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Truffa televendite - risarcimento del danno in favore delle parti civili

Truffa televendite - risarcimento del danno in favore delle parti civili - Codacons, Federconsumatori e Lega Consumatori, assegnando a ciascuna una provvisionale di euro15.000 - diritto e facolta' di costituirsi parte civile degli enti ed associazioni senza

Truffa televendite - risarcimento del danno in favore delle parti civili - Codacons, Federconsumatori e Lega Consumatori, assegnando a ciascuna una provvisionale di euro 15.000 - diritto e facoltà di costituirsi parte civile degli enti ed associazioni senza scopo di lucro, aventi finalità di tutela degli interessi lesi dal reato (Cassazione  Sezione seconda penale (up) – sentenza 18 gennaio-5 aprile 2006, n. 12169)

Osserva

Con sentenza in data 30 maggio 2003, il Gip del Tribunale di Milano dichiarava Martino Antonio ed altri colpevoli di vari reati, condannandoli alle pena come in atti ed al risarcimento del danno in favore delle parti civili (quarantasei persone fisiche,- vittime dei reati,- e tre enti giuridici, Codacons, Federconsumatori e Lega Consumatori, assegnando a ciascuna una provvisionale di euro 15.000.
Con sentenza del 15 aprile 2005,- la Corte di appello di Milano confermava, quanto al Martino, la decisione del primo giudice.
Ricorre ora per cassazione il difensore dell’imputato, il quale deduce vari motivi:
1) preliminarmente si oppone all’ammissione della costituzione, quali parti civili, dei rappresentanti di associazioni di consumatori; si duole, poi, di vari vizi della sentenza e precisamente:
2) violazione dell’articolo 606, comma 1 lettera b) ed e), Cpp, con riferimento agli articoli 40, 42, 43 Cp per mancato esame della posizione del Martino “in relazione alle preminenti figure dei coimputati Marchi Vanna, Nobile Stefania e Campana Francesco”;
3) stessa violazione con riferimento all’asserita mancanza di legami dell’imputato con le società, se non dal novembre 2000 e dicembre 2001, nonché con riferimento al riconosciuto ruolo di promozione, costituzione ed organizzazione e comunque di partecipazione al sodalizio criminoso;
4) si contesta l’esistenza del “requisito della condotta ed elemento psicologico del reato” di truffa nei confronti di Militi Monica, e dei reati di inottemperanza a due provvedimenti emessi dal garante della concorrenza e del mercato;
5) si sostiene la mancanza di motivazione sulla omessa concessione della sospensione condizionale della pena e delle attenuanti generiche;
6) si contesta la quantificazione del danno in favore delle parti civili.
Per una migliore comprensione del thema decidendum, va chiarito che il processo in parola è lo stralcio, fatto in sede di udienza preliminare, dal processo contro 25 imputati di associazione a delinquere e di una serie numerosissima di truffe aggravate, reati connessi a trasmissioni pubblicitarie organizzate nel corso degli anni ‘90 e fino al dicembre 2001 - gennaio 2002; all’esito delle indagini, invero, essendo stato chiesto il rinvio a giudizio nei confronti di venticinque persone, diciotto di esse chiesero l’applicazione della pena concordata, quattro, tra cui il Martino, chiesero di essere giudicati con il rito abbreviato; le altre tre, ovvero Vanna Marchi, Stefania Nobile e Domenico Campana, furono. rinviate a giudizio con rito ordinario.
Il contesto generale, che ha avuto vasta risonanza anche negli organi di informazione, dà conto del fatto che, attraverso varie reti televisive,- gli imputati condannati - con il pretesto di promuovere la vendita di prodotti per l’estetica,- avvalendo-si di vari personaggi presentati come “maghi” o “maestri di vita” - riuscivano ad adescare persone dotate di scarse capacità critiche o comunque fortemente superstiziose, inducendole prima a versare somme di denaro dell’ordine di alcune centinaia di migliaia di lire per ottenere l’indicazione di numeri da giocare al lotto e, dopo l’esito negativo della giocata, facevano credere che l’interlocutore fosse afflitto da “negatività”, ovvero da malocchio, fatture o altre suggestioni del genere, inducendole con tale artificio, spesso. tradotto nella minaccia di far peggiorare la sfortunata condizione del soggetto, e con il pretesto di vendere amuleti e di compiere riti o altre pratiche magiche idonee ad allontanare il malocchio, a corrispondere somme cospicue dell’ardine di diverse decine di milioni e in non pochi casi anche di centinaia di milioni.
Ciò posto, possono esaminarsi i motivi del ricorso.
La doglianza attinente alla costituzione di parte civile di talune associazioni private è del tutto generica. Al riguardo deve essere ricordato che il diritto e la facoltà di costituirsi parte civile degli enti ed associazioni senza scopo di lucro, aventi finalità di tutela degli interessi lesi dal reato, discendono dalla lesione, diretta ed immediata, del diritto di personalità del sodalizio, con riferimento allo scopo ed ai suoi componenti; l’accertamento di tale lesione, essendo ragguagliato alla situazione storica, compete al motivato apprezzamento del giudice di merito.
Nel caso di specie la Corte territoriale ha rilevato che le associazioni dei consumatori, costituite parti civili, hanno i requisiti richiesti dalla legge e tutelano un proprio diritto, collegato ai propri scopi sociali ed alla lesione, a cagione dei reati addebitati agli imputati (tra cui il ricorrente: di interessi rientranti nelle finalità statutarie dei sodalizi stessi. Il richiamo agli articoli 92 e 93 Cpp non ha altre indicazioni specifiche, se non quella numerica delle norme di legge.
Non ha fondamento la doglianza relativa al mancato esame della posizione del Martino unitamente alle posizioni di”preminenti figure dei coimputati”.
La Corte di appello dà chiaramente conto del fatto che la richiesta non è compatibile con gli schemi processuali, poiché i relativi giudizi si sono svolti con riti diversi e si trovano in fasi diverse; per altro la disamina della posizione del Martino non si limita ad una visione parziale e parcellizzata, ma si estende a tutto il contesto degli eventi, per focalizzarsi, poi, sulle più specifiche attività contestate all’attuale ricorrente.
il terzo e quarto motivo attengono più direttamente alle valutazioni riguardanti la posizione soggettiva del Martino, la sua contestata partecipazione al sodalizio criminoso, al “requisito della condotta ed elemento psicologico del reato”.
Al riguardo i giudici di merito evidenziano, innanzi tutto, le specifiche conoscenze professionali dell’imputato, ragioniere, già funzionario di banca e tuttora, alla data del processo di primo grado, giudice tributario regionale scelto dai complici proprio -per la sua competenza in campo economico e tributario.
Evidenziano, altresì, che le giustificazioni del Martino, di avere agito solo con leggerezza  senza rendersi conto della effettiva realtà, urtano contro un’imponente serie di risultanze oggettive e di considerazioni logiche.
In particolare il Martino era stato socio della Anidene Srl “perché la Stefania Nobile, non poteva esserlo”; quindi era stato, dal maggio 2000, prima legale rappresentante della Anidene Srl e poi liquidatore della stessa; aveva, poi, assunto. la carica di amministratore unico, a partire dal novembre del 2000 fino a dicembre del 2001, ed infine di liquidatore della società Asciè: ed è attraverso queste società che si snodava l’illecita e lucrosa attività incriminata.
Nell’ambito di questa sua posizione, il Martino era stato autore di una significativa lettera, da lui scritta e inviata a determinati clienti; era bene edotto degli esiti delle verifiche operate dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri di Vercelli, tanto. che proprio egli di persona aveva sottoscritto, nella sua qualità di amministratore, il ricorso alla Commissione Tributaria contro l’accertamento conseguente alla verifica della Guardia di Finanza; era implicato nelle imprese di Vanna Marchi da molto prima che ricoprisse la carica di amministratore, avendo sicuramente assunto la veste di socio della Anidiene fin dalla sua costituzione (il suo incarico di amministratore non fu altro, che un espediente per tamponare la situazione venutasi a creare dopo l’intervento degli inquirenti, i quali avevano rilevato gravi irregolarità nella gestione societaria, quale una contabilità parallela per giustificare le spese relative ai compensi dovuti ai numerosi operatori telefonici e addetti alle consegne); era pienamente consapevole, infine, dei ricavi rilevantissimi che giungevano nella sede sociale, dato. che essi erano costituiti da assegni che egli doveva porre all’incasso, nella veste di titolare del potere di firma.
Quanto, poi, al ruolo di capo ed organizzatore dell’associazione, la Corte di merito sottolinea l’importanza e la gravità del ruolo assunto, dal Martino, poiché, nell’ambito dell’attività di captazione e di suggestione attraverso mezzi di pubblicità televisiva, egli forniva “il volto pulito” dell’attività, attraverso l’esposizione al pubblico di un ente presentabile come operatore commerciale, ossia attraverso l’utilizzazione di schermi societari che avessero una parvenza di regolarità e di concreta attività commerciale. Egli, in pratica, esercitava funzioni di coordinamento,, se non di sovrintendenza, alla complessiva gestione economica del sodalizio e di assunzione di compiti decisionali.
Il Martino, appunto, tenuto conto della sua veste di ragioniere, di ex funzionario di banca e soprattutto di giudice componente della commissione tributaria regionale, offriva la massima apparenza di serietà e correttezza, e secondo l’ineccepibile valutazione di merito si rese ben conto di offrire un’immagine al massimo dell’affidabilità per proteggere le illecite imprese di cui egli stesso e la Marchi si erano fatti promotori; nonché si rese ben conto di tutti i fatti, anche contravvenzionali, a lui contestati.
Corretta, poi, è la valutazione del trattamento sanzionatorio, dal momento che la Corte ha motivato adeguatamente sul fatto che le attenuanti generiche sono state concesse ingiustificatamente, di modo che ancor Più ingiustificato sarebbe il giudizio di prevalenza sulle circostanze di segno contrario.
All’epoca della commissione dei reati il Martino non aveva compiuto settant’anni e quindi l’entità della pena non consentirebbe comunque la concessione del beneficio ex articolo 163 Cp.
La doglianza sulla quantificazione del danno in favore delle parti civili, oltre che generica, comporterebbe una mera quaestio facti.
Tutte le sue estese considerazioni comportano il rigetto del ricorso.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente grado di giudizio dalle parti civili Campoldo Leda, Glionna Margherita e Abagnale Giacomo, liquidata in complessivi euro 4000 di cui euro 3700 per onorari oltre Iva e Cpa.