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Invalidita' totale e permanente - pensione di inabilita' - errore professionale grave dei componenti la Commissione

Invalidita' totale e permanente - pensione di inabilita' - errore professionale grave dei componenti la Commissione - Responsabilita' contabile del medico per mancanza di diligenza nelle certificazioni  (Corte dei conti – Sezione prima – sentenza 5 dicembre2003,

Invalidità totale e permanente -pensione di inabilità - errore professionale grave dei componenti la Commissione - Responsabilità contabile del medicoper mancanza di diligenza nelle certificazioni  (Corte dei conti – Sezione prima – sentenza 5 dicembre 2003, n. 427)

Corte dei conti – Sezione prima – sentenza 5 dicembre 2003, n. 427

Fatto

Con verbale in data 22 dicembre 1987 la Commissione di prima istanza per l’accertamento degli stati di invalidità civile, delle condizioni visive e del sordomutismo della Usl n. 3 – Imperiese accertava nei confronti della Signora L. G. un’invalidità totale e permanente con diagnosi di «ischemia miocardica con insufficienza coronarica e crisi di angor- grave artrosi L.S. –cixoartrosi bilaterale-sindrome depressiva ansiosa».

Il Comitato Provinciale di Assistenza e beneficenza Pubblica presso la Prefettura di Imperia, sulla base degli accertati requisiti sanitari e socio-economici, con deliberazione in data 15 febbraio 1988 concedeva all’interessata la pensione di inabilità a decorrere dal 1° gennaio 1987.

I medici incaricati della verifica della permanenza dei requisiti sanitari per la corresponsione della pensione di inabilità con relazione in data 1 luglio 1997 – formulata una diagnosi di spondilartrosi diffusa con osteoporosi senile di grado discreto a modesta incidenza funzionale, coxoartrosi bilaterale, sindrome ansioso depressiva, modesti segni di miocardiopatia- accertavano il grado di invalidità del 50% e, conseguentemente si pronunciavano per la “non conferma” dei requisiti sanitari per usufruire del beneficio in godimento.

In conformità a tali accertamenti, con decreto n. 3822/10 in data 8 agosto 1997, il Direttore generale dei servizi vari e delle pensioni di guerra del ministero del Tesoro revocava la provvidenza economica a decorrere dalla data della visita di verifica (22 aprile 1997), dandone comunicazione, a norma dell’articolo 3, comma 10 della legge 291/88, alla Procura Regionale della Corte dei conti per la Liguria.

Anteriormente alla disposta revoca erano stati corrisposti alla Signora L. G., a titolo di pensione dal 1 gennaio 1987 al 22 aprile 1997, assegni per complessive £. 40.718.060.

Ritenuto doversi ascrivere ad un errore professionale grave dei componenti della Commissione di prima istanza per l’accertamento del 22 dicembre 1987 degli stati di invalidità civile delle condizioni visive e del sordomutismo della Usl n. 3- Imperiese l’aver diagnosticato patologie insussistenti e l’aver giudicato gravi patologie di modesta entità in sede di valutazione del grado di invalidità della predetta pensionata, il Dr. G. (l’altro componente medico della commissione, il Prof. M., è deceduto) è stato citato in giudizio dalla Procura regionale con atto in data 25 ottobre 2001 per rispondere - nella misura della metà – del danno cagionato all’Erario, costituito dagli assegni indebitamente corrisposti alla Signora L. G., a titolo di pensione dal 1 gennaio 1987 al 22 aprile 1997 per complessive lire 40.718.060, oltre a rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio.

La sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Liguria con l’impugnata sentenza ha assolto il Signor G. G., ritenendo l’assenza dell’elemento soggettivo – colpa grave previo accoglimento in motivazione dell’eccezione di intervenuta prescrizione dell’azione di responsabilità, formulata dal convenuto in via subordinata.

Avverso detta decisione ha interposto appello il Pr deducendo:

1) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 2935 Cod.civ. e dell’articolo 1, comma 2, della legge 20/1994 relativamente al danno corrispondente ai ratei pensionistici erogati nel periodo precedente i cinque anni dall’intervenuta interruzione del termine prescrizionale (e, conseguentemente, in ordine al danno verificatosi anteriormente al 21 giugno 1996), in tal modo violando ed erroneamente applicando gli articoli 2935 del Cc e 1, comma 2, della legge 20/1994 (la statuizione non è stata peraltro riprodotta nel dispositivo della sentenza).

La decisione impugnata ha applicato alla fattispecie in esame l’interpretazione dell’articolo 1, comma 2 della legge 20/1994, posta dalle Sezione Riunite della Corte dei conti a fondamento della sentenza n. 7/2000/QM in data 22 marzo 2000-24 maggio 2000, con la quale è stato affermato il principio che «nel caso di danno da erogazione di una somma di denaro la prescrizione decorre dal pagamento…».

Allo scopo parte appellante richiama la giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo la quale rispetto alla “possibilità di far valere il diritto” non rilevano gli impedimenti di mero fatto, tra cui però non può essere ricompresa la mancata conoscenza di fatto del diritto da parte del titolare, ove si tratti di ignoranza incolpevole (così Cassazione, sezione seconda, sentenza 974/62, sentenza 2130/96, 2165/72, 15622/01).

Deduce parte appellante a sostegno del gravame che nella materia che ci occupa, la legge (articolo 3 del già ricordato Dl 173/88) ha previsto che con decreto del ministro del Tesoro venissero stabiliti i criteri e le modalità per verificare la permanenza nel beneficiario dei requisiti prescritti per usufruire della pensione, assegno o indennità e per disporne la revoca in caso di insussistenza di tali requisiti.

Con decreto 293/89, il ministro del Tesoro ha dato applicazione al dettato legislativo stabilendo, in particolare, che le verifiche fossero disposte secondo un programma annuale, predisposto dal direttore generale delle pensioni di guerra e approvato dallo stesso Ministro, che tenesse conto di diversi elementi.

Assume parte appellante che per i casi che non siano stati oggetto di specifica denuncia alla Procura regionale o di esposto all’Amministrazione statale, la prescrizione potrebbe farsi decorrere - al più –dalla visita del beneficiario della pensione di invalidità da parte dei medici incaricati della verifica; tuttavia maggiormente conforme all’intenzione del legislatore, per la fattispecie in esame, parrebbe l’individuazione del dies a quo della legale conoscenza dell’esistenza del diritto nel giorno dall’emissione del decreto di revoca della provvidenza economica, poiché a quel momento il legislatore (articolo 3, comma 10, del Dl 173/88) ha collegato il sorgere in capo all’Amministrazione dell’obbligo di dare comunicazione alla Corte dei conti dei casi di revoca per l’esercizio delle eventuali azioni di responsabilità.

Nel caso di specie, il Direttore generale dei servizi vari e delle pensioni di guerra del ministero del Tesoro aveva revocato le provvidenze economiche alla Signora L. G. con il decreto 3822/10 in data 8 agosto 1997: il decorso del termine quinquennale di prescrizione è stato validamente interrotto in data 21 giugno 2001, come riconosciuto nell’impugnata sentenza.

2) Violazione e falsa applicazione dell’articolo 1, comma 1, della legge 20/1994 con riguardo alla assoluzione per mancanza di colpa grave. Anche i motivi dell’assoluzione nel merito non appaiono condivisibili in quanto basati su un’errata lettura e valutazione della documentazione probatoria versata in atti dal requirente.

Parte appellata si è costituita in giudizio a mezzo degli avv.ti G. Gerbi e G. Candido Di Gioia, depositando memoria difensiva di resistenza con la quale si chiede il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

All’udienza dibattimentale del 10 ottobre 2003 parte appellante e parte appellata hanno illustrato gli scritti versati in atti.

Considerato in diritto

1 Viene anzitutto all’esame del Collegio la questione di prescrizione dell’azione contabile, primo motivo di appello dedotto dal Procuratore Regionale.

Allo scopo va detto che in fattispecie non ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 2945, n. 8, Cc cosicché va verificato il dies a quo di decorrenza della prescrizione di cui all’articolo 1, II, legge 20/1994 nel testo sostituito dal Dl 543/96, là dove prescrive in ogni caso la decorrenza del diritto al risarcimento del danno dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso.

Nel caso specifico il fatto dannoso è stato individuato nell’erogazione della pensione a soggetto non in possesso dei requisiti di legge.

Ha ritenuto il giudice di prime cure che in fattispecie la prescrizione si sia verificata per i ratei erogati fino al 21 maggio 1996 e che la valutazione della responsabilità del convenuto vada limitata ai ratei erogati dal 21 giugno 1996 al 21 giugno 2001.

Ritiene questo giudice che, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione del diritto fatto valere attraverso l’azione, l’articolo 1, II, legge 20/1994 vada letto e interpretato anche in correlazione alle disposizioni del Cc che disciplinano l’istituto della prescrizione e segnatamente, in correlazione all’articolo 2935 Cc, secondo cui la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Il significato della formula può essere compreso anzitutto ricordando che la prescrizione opera nell’ambito di un rapporto giuridico ed opera quando il diritto non è stato esercitato per un certo tempo, cosicché si è verificata una divergenza tra situazione di fatto e situazione di diritto; cosicché, ancora, la prescrizione comporta il riconoscimento di detta divergenza e la rimozione di essa attraverso l’adeguamento della situazione di diritto alla situazione di fatto.

Vista ora con riguardo all’interesse tutelato nell’ambito del rapporto, la prescrizione decorre dal momento in cui si manifesta detta divergenza, dal giorno perciò in cui, pur essendo attuale l’interesse del titolare del diritto, questi non si attiva per ottenerne la realizzazione.

Occorre pertanto la mancata soddisfazione dell’interesse tutelato e la possibilità attuale dell’esercizio del diritto – esercizio che comporterebbe il soddisfacimento dell’interesse - e a questi due fattori si lega la decorrenza della prescrizione.

L’articolo 2935 Cc infatti indica il dies a quo nella possibilità che il diritto sia fatto valere e quindi nel momento in cui l’interesse tutelato è attuale ed è insoddisfatto. Ai fini della decorrenza della prescrizione pertanto l’inerzia del titolare del diritto assume rilevanza solo di fronte alla possibilità dell’esercizio del diritto; non si configura invece il non uso del diritto quando l’uso non è giuridicamente possibile, perché in tal caso non si è in presenza di un interesse insoddisfatto.

Da detta regola discende che la decorrenza è impedita finché non ricorre la possibilità giuridica - possibilità legale dell’esercizio del diritto -, mentre non sono di ostacolo gli impedimenti di fatto – tra cui rientra anche l’ignoranza incolpevole (conoscibilità soggettiva)- che il titolare del diritto incontri con riguardo all’esercizio concreto di esso diritto.

Per espresso disposto normativo la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, oggetto del giudizio di responsabilità amministrativa, poi, decorre dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso; norma questa in buona sostanza omologa all’articolo 1947, I, Cc; intendendosi il fatto come comprensivo dell’evento dannoso e della esteriorizzazione o conoscibilità obiettiva di esso e conseguentemente differendo sino a tale momento la decorrenza della prescrizione della pretesa risarcitoria; la manifestazione dell’evento nella sfera del danneggiato infatti è l’indice sicuro dell’interesse a far valere il diritto al risarcimento del danno.

Or essendo il fatto causativo della prescrizione l’inerzia del soggetto attivo per un certo tempo, non possono prescriversi i diritti quando l’inerzia del titolare del diritto non sia imputabile, posto che con la prescrizione si estingue il diritto soggettivo materiale, cui il diritto di azione è strumentale perché mezzo attraverso il quale il primo si fa valere in giudizio e si concretizza nell’ordinamento giuridico in capo al titolare del diritto soggettivo materiale.

In base alle considerazioni che non il decorso del tempo indicato dalla legge ma l’inerzia del titolare è causa della prescrizione, alcune circostanze impediscono che possa ravvisarsi inerzia del titolare e sono così fatti impeditivi, sospensivi o interruttivi della prescrizione.

E, in disparte ogni questione sulle ipotesi di sospensione o interruzione espressamente previste dal Cc, fatto impeditivo giuridicamente rilevante è considerato dal legislatore la impossibilità legale dell’esercizio del diritto; l’articolo 2935 Cc infatti sancisce che la prescrizione è impedita fin quando il diritto non può essere fatto valere (actioni nondum natae non praescribitur).

In altri termini si vuol dire che è pur vero che l’eterogeneità degli interessi da tutelare si riverbera nelle diverse forme di protezione e cioè nelle diverse figure di diritto soggettivo, cosicché si manifesta in modo differenziato la mancata soddisfazione dell’interesse tutelato; ma a questa si lega, se vi si accompagna la possibilità giuridica attuale dell’esercizio del diritto - che comporterebbe il soddisfacimento dell’interesse -, la decorrenza della prescrizione in ogni caso ancorché ciascuno differenziato.

Ed a tal fine soccorre appunto il criterio posto dall’articolo 2935 Cc in via generale, là dove il criterio stesso è indicato nella possibilità che il diritto sia fatto valere, identificandosi tale possibilità in quella che si offre al titolare del diritto nel momento in cui l’interesse tutelato non è soddisfatto sebbene sia attuale (per una applicazione cfr. articoli 1073, II e III Cc e 1076 Cc), mentre non è configurabile il non uso (inerzia o mancato esercizio) quando l’uso non è giuridicamente possibile perché in tale ipotesi non c’è un interesse insoddisfatto.

Alla possibilità giuridica (possibilità legale) e quindi alla decorrenza della prescrizione non sono invece di ostacolo gli impedimenti di fatto che il titolare del diritto incontri con riguardo al concreto esercizio del diritto stesso; in tal caso operano, se previste da legge le cause di sospensione della prescrizione (articoli 2941 e 2942 Cc); con la conseguenza che anche l’ignoranza incolpevole del titolare del diritto rientra tra gli impedimenti di fatto, sia l’ignoranza che il suo diritto è sorto e può essere fatto valere, sia l’impossibilità di conoscere altri dati che pure ne condizionano l’esercizio concreto (conoscibilità soggettiva).

La norma generale sulla decorrenza della prescrizione sacrifica infatti l’interesse del titolare del diritto nel perseguire interessi prevalenti su quelli individuali, quale appunto l’adeguamento di una situazione di diritto ad una situazione di fatto e le certezza dei rapporti giuridici.

L’effetto della prescrizione non può configurarsi come una sanzione dell’inerzia, perché in tal caso l’ignoranza del titolare del diritto impedirebbe la decorrenza della prescrizione stessa.

La contrapposta esigenza individuale è pur tuttavia avvertita come bisognosa e meritevole di tutela in molti settori.

E infatti tra le cause impeditive dell’esercizio del diritto la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha elaborato la non conoscibilità obiettiva della danno ingiusto nelle ipotesi di diritto al risarcimento del danno da fatto illecito (articolo 2947, I, Cc).

Ha infatti detta giurisprudenza più volte esplicitato che la responsabilità da fatto illecito costituisce una fattispecie complessa che si perfeziona quando sono realizzati tutti i fatti ed eventi che la compongono, tra cui è ricompresa la conoscibilità obiettiva del danno ingiusto, cosicché il momento della esteriorizzazione obiettiva del danno stesso costituisce il dies a quo di decorrenza della prescrizione, perché solo nel momento in cui il danno si esteriorizza diventa obiettivamente percepibile e conoscibile; cosicché, ancora, non è al momento del suo verificarsi che deve aversi riferimento bensì è a quello eventualmente successivo in cui si esteriorizza il danno stesso che sorge il diritto al risarcimento e quindi il dies a quo del relativo termine di prescrizione, non essendovi prima una inerzia giuridicamente rilevante, nel titolare del diritto, nell’uso giuridicamente possibile del diritto stesso (non uso di un interesse tutelato attuale e insoddisfatto).

E l’articolo 2947, I, Cc come pure l’articolo 1, II, legge 20/1994, costituiscono in effetti applicazione del principio generale posto dall’articolo 2935 Cc riassumibile nel brocardo “actioni nondum natae non praescribitur” con tutte le implicazioni innanzi esplicitate (cfr. in termini Cassazione sezione terza, 1716/79 e 1442/83 e 3206/89; Cassazione sezione seconda, 4532/87).

Né valga l’eccezione che gli impedimenta iuris sono tassativamente previsti dagli articoli 2941 (sospensione) e 2943 e 2944 (interruzione) Cc perché non è problema di fatti interruttivi o sospensivi del decorso della prescrizione bensì è problema di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, che è cosa diversa e per la quale valgono le considerazioni di cui sopra in termini di articoli 2934 e 2935 Cc e di articolo 2947, I. Cc e di omologo articolo 1, II, legge 20/1994.

2. Venendo ora all’esame della fattispecie per cui è qui causa ed in applicazione di quanto sopra detto al punto n. 1, va rilevato che nella materia per cui è qui causa l’articolo 3 del Dl 173/88 ha previsto che con decreto del ministero del Tesoro venissero stabiliti criteri e modalità di verifica della permanenza nel beneficiario dei requisiti prescritti per fruire della pensione, assegno, indennità e per disporre la revoca in caso di insussistenza dei requisiti stessi.

Or con Dm 293/89 il ministro del Tesoro in applicazione del dettato normativo ha stabilito che le verifiche fossero attuate secondo un programma annuale predisposto dal direttore generale delle pensioni di guerra e approvato dallo stesso Ministro; cosicché la limitazione dell’esame della posizione dei singoli beneficiari secondo programmi annuali costituisce non già esercizio del potere di autorganizzazione della Pa, bensì applicazione della legge, come correttamente eccepito da parte appellante; cosicché, ancora, solo in tale momento l’Amministrazione ha la conoscibilità obiettiva del diritto al risarcimento del danno da illecita percezione delle provvidenze oggetto dei piani annuali di verifica in ragione del riscontro della inesistenza dei requisiti in sede di accertamento medico di verifica, mentre prima di tale momento, sussiste un ostacolo giuridico alla conoscibilità del diritto stesso e per l’effetto non è configurabile una inerzia, un non uso di un interesse tutelato, attuale e insoddisfatto, posto anche che l’articolo 3, comma 10, della legge 291/88 prevede l’obbligo da parte dell’Amministrazione di verifica della permanenza nel beneficiario del possesso dei requisiti di legge per fruire della pensione di invalidità al fine di disporne la eventuale revoca in caso di assenza dei requisiti stessi secondo un programma annuale predisposto dall’Amministrazione stessa.

E tale disposizione appare, in contrasto con quanto affermato dai primi giuridici, interferire con la disciplina della prescrizione nella fattispecie per cui è qui causa, perché in base al dettato normativo, - che collega l’adozione del provvedimento di revoca della pensione al sorgere in capo all’Amministrazione dell’obbligo di dare apposita comunicazione alla Procura della Corte dei conti per l’eventuale esercizio dell’azione di responsabilità - va individuato il dies a quo di decorrenza del termine quinquennale di prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativa nella data del provvedimento di revoca, perché solo in tale momento si è esteriorizzato il danno cagionato dal “fatto dannoso” inteso come comprensivo dell’evento dannoso e della esteriorizzazione o conoscibilità di esso.

D’altra parte se l’Amministrazione procedesse a verifica di posizioni non ricomprese nei piani annuali predeterminati su criteri obiettivi terrebbe, come correttamente osservato da parte appellante, un comportamento arbitrario e contrario alla legge, a meno che fatti obiettivi, la cui conoscibilità deve però risultare in via fattuale e concreta, non depongano a favore di verifiche singole, queste però al di fuori dell’ipotesi di cui qui si discute e di cui appunto all’articolo 3 Dl 173/88.

Conclusivamente per l’Amministrazione la conoscibilità obiettiva dell’evento dannoso e la concretizzazione del correlato diritto al risarcimento del danno vanno individuate temporalmente nella data in cui la Commissione medica di verifica ha accertato l’insussistenza del minor grado di invalidità della beneficiaria L. G., ricompresa nel piano annuale, e da detta data decorre il dies a quo della prescrizione dell’azione contabile nei confronti dell’autore del comportamento illecito causativo del fatto dannoso.

In fattispecie il provvedimento di revoca è avvenuto con decreto 3822/10 dell’8 ottobre 1997; il decorso del termine quinquennale di prescrizione è stato validamente interrotto in data 21 giugno 2001 e pertanto erroneamente il giudice di prime cure ha accolto l’eccezione di prescrizione ivi formulata dai convenuti. Non può cosi per quanto detto trovare applicazione in fattispecie l’interpretazione dell’articolo 1, II, legge 20/1994 data dalle Ss.Rr con la sentenza n. 7/2000 Q.M. del 24.5.2000 perché prima del provvedimento di revoca non sussisteva la conoscibilità obiettiva o l’esteriorizzazione della illiceità dei pagamenti in questione, rivelatasi tale solo attraverso il procedimento amministrativo definito con il provvedimento di revoca dei benefici illegittimamente percepiti dalla L. G. in ragione della insussistenza del minor grado di invalidità attribuitole a seguito delle valutazioni medico-legali operate dal G..

3. Vengono ora pertanto all’esame il comportamento del convenuto in prime cure G. G. e la sussistenza e gravità dell’errore professionale commesso dall’appellato nella valutazione delle patologie della pensionata e nel giudizio medico-legale dal medesimo attestante una invalidità permanente pari al 100%, laddove la Commissione incaricata della verifica della permanenza dei requisiti sanitari ha riscontrato una riduzione permanente della capacità lavorativa pari al 50%.

In altri termini va verificata la sussistenza o meno in fattispecie dell’errore professionale scusabile.

Che d’altra parte si sia in presenza di un errore professionale è dato rilevare dalla perizia resa dal Collegio medico-legale, incaricato dalla Procura Regionale di valutare l’operato della Commissione di prima istanza di cui il G. era componente ed a tale titolo evocato in giudizio da parte pubblica.

Or al fine di configurare la sussistenza della colpa grave nel comportamento del medico chiamato a risolvere un problema diagnostico non basta un comportamento non perfettamente rispondente alle regole della scienza e dell’esperienza, ma è necessario che il sanitario usando la dovuta diligenza avrebbe potuto prevedere e prevenire l’evento verificatosi come possibile conseguenza del proprio comportamento.

In altri termini la colpa grave, in ipotesi di responsabilità del medico, si evidenzia quando sia riconoscibile grave imperizia e negligenza, riconducibili alla inosservanza di metodiche diagnostiche e terapeutiche dettate dalla scienza medica, tenendo conto dei mezzi impiegati e perciò del comportamento del medico conforme alla deontologia professionale, che postulano impegno scrupoloso, diligenza superiore alla media, uso di tutte le tecniche dettate dalla scienza clinica e di ogni altro accorgimento suggerito dalla comune esperienza (cfr. Corte dei conti Sez. Giur. Sicilia 196/01 e 1576/02).

In fattispecie il Collegio Medico Legale incaricato da parte pubblica della valutazione di cui sopra ha accertato che:

«la diagnosi di coxoartrosi… non è compatibile con le risultanze medico-legali allora in atti»;

la diagnosi di “sindrome ansiosa depressiva” era stata formulata, in assenza di alcuna obiettività clinica, in base al certificato di un medico “non specialista” attestante che la paziente soffriva di “una forma depressiva ansiosa reattiva”;

era stata ritenuta “grave” una forma artrosica di “modesta incidenza funzionale”;

sarebbe stato necessario disporre esami e accertamenti medico-specialistici per ciascuna delle patologie diagnosticate e purtuttavia nessun accertamento è stato effettuato; il complesso delle menomazioni (comunque rilevabili dagli atti esaminati dalla Commissione di 1^ istanza), in base ai criteri di valutazione in allora vigenti, «avrebbe trovato equa individuazione tra il 60 e il 65%».

Le omissioni e carenze nell’operare del G. depongono per l’affermazione della sussistenza in fattispecie della colpa grave nell’aver riconosciuto in carenza di documentazione qualificata il grado di invalidità del 100% in riforma della valutazione del grado di invalidità del 70% espressa precedentemente, confermata peraltro circa 1 anno prima dell’epoca qui in riferimento in sede di revisione d’ufficio, dalla stessa Commissione di 1 istanza di Imperia (24 aprile 1986) e pertinente le seguenti patologie: coxartrosi bilaterale, sindrome ansioso depressiva, artrosi LS - mentre nessun addebito è stato dal Cml e da parte pubblica mosso con riferimento all’infermità cardiaca ed alla sua valutazione sia della Commissione di I istanza sia dalla Commissione di verifica -.

Ed infatti la patologia artrosica, diagnosticata come grave, veniva ancora, decorsi dieci anni, riscontrata con accertamento Rx di modesta incidenza; la coxartrosi bilaterale è stata diagnosticata in assenza di riscontri Rx e di descrizione clinica mentre la commissione di verifica nel 1997, circa 10 anni dopo quella in riferimento, la diagnostica come “iniziale bilaterale” e ascrivibile “ad invalidità tabellarmente efficiente”; la sindrome depressiva viene diagnosticata in assenza di alcun accertamento obiettivo clinico e sulla base di un certificato medico non specialistico, mentre in sede di commissione di verifica, circa 10 anni dopo l’epoca in riferimento lo specialista neurologo psichiatra su visita diagnostica “tono dell’umore appare volto alla depressione con modica quota ansiosa”.

4. Affermata la sussistenza dell’elemento soggettivo –colpa grave, dalla istruttoria condotta da parte pubblica è risultato che alla Sig.ra L. G. sono stati corrisposti a titolo di pensione dall’1 gennaio 1987 al 22 aprile 1997 assegni per complessive £. 40.718.060 nel presupposto della valutazione espressa in data 22 dicembre 1987 dalla Commissione di prima istanza, di cui il G. era componente, di invalidità pari al 100%. I medici incaricati della verifica della permanenza dei requisiti sanitari per la corresponsione della pensione di inabilità, con relazione dell’1 luglio 1997 accertavano il grado di invalidità del 50% e conseguentemente non confermavano i requisiti sanitari per fruire del beneficio in godimento.

Ai sensi dell’articolo 3, 10°c., Dl 173/88 convertito in legge 291/88 è preclusa al ministero del Tesoro la ripetizione delle somme precedentemente corrisposte.

Il danno erariale va pertanto quantificato nella minor somma di £. 20.359.030 pari al 50% di £. 40.718.060, pari a € 10.514,56. Atteso che alla causazione del danno il G. ha concorso con altro componente medico deceduto, della cui imputabilità non è luogo a delibare, al G. medesimo va addebitato il 50% di £. 20.359.030, pari a £. 10.179.515, pari a € 5.257,28.

Su detta somma va calcolata la maggior somma tra rivalutazione monetaria su base annua secondo gli indici Istat e gli interessi legali a decorrere dal 22 aprile 1997, data della revoca della pensione di inabilità 100%, posto che trattandosi di unico danno a formazione progressiva in ragione dei pagamenti mensili dall’1 gennaio 1987 al 22 aprile 1997, lo stesso si è perfezionato nella sua quantificazione totale appunto in data 22 aprile 1997.

Le spese giudiziali seguono la soccombenza:

PQM

Definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione reiette, accoglie l’appello del Procuratore Regionale ed in riforma della sentenza appellata condanna il Sig. G. G. al pagamento in favore dell’erario del danno determinato in € 5.257,28 (cinquemiladuecentocinquantasette/28) oltre maggior somma tra rivalutazione monetaria e interessi legali come in motivazione specificato e fino alla data della presente sentenza; oltre ancora agli interessi legali dalla data di pubblicazione delle presente sentenza e fino al soddisfo della somma esecutivamente vantata. [Omissis]