Skip to main content

Interruzione - Riassunzione - Decesso del convenuto - Ricorso per riassunzione - Notificazione individuale nei confronti dei chiamati all'eredità

Procedimento Civile - Interruzione - Riassunzione - Decesso del convenuto - Ricorso per riassunzione - Notificazione individuale nei confronti dei chiamati all'eredità - Valida instaurazione del rapporto processuale - Condizioni - Successore universale della parte deceduta - Necessità - Assunzione della qualità di erede - Esclusione - Condizioni - Difetto di legitimatio ad causam - Eccezione relativa proposta per la prima volta con ricorso in cassazione -. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 7517 del 31/03/2011

Procedimento Civile - Interruzione - Riassunzione - Decesso del convenuto - Ricorso per riassunzione - Notificazione individuale nei confronti dei chiamati all'eredità - Valida instaurazione del rapporto processuale - Condizioni - Successore universale della parte deceduta - Necessità - Assunzione della qualità di erede - Esclusione - Condizioni - Difetto di "legitimatio ad causam" - Eccezione relativa proposta per la prima volta con ricorso in cassazione - In tema di interruzione del processo per morte di una delle parti in corso di giudizio, il ricorso per riassunzione ad opera della parte non colpita dall'evento interruttivo, notificato individualmente nei confronti dei chiamati all'eredità, è idoneo ad instaurare validamente il rapporto processuale tra notificante e destinatario della notifica, se questi riveste la qualità di successore universale della parte deceduta ex art. 110 cod. proc. civ.; pertanto, il chiamato all'eredità, per il solo fatto di aver ricevuto ed accettato la predetta notifica, non assume la qualità di erede, ma ha l'onere di contestare, costituendosi in giudizio, l'effettiva assunzione di tale qualità ed il conseguente difetto di "legitimatio ad causam", così da escludere la condizione di fatto che ha giustificato la predetta riassunzione. Tuttavia tale eccezione, in ragione della sua natura sostanziale, introduce questione che va risolta nel merito e quindi non può essere denunciata per la prima volta con il ricorso per cassazione. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 7517 del 31/03/2011

Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 7517 del 31/03/2011

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il curatore del fallimento dell'imprenditore individuale Pandolfino Michele, con citazione del 25.8.89, ha chiesto al Tribunale di Messina di revocare ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, l'atto di vendita in favore di Saporita Maria, rogato in data 20 aprile 1988, dell'immobile di proprietà del fallito ubicato in Rometta Marea, meglio descritto in atti.
Il Tribunale, in accoglimento delle eccezioni della convenuta circa la congruità del prezzo pagato e la sua buona fede, ha respinto la domanda con sentenza 3-6/14-10.99 che il curatore fallimentare ha impugnato innanzi alla Corte d'appello di Messina.
Il processo d'appello, interrotto per l'intervenuto decesso della Saporito M. e quindi riassunto dal curatore fallimentare nei confronti degli eredi della defunta, germani Pino Giuseppe, Maria, Giuseppa, Massimo e Fabio e di Monaco Caterina, è stato definito, nella contumacia dei predetti, con sentenza n. 345 depositata il 30 agosto 2004 che, in integrale riforma della precedente statuizione, ha accolto la domanda.
Avverso questa decisione Pino Giuseppe, Pino Massimo, Pino Fabio e Monaco Caterina hanno proposto per cassazione in base a due motivi resistiti dal curatore fallimentare intimato con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorrenti, col primo motivo, censurano l'impugnata decisione dolendosi, con richiami a precedenti di legittimità, della violazione degli artt. 110 e 132 c.p.c., discendente, a loro avviso, dall'omessa acquisizione della prova, di cui era gravato il curatore che aveva provveduto alla notifica nei loro confronti dell'atto di riassunzione del giudizio interrotto, della loro qualità di eredi, necessaria in caso di notifica eseguita personalmente ed individualmente. Il giudice d'appello, nella loro contumacia, avrebbe erroneamente accertato la loro legittimazione sulla base della mera delazione, omettendo di rilevarne l'insussistenza. Pongono, conclusivamente, la questione di diritto se può costituire accettazione dell'eredità l'accettazione da parte dei chiamati all'eredità della notifica dell'atto di riassunzione del giudizio interrotto e se la parte che vi procede sia onerata della prova della legittimazione discendente dall'effettiva qualità di eredi dei soggetti, cui l'atto è indirizzato.
Il resistente replica alla censura deducendone l'inammissibilità in ragione della sua assoluta novità.
Il motivo appare infondato.
È jus reception che "nella ipotesi di morte di una delle parti in corso di giudizio, la relativa legitimatio ad causam si trasmette (salvo i casi di cui agli artt. 460 e 486 cod. civ.) non al semplice chiamato all'eredità bensì (in via esclusiva) all'erede, tale per effetto di accettazione, espressa o tacita, non essendo la semplice delazione (conseguente alla successione) presupposto sufficiente per l'acquisto di tale qualità, nemmeno nella ipotesi in cui il destinatario della riassunzione del procedimento rivesta la qualifica di erede necessario del de cuius" (Cass. n. 13571/2006). Nel caso in cui ci si avvalga della notifica impersonale e collettiva prevista dall'art. 303 c.p.c., comma 2, non si pone questione di identificazione e verifica della qualità di eredi dei chiamati all'eredità, siccome l'agevolazione ivi prevista affranca il notificante dall'onere di eseguire siffatta ricerca specifica ed individuale (Cass. n. 23783/2007). Laddove si proceda invece, com'è avvenuto nella specie, alla notifica individuale nei confronti dei singoli chiamati all'eredità, la riattivazione del processo ad opera della parte non colpita dall'evento interruttivo, così come nel caso in cui essa intervenga oltre l'anno da tale evento, è idonea ad instaurare validamente il rapporto processuale tra il notificante ed il destinatario della notifica, se questi riveste la qualità di successore universale della parte deceduta ai sensi dell'art. 110 c.p.c.. La parte che procede alla riassunzione ha l'onere di individuare i chiamati all'eredità rispetto ai quali sussistono, in tesi se non dispone di precisi riscontri documentali, le condizioni legittimanti l'accettazione dell'eredità. Questi ultimi, laddove abbiano ricevuto ed accettato la notifica dell'atto di riassunzione nella veste considerata, che di certo non attribuisce per ciò solo anche la qualità di erede, hanno l'onere di contestare, costituendosi in giudizio, l'assunzione effettiva della qualità di erede ed il conseguente difetto della legittimazione ad causam, e di provare la condizione di fatto idonea ad escludere l'effettiva coincidenza tra la posizione che ha giustificato in astratto la riassunzione nei loro confronti e quella di erede. L'eccezione attiene alla legittimazione a subentrare nel processo, e dunque, in ragione della sua natura sostanziale, introduce questione che va risolta nel merito, ed alla luce del principio ordinario sull'onere della prova governato dal principio di prossimità, che grava della dimostrazione dei fatti rilevanti in causa la parte che ne dispone o quanto meno si trova nella condizione di averne conoscenza diretta, e non può essere denunciata per la prima volta con ricorso per cassazione. Lo scrutinio in ordine alla situazione di fatto ostativa all'assunzione della qualità di eredi degli odierni ricorrenti, peraltro dedotta nel motivo in esame con assoluta genericità, senza nè indicare quale dei ricorrenti, tutti pacificamente successori universali della Saporito M., ovvero chi altri avrebbe acquistato la qualità di erede, ne' se tale qualità venne assunta per accettazione mediante aditio, oppure per effetto di pro herede gestio oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 485 cod. civ., apparteneva pertanto alla cognizione del giudice della fase in cui il processo interrotto venne riassunto. Nè, in assenza di contestazione sui presupposti necessari per la successione nel processo, detto giudice era tenuto a verificare d'ufficio la legitimatio ad causarci dei successori della parte defunta citati in riassunzione potendo presumere, al pari del notificante che vi fece affidamento, dal rapporto col de cuius che li legittimava alla successione ai sensi dell'art. 565 cod. civ., e segg., anche lo stato di fatto legittimante la successione nel processo ai sensi dell'art. 110 cod. proc. civ. (v. S.U. n. 4468/2009).
Il secondo motivo denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c. e art. 2729 c.c.. Ascrive al giudice d'appello errata valutazione delle prove acquisite, per non aver tenuto conto della possibilità concessa al convenuto nell'azione de qua di provare l'inscientia decotionis anche in via indiziaria, attraverso l'allegazione di dati sintomatici gravi, precisi e concordanti. Muove critica alla sentenza impugnata per aver ritenuto che la Saporito M. non avesse fornito la prova liberatoria del suddetto requisito benché avesse dimostrato, seppur in via presuntiva, che, ai tempo della stipula del contratto controverso: l'impresa del Pandolfino operava in condizioni ordinarie ne' pendevano procedure esecutive soggette a forme di pubblicità in suo danno; l'assenza di scritture obbligatorie rendeva impossibile verificarne la condizione patrimoniale; deponeva il senso favorevole l'apertura di un conto corrente presso la Banca del Sud; il bene oggetto del contratto non rientrava nel compendio aziendale. I fatti, incontroversi, se correttamente valutati, avrebbero comportato il rigetto della domanda.
Il controricorrente deduce infondatezza del motivo. La censura è inammissibile. Sollecita anzitutto lo scrutinio sulla fondatezza della sintesi tratta dal giudice di merito sui dati probatori esaminati, ritenuti, secondo giudizio insindacabile nel merito, assolutamente decisivi. Propone una rilettura di fatti e circostanze che la Saporito M. avrebbe evidenziato davanti al giudice di primo grado, ma di cui non si assume esser stata fornita dimostrazione attraverso l'esperimento di mezzi istruttori chiesti ed ammessi in quella fase. Mira a valorizzare uno mero stato d'animo o un convincimento sulla normalità della situazione economica dell'imprenditore fallito, ex se inadeguato a superare la presunzione posta dalla L. Fall., art. 67, comma 1, che postula la dimostrazione di circostanze esterne, concrete e specifiche, tali da indurre ragionevolmente detto convincimento in un soggetto di ordinaria prudenza ed avvedutezza.
Tutto ciò premesso il ricorso deve essere rigettato. Si dispone la compensazione integrale delle spese del presente giudizio in ragione dell'opinabilità della questione di diritto trattata. P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e compensa per l'intero le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 1 marzo 2011.
Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2011

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it