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Mobbing - pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione

Mobbing - pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cd. Mobbing) Nel nostro codice penale, pero', nonostante una delibera del Consiglio d'Europa del 2000, che vincolava tutti gli Stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente, non v'e' traccia di una specifica figura incriminatrice per contrastare tale pratica persecutoria definita mobbing. Sulla base del diritto positivo e dei dati fattuali acquisiti, pertanto, la via penale non appare praticabile Corte di Cassazione Sezione 6 Penale Sentenza del 13 gennaio 2011, n. 685

Mobbing - pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cd. mobbing) Nel nostro codice penale, pero', nonostante una delibera del Consiglio d'Europa del 2000, che vincolava tutti gli Stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente, non v'e' traccia di una specifica figura incriminatrice per contrastare tale pratica persecutoria definita mobbing. Sulla base del diritto positivo e dei dati fattuali acquisiti, pertanto, la via penale non appare praticabile Corte di Cassazione Sezione 6 Penale Sentenza del 13 gennaio 2011, n. 685


Corte di Cassazione Sezione 6 Penale Sentenza del 13 gennaio 2011, n. 685


FATTO E DIRITTO

1- Il Gup del Tribunale di Torino, con sentenza 1/10/2009, dichiarava non luogo a procedere nei confronti di Ca.Gi. , in ordine al reato di cui all'articolo 572 c.p., perche' il fatto non sussiste.

L'accusa specifica mossa all'imputato, nella qualita' di caposquadra del settore **dello stabilimento "**" della "Fi. spa", e' di avere sottoposto, tra l'**, l'operaia Ma.Ca. , che - per ragioni di salute - era esonerata dallo svolgere determinate mansioni, a trattamenti umilianti, degradanti e vessatori, imponendole ritmi di lavoro non sostenibili, rivolgendole frasi offensive e minacciando di trasferirla in altro stabilimento, ove non avesse eseguito i suoi ordini.

Il Gup riteneva che la versione dei fatti fornita dalla persona offesa, affetta da disturbo psicotico di tipo schizofrenico, che la portava inevitabilmente ad alterare la realta', elaborandola soggettivamente in senso persecutorio, non era attendibile e non trovava riscontro nelle testimonianze rese da altri lavoratori in servizio presso lo stesso reparto: in particolare, M. M. aveva riferito che la Ma. era stata sempre addetta a mansioni compatibili con le sue condizioni di salute, non si era mai lamentata del comportamento del caposquadra Ca. e che egli stesso non aveva mai sentito quest'ultimo pronunciare frasi offensive all'indirizzo della prima, ne' aveva mai assistito a diverbi tra i medesimi; Al.Ma. , D'.Ar. e D.A. non avevano avallato il racconto della persona offesa e, pur evidenziando il carattere "rigido", "autoritario" e "non simpatico" del Ca. , avevano escluso di avere mai percepito atteggiamenti vessatori di costui in danno della Ma. ; soltanto l'operaio Pa. Ro. aveva in parte confermato i contenuti della denunzia sporta dalla Ma. , ma tale testimonianza era scarsamente attendibile, provenendo da soggetto che nutriva, per una pregressa conflittualita' mai superata, sentimenti di astio verso il Ca. . Sottolineava, inoltre, il Gup che, pur a volere allegare attendibilita' alla denunzia della persona offesa e alla testimonianza del Pa. , la condotta ascritta all'imputato non risultava essere stata connotata da abitualita', requisito tipico del reato di maltrattamenti, e, in ogni caso, appariva essere stata ispirata dalla sola finalita' di esigere dagli operai, ivi compresa la Ma. , il massimo impegno e la massima precisione sul lavoro.

2- Ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore munito di procura speciale, la persona offesa costituita parte civile e ha lamentato la mancanza, la contraddittorieta' e la manifesta illogicita' della motivazione della sentenza sotto piu' profili: a) il Gup non si era limitato ad esprimere, in linea con la funzione propria dell'udienza preliminare, una valutazione prognostica negativa sulla potenzialita' espansiva, nel futuro dibattimento, del quadro probatorio, ma si era avventurato in una valutazione di merito delle acquisizioni investigative, sconfinando dai suoi poteri, per accreditare, in modo contraddittorio e parziale, un giudizio di innocenza dell'imputato; b) s'imponeva il rinvio a giudizio dell'imputato per le stesse ragioni poste a base dell'ordinanza con la quale il Gip, ex articolo 409 c.p.p., comma 5., a seguito di opposizione alla iniziale richiesta di archiviazione formulata dal P.M., aveva disposto che tale Organo formulasse l'imputazione, essendo ravvisabili, nei fatti denunciati, gli estremi della fattispecie di cui all'articolo 572 c.p.; c) era stata omessa qualunque doverosa valutazione in ordine ai possibili sviluppi dibattimentali della prova, con riferimento anche alle testimonianze di altre persone puntualmente indicate e mai ascoltate; d) la ritenuta inattendibilita' delle dichiarazioni accusatorie da lei rese non era sorretta da argomenti validi ed era prevalentemente basata su una erronea lettura delle relazioni medico legali circa il suo stato psichico; e) si era omesso qualunque vaglio critico delle testimonianze prese in considerazione e ritenute favorevoli all'imputato; f) si era assertivamente tacciato di inattendibilita' il teste Pa. , il quale aveva riferito circa le aggressioni verbali subite dalla ricorrente ad opera del Ca. .

3- Il ricorso non e' fondato e deve essere rigettato.

Rileva la Corte che la valutazione operata dal Gup con la sentenza di non luogo a procedere e' sostanzialmente incentrata sulla constatazione del difetto delle condizioni su cui fondare un giudizio prognostico di evoluzione, in senso favorevole all'accusa, del materiale probatorio raccolto. La ritenuta inidoneita' degli elementi acquisiti a sostenere l'accusa in giudizio e' la risultante di una argomentata e logica valutazione in fatto di tali elementi, che non si prestano a soluzioni alternative o, per cosi' dire, "aperte", suscettibili di essere meglio chiarite e definite nel contraddittorio dibattimentale.

La sentenza in verifica, sulla base dello standard probatorio richiesto per filtrare, ai fini del sollecitato rinvio a giudizio, l'ipotesi d'accusa formulata a carico dell'imputato, perviene alla conclusione della insussistenza dei presupposti per farsi luogo all'esperimento dibattimentale, che si rivelerebbe del tutto superfluo, non sussistendo la ragionevole previsione che la denunciata situazione fattuale, gia' chiaramente delineata, possa essere ulteriormente integrata da altri elementi idonei a legittimare una diversa soluzione.

Il principio costituzionale della ragionevole durata del processo impone - peraltro - anche al Giudice dell'udienza preliminare di evitare, per cosi' dire, "comode scorciatoie" burocratiche, devolvendo superficialmente alla cognizione del Giudice dibattimentale la valutazione di una determinata posizione processuale, che puo' invece essere definita alla luce degli elementi gia' a disposizione del Gup.

Ed invero, prescindendo dalle riserve avanzate in ordine all'attendibilita' della persona offesa e del teste Pa. , la sentenza impugnata sottolinea, in particolare, che la denunciata conflittualita' tra il Ca. e la Ma. , pur determinata - secondo la versione fornita da quest'ultima - da atteggiamenti sconvenienti del primo, che non di rado si sarebbe rapportato alla seconda in modo offensivo e mortificante, sarebbe stata espressione di una caratteriale rigidita' ed arroganza del Ca. nell'interpretare il proprio ruolo di caposquadra e non gia' di una deliberata volonta' di imporre all'operaia sottoposta al suo controllo e alla sua autorita' un regime di vita vessatorio ed intollerabile.

Non va sottaciuto, inoltre, che le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cd. mobbing) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia esclusivamente nel caso in cui il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente o, per rimanere aderenti alla fattispecie in esame, tra il preposto e il lavoratore soggetto all'autorita' del primo assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense e abituali, da consuetudini di vita tra i detti soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell'altra, dalla fiducia riposta dal soggetto piu' debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (cfr. Cass. Sez. 6 6/2/2009 n. 26594, che fa esemplificativamente riferimento al rapporto che lega il collaboratore domestico alle persone della famiglia presso cui svolge la propria opera o al rapporto che puo' intercorrere tra il maestro d'arte e l'apprendista).

Nulla di cio' e' dato riscontrare nella condotta contestata all'Imputato, la quale, per come descritta dalla stessa denunciante, e' - in astratto - riconducitele nel cd. mobbing, la cui nozione evoca appunto una condotta che si protrae nel tempo con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all'emarginazione del lavoratore.

Nel nostro codice penale, pero', nonostante una delibera del Consiglio d'Europa del 2000, che vincolava tutti gli Stati membri a dotarsi di una normativa corrispondente, non v'e' traccia di una specifica figura incriminatrice per contrastare tale pratica persecutoria definita mobbing. Sulla base del diritto positivo e dei dati fattuali acquisiti, pertanto, la via penale non appare praticabile.

E' certamente percorribile, invece, la strada del procedimento civile, costituendo il mobbing titolo per il risarcimento del danno eventualmente patito dal lavoratore in conseguenza di condotte e atteggiamenti persecutori del datore di lavoro o del preposto. La responsabilita' datoriale ha natura contrattuale ex articolo 2087 c.c., norma questa in stretto collegamento con quelle costituzionali poste a difesa del diritto alla salute (articolo 32) e del rispetto della sicurezza, della liberta' e della dignita' umana nell'esplicazione dell'iniziativa economica (articolo 41). Il legittimo esercizio del potere imprenditoriale, infatti, deve trovare un limite invalicabile nell'inviolabilita' di tali diritti e nella imprescindibile esigenza di impedire comunque l'Insorgenza o l'aggravamento di situazioni patologiche pregiudizievoli per la salute del lavoratore, assicurando allo stesso serenita' e rispetto nella dinamica del rapporto lavorativo, anche di fronte a situazioni che impongano l'eventuale esercizio nei suoi confronti del potere direttivo o addirittura di quello disciplinare. Il mobbing e' solo vagamente assimilabile alla previsione di cui all'articolo 572 c.p., ma di questa non condivide tout court, quasi per automatismo, tutti gli elementi tipici.

4- Al rigetto del ricorso consegue, di diritto, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it