brevissimi con l'assicurazione, iniziate con un'offerta di € 90.000,00 omnia comprensivi, cui seguiva una richiesta di € 105.000,00 e concluse con la quietanza di € 100.000,00 comprensivi di € 10.000,00 per spese legali.
È altresì provato che il legale, dopo aver accettato con la sottoscrizione della quietanza ai sensi dell'art.68 L.P. le spese legali concordate e liquidate espressamente dall'assicurazione in € 10.000,00, per lo stesso titolo ha richiesto alla cliente prima oralmente l'importo di € 20.000,00, successivamente (su richiesta di specifica) € 17.602,00, e infine ha presentato al Consiglio dell'Ordine per l'approvazione due parcelle rispettivamente per € 8.064,47 per attività giudiziale e € 2.042,07 per attività stragiudiziale, precedentemente inviate all'avv. E. intervenuto nell'interesse della D. V. per chiarire la vicenda.
E' infine fuor di dubbio che la D. V. è entrata in possesso di copia della documentazione relativa alla pratica che la riguardava solo dopo averla richiesta e ottenuta dalla Compagnia di Assicurazioni, non avendo l'avv. I. dato risposte alle numerose e reiterate richieste della stessa. E tra questa documentazione ha potuto anche riscontrare la fattura n.13 emessa nei suoi confronti dall'avv. I. in data 12 febbraio 2004 per € 9.999,99; fattura da lei mai ricevuta che, per stessa ammissione dell'incolpato, era stata rimessa direttamente all'assicurazione per ottenerne il pagamento (pagg.8/9 verbale d'udienza 12.05.2008).
Così come tutti i comportamenti elusivi posti in essere per non far conoscere la reale situazione alla cliente, al fine di ottenere dalla conclusione della pratica un maggior profitto a suo favore, integrano sicuramente altrettante violazioni dei doveri di probità, dignità, fedeltà, correttezza e decoro sanciti dagli artt. 5, 6, 7, 35, 40 e 42 c.d.
I motivi addotti dal ricorrente a sostegno dell'impugnazione nel merito risultano fondati principalmente sulla deposizione della testimone avv. T.R. sua collega e socia di studio, della cui attendibilità, per l'evidente interesse che ha nella vicenda relativa al pagamento delle competenze dello studio legale, è lecito dubitare e le cui dichiarazioni, comunque, trovano smentita nei documenti recuperati dall'assicurazione e nelle contrarie dichiarazioni degli altri testi escussi.
La gravità, sotto il profilo disciplinare, che qui interessa, dei comportamenti accertati integranti ripetute violazioni dei doveri professionali dell'avvocato, giustifica e rende congrua, infine, la sanzione inflitta.
P.Q.M.
Il Consiglio Nazionale Forense, riunito in Camera di consiglio,
Visti gli artt. 40 n.3 e 54 R.D.L. 27 novembre 1933 n.1578 e 59 e segg. R.D. 22 gennaio 1934 n.37;
rigetta il ricorso confermando l'impugnata decisione.
Così deciso in Roma 30 aprile 2011.