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Matrimonio - Nullità - Violenza e errore - Coabitazione per oltre un anno dalla scoperta dell'errore

Famiglia - Matrimonio - Nullità - Violenza e errore - Coabitazione per oltre un anno dalla scoperta dell'errore Eccepita improponibilità della domanda ex art.122, ult. Comma, cod. civ. - Accertamento probatorio officioso - In tema di azione di nullità del matrimonio, qualora il fatto di cui all'ultimo comma dell'art. 122 cod. civ. - cioè la coabitazione per un anno dalla scoperta dell'errore - risulti dagli atti, la decadenza della relativa azione può essere rilevata d'ufficio dal giudice, essendo la materia del matrimonio sottratta alla disponibilità delle parti; qualora poi l'improponibilità della domanda, come nella specie, venga eccepita dalla parte interessata, il giudice non può ritenersi limitato, per quanto riguarda l'accertamento dei fatti che integrano la decadenza, dalle affermazioni della parte stessa, essendo libero, in materia di prove, di apprezzare ed utilizzare tutto il materiale probatorio acquisito al processo. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 18988 del 16/09/2011

Famiglia - Matrimonio - Nullità - Violenza e errore - Coabitazione per oltre un anno dalla scoperta dell'errore


Eccepita improponibilità della domanda ex art.122, ult. comma, cod. civ. - Accertamento probatorio officioso - In tema di azione di nullità del matrimonio, qualora il fatto di cui all'ultimo comma dell'art. 122 cod. civ. - cioè la coabitazione per un anno dalla scoperta dell'errore - risulti dagli atti, la decadenza della relativa azione può essere rilevata d'ufficio dal giudice, essendo la materia del matrimonio sottratta alla disponibilità delle parti; qualora poi l'improponibilità della domanda, come nella specie, venga eccepita dalla parte interessata, il giudice non può ritenersi limitato, per quanto riguarda l'accertamento dei fatti che integrano la decadenza, dalle affermazioni della parte stessa, essendo libero, in materia di prove, di apprezzare ed utilizzare tutto il materiale probatorio acquisito al processo. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 18988 del 16/09/2011

Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 18988 del 16/09/2011

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 2 febbraio 2000, R.B. conveniva dinanzi al Tribunale di Forlì M..P. , chiedendo dichiararsi la nullità del loro matrimonio ai sensi dell'art. 122 c.c.. Esponeva che la convenuta, all'epoca delle nozze, era affetta da malattia psichica ingravescente, incolpevolmente ignorata dall'altro coniuge.
Costituitasi in giudizio, la convenuta eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice adito, la decadenza dall'azione ai sensi dell'art. 122 cod. civ., u.c.; nel merito chiedeva il rigetto delle domande svolte nei suoi confronti.
Nel giudizio interveniva il P.M..
Con memoria ex art. 183 c.p.c., comma 5, depositata il 22 novembre 2002, l'attore proponeva anche domanda di indennità ai sensi dell'art. 129 bis cod. civ.; la convenuta ne eccepiva la novità. Con sentenza depositata il 13 luglio 2005, il Tribunale, ritenendo che l'attore fosse incorso nella decadenza prevista dall'art. 122 c.c., u.c., ne respingeva la domanda.
Detta sentenza veniva impugnata dal R. dinanzi alla Corte d'Appello di Bologna, che con sentenza 13 marzo-8 aprile 2007, rigettava il gravame.
Avverso detta sentenza R.B. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sette motivi illustrati con memoria. P.M. ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c.; nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4. Deduce il ricorrente che il giudice a quo sarebbe incorso nel vizio di ultrapetizione per avere ritenuto, in contrasto con quanto eccepito dalla P. - la quale aveva affermato che il R. aveva acquisito piena conoscenza della patologia, dalla quale era affetta, nel 1993 - che il R. in realtà aveva raggiunto tale
consapevolezza già nel 1991.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia motivazione contradditoria e insufficiente circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5): la comprensione della gravità e della irreversibilità della malattia..
La sentenza impugnata sarebbe gravemente contraddittoria là ove afferma che il R. fosse in condizione di comprendere non solo l'esistenza della malattia in tutta la sua gravità già all'epoca della seconda gravidanza (1991), ma anche di comprenderne la irreversibilità.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 122 c.c., con riferimento alla cronicizzazione della malattia ed alla comprensione della sua irreversibilità. L'errore sulle qualità personali dell'altro coniuge, dalla cui scoperta decorre il termine di sanatoria, di cui all'art. 122 c.c., u.c., dovrebbe essere valutato in tutte le sue caratteristiche;
l'errore, pertanto, non potrebbe riguardare soltanto la gravità della malattia (fisica o psichica), ma dovrebbe pure riguardare, come previsto dall'art. 122 c.c., la consapevolezza che la malattia è tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 122 c.c., in relazione alla convivenza avuto riguardo ai continui ricoveri della parte.
Avrebbe errato il giudice a quo nel ritenere che i periodici ricoveri in ospedale non facessero cessare la convivenza, atteso che la P. , ne periodo dal 1993 al 1996, quando non si trovava ricoverata presso cliniche od ospedali, dimorava presso i propri genitori. Inoltre la coabitazione, per rilevare ai fini della decadenza di cui all'art. 122 c.c., u.c., dovrebbe essere ininterrotta, per cui non potrebbe ritenersi, a tal fine, sussistente, nella ipotesi in cui uno dei coniugi si allontani dalla casa domestica anche se per ragioni di salute.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 122 c.c., in relazione alla interpretazione corretta del concetto di coabitazione.
Avrebbe errato la corte di merito nel ritenere la coincidenza della coabitazione con la semplice convivenza dei coniugi sotto il medesimo tetto, dovendo il termine coabitazione essere inteso come convivenza che si svolge in una comunanza di vita e di affetti. Nel caso di specie anche nei brevi periodi di convivenza sotto lo stesso tetto, non vi sarebbe stata coabitazione, non essendovi stata comunione di vita spirituale e materiale tra i coniugi, che implicherebbe anche lo svolgimento di normali rapporti sessuali.
Con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 33/1 della Carta dei Diritti Fondamentali.
La famiglia potrebbe godere di una protezione effettiva solo quando il dovere di solidarietà debba prevalere, protezione che non potrebbe sussistere in una situazione quale quella in questione. Pertanto gli atti dovrebbero essere rimessi alla Corte Ue per sapere se un termine così breve, quale quello previsto per la decadenza nel caso di specie, possa essere ritenuto legittimo, e cosa deve intendersi per coabitazione.
Con il settimo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c., per avere il giudice di merito condannato il ricorrente alle spese pur in presenza di gravi motivi, rappresentati dalla natura della controversia e dalla mancata riunione della presente causa ad altra pendente tra le stesse parti con questa connessa, che imponevano la loro compensazione. Il primo, secondo, terzo e quarto motivo, che essendo strettamente connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. L'art. 122 cod. civ., per la parte che rileva nel caso di specie, stabilisce che il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato dato per effetto di errore essenziale su qualità personali dell'altro coniuge; che l'errore sulle qualità personali è essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purché l'errore riguardi: (art. 122 c.c., comma 3, n. 1) l'esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale; che l'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che sia stato scoperto l'errore.
Il ricorrente contesta con i motivi in questione che, dopo la acquisizione della consapevolezza che la malattia era tale da impedire lo svolgimento della vita coniugale, vi sia stata una ulteriore coabitazione per un anno.
Con il primo motivo il ricorrente in particolare lamenta che il giudice non avrebbe potuto rilevare d'ufficio che tale consapevolezza fosse stata da lui acquisita sin dal 1991, in contrasto con quanto la P. , nella sua comparsa di risposta, aveva affermato e precisamente che il marito aveva raggiunto tale consapevolezza nel 1993.
Il Collegio osserva che, quando il fatto di cui all'art. 122 c.c., u.c., risulti dagli atti, la decadenza può essere rilevata d'ufficio dal giudice, essendo la materia del matrimonio sottratta alla disponibilità delle parti (art. 2969 c.c.); se, poi, la improponibilità della domanda, come avvenuto nel caso di specie, venga eccepita dalla parte interessata, il giudice non può ritenersi limitato, per quanto riguarda l'accertamento dei fatti, che integrano la decadenza, dalle affermazioni della parte stessa, essendo libero, in materia di prova, di apprezzare ed utilizzare tutto il materiale probatorio acquisito al processo.
Nel caso in esame, come risulta dalla sentenza impugnata, lo stesso R. ebbe ad affermare, con la citazione introduttiva del giudizio, che la P. fin dal 1991 "non fu più in grado di controllare ne' di nascondere" gli invalidanti effetti della malattia, visto che smise improvvisamente di mangiare, così ammettendo di avere acquisito sin da detta data la consapevolezza della attitudine della malattia ad influire negativamente e permanentemente sulle dinamiche di coppia coll'impedire un normale svolgimento della vita coniugale. Tutte le ulteriori acquisizioni probatorie, risultanti dalla sentenza impugnata, sono una conferma del raggiungimento di tale consapevolezza sin dalla data suindicata, essendo gli ulteriori fatti, accertati dal giudice di merito, indicativi della preesistenza di una grave patologia invalidante.
Il giudice a quo ha accertato, infatti(che nel 1993 la P. aveva tentato il suicidio, che nel XXXX era stata ricoverata dopo che aveva raggiunto i 33 chilogrammi di peso, che sin dal luglio 1993 la dottoressa che aveva visitato la P. aveva diagnosticato immediatamente la malattia della stessa, rappresentandola in tutte le sue caratteristiche e in tutta la sua gravità al marito, che manifestazioni patologiche gravi si erano verificate, come affermato dalla teste R. , zia dell'attore, sin dalla prima gravidanza nel 1987.
Il giudice a quo ha accertato, altresì, che la coabitazione è cessata nel 1996, che nel 1993 sono iniziati i ricoveri in ospedale della P. , che anche se tali ricoveri hanno determinato periodiche interruzioni della convivenza, in precedenza, essendo essi iniziati nel 1993, il R. aveva convissuto ininterrottamente con la moglie per oltre due anni (dal 1991 al 1993), nella consapevolezza della attitudine della malattia della consorte ad influire negativamente sul normale svolgimento della vita coniugale, tant'è vero che il marito stesso aveva persuaso la moglie a rivolgersi al medico, che le aveva poi diagnosticato la malattia in tutta la sua gravità (costituita, come asserito dallo stesso ricorrente, da un disturbo bipolare del tono dell'umore, da un disturbo dell'alimentazione (anoressia) e saltuariamente pure da manifestazioni evidenti di psicosi dissociativa). Pertanto, la motivazione della sentenza impugnata, con riferimento alle questioni prospettate con i motivi in esame, non merita censure, avendo il giudice di merito fornito della decisione adottata una adeguata, logica e giuridicamente corretta giustificazione. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile, trattandosi di questione che non risulta proposta in sede di merito nei termini prospettati e che, comunque, richiederebbe accertamenti di fatto non consentiti in sede di legittimità.
Anche il sesto motivo è inammissibile, atteso che la rimessione alla Corte di Giustizia dell'UE per la interpretazione di una norma è dovuta per la interpretazione della normativa comunitaria, ma non per quella nazionale, la cui interpretazione spetta al giudice nazionale. Infine pure il settimo motivo è inammissibile, atteso che, nella ipotesi di soccombenza, la compensazione per giusti motivi rientra nei poteri discrezionali del giudice, sicché la mancata adozione di siffatta statuizione non è censurabile in sede di legittimità. Per quanto precede il ricorso deve essere respinto. Data la delicatezza delle questioni oggetto di ricorso possono ritenersi sussistere giusti motivi per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2011.
Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2011

 

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