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amministratore di condominio a cura di Riccardo Redivo

L’amministratore condominiale: qualificazione giuridica; requisiti; forme di amministrazione e gestione ausiliaria; durata dell’incarico e compenso; dimissioni, prorogatio e conferma; nomina e revoca assembleare e giudiziale; volontaria giurisdizione di Riccardo Redivo

CONDOMINIO

SUPERCONDOMINIO

 

Qualificazione giuridica

Il tema della qualificazione giuridica dell’amministratore condominiale è stato ampiamente discusso fino all’entrata in vigore della legge di riforma dell’istituto del 2012.

Da un lato, infatti, si sosteneva la tesi del rapporto organico tra l’ente e il suo rappresentante e, dall’altro (con orientamento prevalente sia in dottrina, sia in giurisprudenza), del contratto di mandato conferito al rappresentante dell’ente, escludendo che questi dovesse ritenersi organo del condominio.

Seguendo questa linea, il legislatore della riforma (cfr. art. 1129, IV comma c.c. nuovo) ha superato definitivamente il problema (con adesione piena al secondo orientamento), stabilendo l’applicabilità della normativa codicistica sul mandato per l’amministratore condominiale “per quanto non espressamente disciplinato dalla nuova normativa”. (in virtù del principio “lex specialis derogat lege generali”).

I requisiti per l’incarico

I requisiti, etici e professionali, per la nomina sono espressi analiticamente, con carattere tassativo, nel disposto di cui all’art. 71 bis disp. att.

Si tratta di requisiti prevalentemente etici (di fatto già esistenti in precedenza, anche se non codificati) ovvero riguardanti le capacità organizzative e professionali del rappresentante, in quanto legate alla complessità dell’incarico ed alle maggiori responsabilità intervenute con la riforma.

In particolare, l’amministratore deve avere il pieno godimento dei diritti politici; non deve aver subito condanne per reati contro la P.A., contro l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica ed il patrimonio, nonché per reati colposi con pena minima non inferiore ad un biennio ed una massima non inferiore ad un quinquennio; lo stesso, inoltre, non deve essere sottoposto a misure di prevenzione divenute definitive (salvo riabilitazione), né essere interdetto, inabilitato o protestato.

Il rappresentante del Condominio deve essere, altresì, munito (quanto meno) del diploma di scuola media superiore ed aver frequentato i corsi di formazione iniziale e periodica.

Questi ultimi due requisiti non sono necessari se l’amministratore sia anche condomino, mentre se sia stato nominato dall’assemblea nel triennio anteriore all’entrata in vigore della legge n. 220/2012 ed abbia svolto l’incarico per almeno un anno, non è più necessario il predetto diploma, ma permane l’obbligo relativo ai corsi di formazione.

La perdita dei requisiti (con l’eccezione di quelli attinenti alla frequenza ai corsi formativi), comporta l’immediata cessazione dalla carica ed ogni condomino può convocare l’assemblea senza formalità per la nomina di un nuovo amministratore (art. 71 bis IV comma disp. att. c.c.).

Per quanto concerne gli atti compiuti dall’amministratore nominato dall’assemblea, ma privo dei requisiti di legge, riterrei che lo stesso possa essere assimilato ad un “falsus procurator”, con la conseguenza che tali atti da lui compiuti, pur nulli, possono essere ratificati validamente dall’assemblea, dovendosi intendere il contratto concluso dal detto amministratore nominato senza i requisiti, come un contratto in formazione fino al momento della ratifica.

Ovviamente, ove questa non sia concessa, il terzo potrà rivalersi nei confronti dell’amministratore “falsus procurator” per il risarcimento dei danni subiti (azione che non gli sarà ovviamente concessa quando la ratifica sia intervenuta in tempi brevi e ragionevoli).

Forme di amministrazione e di gestione ausiliaria

a) Amministratore persona giuridica

Già ammessa dalla giurisprudenza (cfr. Cass. nn. 22840/2006 e 1406/2007), seppure in parte contestata in un primo momento dagli interpreti (con riferimento al fatto che l’incarico veniva conferito dall’assemblea sulla base dell’”intuitus personae”), tale tipo di amministrazione è stata espressamente riconosciuta dal legislatore (anche per le società di capitali) dal disposto di cui all’art. 71 bis disp. att. già sopra citato.

In tal caso i requisiti analizzati debbono essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministratori dei condomini a favore dei quali la società presta i servizi.

Il legislatore, in particolare, ha tenuto conto della giurisprudenza di cui si è fatto cenno a momenti, considerando che la persona giuridica non soffre di limitazioni di capacità (se non nei casi tassativamente previsti dalla legge) ed è in grado di offrire, quanto all’adempimento delle sue obbligazioni ed all’imputazione della conseguente responsabilità, un grado di affidabilità pari a quello della persona fisica.

b) Amministratore di supercondominio

Nel supercondominio i comunisti debbono nominare un amministratore che assicuri la gestione dei beni comuni a tutti i condomini, mentre, in mancanza della nomina, gli interessati possono chiedere un provvedimento dell’autorità giudiziaria di nomina del rappresentante della cosa comune in sede di volontaria giurisdizione (come avviene per i condomini semplici).

Si è anche affermata la nullità della clausola regolamentare che prevede che l’assemblea del supercondominio sia composta solo dagli amministratori dei singoli condomini, anziché da tutti i comproprietari che lo compongono.

Tuttavia riterrei legittimo che, una volta approvati i bilanci del condominio complesso dalle assemblee dei singoli condomini (che debbono essere inviati in anticipo su quella del supercondominio), l’amministratore di essi (ovvero altro delegato dell’assemblea) possa portare nell’assemblea del supercondominio, quale loro rappresentante, il voto secondo la delibera approvata dai vari edifici condominiali.

Infine è pacifico in giurisprudenza che gli amministratori dei singoli condomini (potendo esercitare i poteri di cui agli artt. 1130 e 1131 c.c. solo con riguardo all’edificio cui sono preposti) non sono legittimati a pretendere dai singoli condomini i contributi relativi alla centrale termica comune (salva una delibera in contrario dell’assemblea dei comproprietari della centrale stessa)..

c) Pluralità di amministratori

E’ pacifico che l’amministrazione del condominio può essere affidata ad una pluralità di amministratori con poteri di operatività disgiunti (sempreché non sia espressamente indicato dall’assemblea un mandato congiunto, nel qual caso è necessaria una firma di tutti per ogni atto e la responsabilità di essi è solidale), mentre va esclusa, in caso contrario, la responsabilità solidale degli stessi, i quali debbono rispondere soltanto per gli atti ed i comportamenti di loro competenza e solo da loro personalmente eseguiti o compiuti.

d) Amministratore di fatto, amministratore turnario e sostituto dell’amministratore

L’amministratore di fatto è una figura che esisteva soprattutto nel passato e che, come l’amministratore turnario, del quale si dirà tra breve, è destinata a scomparire dopo l’entrata in vigore della riforma del 2012.

La detta figura è caratterizzata dall’assenza di un incarico formale da parte dell’assemblea condominiale ed è consentita soltanto negli stabili costituiti da meno di nove partecipanti (prima della riforma con meno di cinque).

Nella sostanza il soggetto deve limitarsi a svolgere servizi utili per la collettività condominiale (riscossione dei contributi, gestione dei servizi ed attività generiche ordinarie), con il consenso dei condomini fondato su un rapporto di fiducia, ma non può rappresentare in alcun modo il condominio nei rapporti esterni ed ancor più avanti all’autorità giudiziaria.

L’amministratore turnario, poi, costituisce un’altra figura atipica assai simile a quella appena descritta, essendo anch’essa ammissibile solo nel condomini con meno di nove unità immobiliari (prima di cinque, come detto).

Si realizza questo tipo di amministrazione quando i singoli condomini – di norma gratuitamente – si alternano tra loro nella gestione, assumendo l’incarico per compiere le operazioni più semplici (per lo più, incassando le quote ed effettuando i pagamenti).

Unico obbligo per l’incaricato è quello di rendicontare incassi e pagamenti, mentre l’amministratore turnario ha diritto di rifiutare altri incarichi richiedenti specifiche competenze e, in ogni caso, non è legittimato a rappresentare in giudizio il condominio.

E’, infine consentito all’amministratore, in assenza di uno specifico divieto regolamentare al riguardo ovvero di attività rientranti nei limiti di un incarico conferito “intuitu personae” (non essendo di norma necessario tale requisito per l’affidamento dell’incarico medesimo), di avvalersi - in difetto di una contraria manifestazione di volontà dell’assemblea nell’atto di nomina e comunque, successivamente, previa autorizzazione della stessa - di un sostituto, delegandogli in tutto o in parte le proprie funzioni, sempre con la possibilità di attribuzione di rappresentanza sostanziale, ed anche processuale.

L’ipotesi ha un senso, anzitutto, se riferita a brevi periodi di tempo e dipesa da ferie ovvero da malattia dell’amministratore ed, inoltre, per operazioni tecniche e contabili particolarmente complesse (ciò soprattutto nei grossi condomini). Il tutto sempre, previo avviso all’assemblea, ai fini dell’autorizzazione necessaria, con indicazione o delle ragioni e dei presumibili tempi di durata della sostituzione ovvero delle ragioni dell’affiancamento del soggetto specificamente competente.

In particolare, nei supercondomini, con grossi problemi tecnici o contabili, previa autorizzazione dell’assemblea, (con le maggioranze di cui all’art. 1136 II comma c.c.: maggioranza degli intervenuti e 501 millesimi) è frequente che l’amministratore possa delegare, anche senza limiti di tempo, a soggetti competenti operazioni particolari di gestione ausiliaria.

e) Curatore speciale e curatore per il riscaldamento

La figura del curatore speciale è regolata dall’art. 65 disp. att. c.c., norma applicabile quando, in mancanza dell’amministratore dello stabile ovvero in presenza di ragioni d’urgenza, un soggetto intenda iniziare o proseguire una causa nei confronti dell’ente condominiale.

Il curatore speciale viene nominato dal tribunale ai sensi degli artt. 78 e 80 c.p.c. ed assume la veste di mandatario del condominio e non quella di ausiliario del giudice ed assume la veste di rappresentante ovvero di assistente dell’ente, quanto meno finchè ad esso non subentri colui a quale spetti di regola la rappresentanza o l’assistenza.

La nomina, inoltre, è prevista nel caso in cui vi sia un conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato.

Si aggiunga che anche nell’ipotesi di supercondominio, la nomina del curatore speciale , in quanto provvedimento camerale di volontaria giurisdizione, può essere sempre modificata o revocata e può essere sempre reclamata entro 10 giorni, trascorsi i quali acquista efficacia definitiva (così Cass. 6817/1988).

La giurisprudenza in passato (cfr. Cass. n. 14447/2006) aveva affermato che, nel caso di mancato pagamento del compenso richiesto al condominio (ove soccombente), l’interessato può agire anche nei confronti del singolo condomino, quale obbligato solidale.

Tuttavia, dopo la nota sentenza sull’obbligazione parziaria delle Sezioni Unite e dopo l’ingresso delle riforma, tale decisione deve considerarsi superata.

Al curatore per il riscaldamento si ricorre di norma quando la presenza del legale rappresentante non sia obbligatoria e l’assemblea intenda deferire la gestione del servizio ad un soggetto dotato di specifica competenza.

Soprattutto nei grossi condomini, accade di frequente che tale figura atipica venga ad affiancare, su autorizzazione dell’assemblea, l’amministratore, svolgendo un’attività meramente ausiliaria dello stesso.

f) Il consiglio di condominio

Istituito dall’assemblea ovvero previsto dal regolamento condominiale, tale istituto è da sempre esistente nella prassi soprattutto nei condomini di grosse dimensioni..

Con la riforma (art. 1130 bis, u.c. c.c.) si è espressamente disposto che, oltre all’amministratore, l’assemblea, negli edifici con almeno dodici unità immobiliari, con la maggioranza semplice, possa nominare un consiglio di condominio, composto da almeno tre condomini con funzioni consultive e di controllo, senza carattere, comunque, vincolante per l’assemblea stessa in ordine ai pareri ed ai consigli espressi, mancando in capo a tale istituto ogni potere deliberativo.

Il regolamento condominiale, peraltro, può meglio specificare la competenza del consiglio, escludendosi, in ogni caso – si ribadisce – un suo potere deliberativo.

Infine, il consiglio può domandare la convocazione dell’assemblea per gravi contrasti sulla gestione dell’ente.

1. Durata e compenso

Sulla durata si è espresso il legislatore della riforma con l’art. 1129, decimo comma c.c., ove si stabilisce, da un lato, che l’incarico dell’amministratore “dura un anno”, come in precedenza e, dall’altro, invece, che l’incarico stesso “s’intende rinnovato per eguale durata”.

La questione ha dato luogo a due differenti orientamenti: da una parte, si afferma che la norma, comportando un rinnovo tacito dell’incarico dopo un anno dalla nomina, senza necessità di adire una specifica assemblea sul punto, implica automaticamente una durata del mandato di un biennio mentre, dall’altra, che si basa sia sul fatto che lo stesso legislatore (il quale in un primo tempo aveva previsto direttamente la durata biennale dell’incarico) ha modificato la sua posizione in sede di stesura finale della normativa, sia sulla circostanza che, comunque, per aversi un rinnovo tacito, bisogna porre i singoli condomini nella possibilità di pronunciarsi al riguardo (con apposita assemblea ove sia posto all’o.d.g. il rinnovo dell’incarico), si è ritenuto non automatico il predetto rinnovo.

In mancanza allo stato di pronunce giurisprudenziali sulla questione, riterrei preferibile aderire a questa seconda soluzione, più motivata ed argomentata.

Va ribadito, altresì, anche in questo caso il carattere inderogabile della norma come stabilito dall’art. 1138 c.c., talchè ogni diverso accordo al riguardo deve essere sempre ritenuto nullo.

Quanto al compenso, va subito detto che all’atto delle nomina, questo deve essere analiticamente precisato nell’importo complessivo proposto per tutta l’attività da svolgere (assumendo così un carattere forfettario), a pena di nullità della nomina dall’amministratore nominando (art. 1129, comma 14 c.c.).

Si tratta di una norma rilevante ed efficace per evitare futuri contenziosi, sopratutto su eventuali compensi aggiuntivi, già in precedenza, comunque, esclusi come spettanti dalla giurisprudenza, anche se qualificati come compensi per “incarichi non previsti”, ma rientranti nell’ambito del mandato.

In ogni caso l’amministratore non può domandare tali compensi extra (ad esempio per attività amministrativa, se non espressamente autorizzato dall’assemblea: cfr Cass. n. 21313/2013).

Il compenso non è di norma soggetto ad IVA, a meno che l’attività non si svolga con l’impiego di mezzi organizzati (come accade per le s.p.a.), poiché in tal caso, come affermato dalla costante giurisprudenza, viene meno il carattere di collaborazione di cui al d.p.r. 597/1993 e si verte nel campo dell’”esercizio delle arti e delle professioni”.

In particolare, l’amministratore di vari condomini non può essere considerato un collaboratore nel senso sopra esposto (mancando l’unitarietà del rapporto con il beneficiario della prestazione), per cui il suo compenso deve essere assoggettato ad IVA (così Cass. n. 6136/2009).

Va, ancora, precisato che, in ogni caso, il compenso deve essere approvato e determinato dall’assemblea ai sensi dell’art. 1709 c.c., anche nell’ipotesi di amministratore nominato in via giudiziaria (vedi Cass. n. 16698/2014).

Infine, nell’ipotesi di amministratore-avvocato, la cui figura è ritenuta di massima ammissibile, va rilevato che, da un lato, l’attività extragiudiziale da lui svolta deve essere pagata a parte e, dall’altro, che sussistono notevoli problemi, soprattutto in relazione al possibile conflitto di interessi, nell’ipotesi di svolgimento di una difesa giudiziale dell’ente da parte dell’interessato.

Nomina e revoca assembleare

Come accennato, la nomina dell’amministratore è obbligatoria quando i condomini dello stabile siano almeno nove, mentre, ove non si riesca in detta ipotesi a procedere alla nomina, sarà necessario, come meglio si dirà a momenti, ricorrere all’autorità giudiziaria per la nomina del legale rappresentante.

Le delibere attinenti nomina e revoca da parte dell’assemblea richiedono entrambe la maggioranza qualificata di cui al secondo comma dell’art. 1136 c.c. (maggioranza degli intervenuti e 501 millesimi della tabella di proprietà).

Con l’accettazione della nomina e ad ogni rinnovo, l’amministratore, oltre a presentare, come accennato, il progetto analitico del compenso richiesto, deve documentare (o, quanto meno indicare) i propri requisiti indicati tassativamente dalla riforma del 2012.

Oltre ai requisiti personali per l’incarico, di cui si è detto all’inizio, disciplinati dall’art. 71 bis disp. att. c.c., l’amministratore è tenuto a comunicare i propri dati anagrafici e professionali; il proprio codice fiscale (se si tratta di società la sede legale e la denominazione); il locale ove si conservano i quattro registri ora obbligatori (oltre a quello delle assemblee, quello della contabilità, quello dell’anagrafe condominiale e quello delle nomine e della cessazione dall’ufficio); il giorno e le ore in cui, previa richiesta dell’interessato, si può procedere alla visione gratuita della documentazione (ottenendone, da parte dell’interessato, una copia firmata, se necessario, previo rimborso delle spese).

Circa la reperibilità, poi, sul luogo d’accesso allo stabile condominiale ovvero di maggior uso comune, accessibile anche ai terzi, deve essere affissa l’indicazione delle generalità e dei recapiti – anche telefonici – dell’amministratore ovvero del soggetto che svolge funzioni analoghe a quelle dell’amministratore medesimo, ove questi manchi (art. 1129, V e VI c.c.).

Si aggiunga che l’assemblea può subordinare la nomina alla prestazione di una polizza di assicurazione per la responsabilità civile per gli atti compiuti nell’esercizio del mandato (art. 1129, III c.c.). In tale ipotesi l’amministratore è tenuto ad adeguare i massimali nel periodo di esecuzione dei lavori straordinari deliberati dall’assemblea (adeguamento non inferiore all’importo di spesa deliberato).

Nell’ipotesi, poi, di amministratore già coperto da polizza per la responsabilità civile professionale, sarà necessaria l’integrazione che garantisca le condizioni previste per lo specifico condominio (con allegazione della dichiarazione di accettazione della compagnia assicuratrice per lo specifico edificio: art. 1129, IV c.c.).

Brevemente, tra gli obblighi più rilevanti del rappresentante dell’ente vanno indicati: l’apertura di un conto corrente bancario o postale a nome del condominio; il riconoscimento del diritto di ogni condomino di prendere visione ed estrarre copia (questo a proprie spese) della rendicontazione periodica; la richiesta di decreto ingiuntivo verso i morosi entro sei mesi dall’approvazione dei bilanci (ove non dispensato espressamente dall’assemblea al riguardo); la consegna dell’elenco dei morosi ai terzi creditori richiedenti; le consegne di tutti gli atti del condominio e dei registri al momento della cessazione dall’incarico in tempi rapidi per non bloccare il funzionamento dell’ente (sul punto si ricorda che il nuovo amministratore può agire ex art. 700 c.p.c. in caso di inerzia del vecchio amministratore ovvero di trattenuta illegittima di parte della documentazione), mentre nulla gli spetta in ordine agli oneri relativi a quest’ultima attività (essendo anche questa ricompresa tra quelle dovute ex art. 1708 c.c.).

Va precisato, in ogni caso, che, secondo la costante giurisprudenza, il nuovo amministratore acquista subito la rappresentanza processuale del condominio, a nulla rilevando sul punto l’avvenuta consegna o meno della documentazione da parte del terzo (cfr. Cass. nn. 14599 e 8498/2012).

Poco resta da dire in ordine alla revoca assembleare dell’amministratore, che, come detto in precedenza, può in qualunque momento essere disposta dall’assemblea con delibera anche non motivata (in tema non rileva la durata dell’incarico di un biennio o meno), sempreché sussista la maggioranza di cui all’art. 1136, II comma c.c., come per la nomina.

Potrebbe porsi semmai un problema di diritto del mandatario, licenziato senza giusta causa, ai sensi dell’art. 1725 c.c., ad un compenso ovvero ad un risarcimento sino alla scadenza naturale dell’incarico ove abbia incontrato spese ovvero subito danni da tale delibera (con prova ovviamente a carico del rappresentante revocato anzi tempo) .

Conferma, prorogatio, rinuncia e fallimento.

Di conferma nell’incarico, alla luce della riforma non può più parlarsi, rivestendo la conferma tacita (salvo di norma che per il secondo anno del mandato) i caratteri di una “nuova nomina”, condizionata dalla necessità alla scadenza dei due anni per l’amministratore di presentare nuovamente le credenziali di cui all’art. 71 bis cit. aggiornate.

Residua, quindi, cessato il biennio di durata, il solo istituto della “prorogatio imperii”, con l’obbligo, fino alla nuova nomina, per l’amministratore cessato dall’incarico, di gestire l’ordinaria amministrazione e le attività urgenti, nonché di rappresentare il condominio anche giudizialmente, ma con il diritto, comunque, al compenso sino alla sua sostituzione.

La “prorogatio”, in particolare, s’applica nel caso di dimissioni (con potere, come detto, dell’amministratore stesso di chiedere, ove non si riesca altrimenti, la nomina giudiziale del nuovo), di scadenza biennale dell’incarico (e mancata nuova nomina), di annullamento della delibera di nomina ed di revoca assembleare del medesimo.

Si discute, invece se l’amministratore, revocato dal tribunale per gravi irregolarità, possa continuare l’attività in “prorogatio”.

Sarei propenso, in linea di massima, per una risposta positiva, sia perché il condominio non può essere lasciato privo di un rappresentante che curi le cose urgenti ed ordinarie, sia perché immediatamente (persino in sede di richiesta della revoca, sopratutto ove vi sia un amministratore completamente inattivo e disinteressato da anni al problema) gli interessati e l’amministratore stesso possono agire in volontaria per la detta nomina.

Per contro, in tale ipotesi, si sostiene la tesi opposta, ovvero di decadenza immediata dell’amministratore revocato giudizialmente, in quanto detto provvedimento comporta automaticamente la revoca contestuale del rapporto di mandato.

Inoltre, nel caso di fallimento dell’amministratore, il mandato si estingue (art. 1728, II comma c.c.) automaticamente per intervenuta incapacità del mandatario; in tal caso appare più che opportuno che il nuovo rappresentante nominato prenda contatto con il curatore del fallimento, ove necessario.

Nel caso di rinuncia all’incarico, infine, l’amministratore deve subito convocare l’assemblea per la comunicazione formale (per la quale, in ogni caso, non necessita l’accettazione da parte dell’assemblea).

Nomina e revoca giudiziale

La nomina può farsi con ricorso all’autorità giudiziaria proposto da uno o più condomini ovvero dallo stesso amministratore (come già ritenuto dalla giurisprudenza e stabilito per legge con la riforma).

Il tribunale, con procedimento camerale, provvede, con decreto motivato, in sede di volontaria giurisdizione, ai sensi degli artt. 737-742 c.p.c. (dettate, di norma, per i procedimenti non contenziosi).

La decisione ha un carattere meramente amministrativo e la domanda non richiede la presenza di un legale (mentre, per la domanda di revoca giudiziale, che vede una contrapposizione di opposti interessi e, come si dirà, comporta anche una decisione sulle spese legali, il suo carattere contenzioso suggerisce quanto meno l’opportunità di una difesa del ricorrente da parte di un avvocato).

Il giudice dovrà, comunque, provvedere, solo in caso di comprovata impossibilità per inerzia o per mancanza di accordo da parte dell’assemblea, talchè quest’ultima non può rinunciare a decidere sulla nomina, demandandola direttamente al tribunale ovvero se l’istanza si basi su presunte irregolarità dell’amministratore in carica.

Il provvedimento del Tribunale non è reclamabile in appello, dato il suo carattere meramente amministrativo e non contenzioso, da un lato, e, dall’altro, tenuto conto che l’art. 64 disp. att. c.c. prevede il reclamo avanti alla Corte d’Appello solo nel caso di revoca giudiziale dell’amministratore (in tal senso cfr. Cass. nn. 9942/2006 e 9516/2005).

Anche la revoca giudiziale deve essere proposta da uno o più condomini avanti al tribunale, che deciderà in camera di consiglio con decreto motivato, dopo aver sentito l’amministratore (novità introdotta dalla riforma) in contraddittorio con il ricorrente (ovvero con i ricorrenti).

Il procedimento, di natura contenziosa, è reclamabile in appello entro 10 giorni dalla comunicazione del provvedimento e viene, in caso di accoglimento della domanda, a sostituire la volontà assembleare.

Il decreto emesso in sede di appello non è impugnabile in cassazione, se non sotto il profilo della statuizione sulle spese legali del procedimento.

Le spese predette, comunque, devono essere poste sempre, ai sensi dell’art. 1129, XI c.c., a carico del ricorrente (giurisprudenza consolidata), il quale, in caso di accoglimento del ricorso da lui proposto, potrà rivalersi sul condominio e questo, in via di regresso, sull’amministratore revocato.

Con la riforma, inoltre, nell’art. 1129, XIII comma c.c., si è disposto espressamente che l’assemblea non può nominare nuovamente l’amministratore revocato.

Tuttavia non mi sembra che esistano motivi ostativi per la nuova nomina nel corso del procedimento, anche nella fase di secondo grado, riferendosi la nuova disposizione legislativa alla sola ipotesi di revoca giudiziale ormai definitiva. In tal caso il giudice dovrà ovviamente dichiarare cessata la materia del contendere, restando sempre integra la possibilità degli interessati di riproporre la domanda di revoca giudiziale.

Deve ribadirsi quanto rilevato in precedenza, ovvero che l’amministratore nominato giudizialmente non ha più alcun legame con l’autorità giudiziaria che l’ha nominato, dipendendo esclusivamente dall’assemblea, che potrà sempre revocarlo direttamente, pure nella fase iniziale, ove non si raggiunga l’accordo sul compenso richiesto ovvero se l’amministratore non abbia i requisiti richiesti dalla legge.

Per quanto concerne i motivi della revoca, va subito sottolineato che questi sono stati ampliati con la riforma o, quanto meno integrati sotto il profilo della tassatività (fermo restando che la loro elencazione, pur tassativa non riveste, comunque, carattere esaustivo).

Si tratta sempre di tre motivi-base, indicati dall’art. 1129, comma XI c.c., concernenti: la mancata informativa all’assemblea di citazioni o di provvedimenti amministrativi riguardanti il condominio, i cui contenuti esorbitino dalle funzioni dell’amministratore; la mancata presentazione dei bilanci per un anno (nella precedente normativa per due anni) e la commissione (prima il sospetto) di gravi irregolarità.

Sono state introdotte per la prima volta le irregolarità fiscali, parificate come effetti al già preesistente obbligo di aprire un conto corrente bancario o postale a nome del condominio, sul quale far transitare, ai fini del costante ed immediato controllo da parte dei condomini, tutte le entrate ed uscite di cassa.

Va rilevato, comunque, che ormai è quasi cessata l’abitudine degli amministratori di far affluire su di un conto personale i versamenti dei condomini (motivo di revoca per grave irregolarità, ritenuto dalla giurisprudenza anche prima dell’espresso divieto legislativo), che costituiva un grave motivi di confusione dei patrimoni, soprattutto nell’ipotesi di amministratore di più stabili condominiali.

Si ritiene, comunque, sempre opportuno, seppure non obbligatorio, convocare l’assemblea prima di adire sulla questione l’autorità giudiziaria.

L’art. 1129, XII comma c.c. nuovo presenta, inoltre, un elenco tassativo, come detto non esaustivo, di gravi irregolarità comportanti la revoca del legale rappresentante: questi non può acconsentire alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti dei condomini a fronte di un credito insoddisfatto (si tratta di un’ipotesi astratta, spettando la rinuncia solo all’assemblea, con necessità di presentare al Conservatore un apposito verbale assembleare di assenso alla cancellazione); deve curare “diligentemente le azioni legali intraprese per la riscossione dei crediti condominiali anche nella fase esecutiva” (con obbligo di riferire all’assemblea eventuali negligenze del legale, che potrà da questa in conseguenza essere anche revocato),; deve curare, inoltre, la tenuta dei registri condominiali, lo stato dei pagamenti degli oneri condominiali e di eventuali liti in corso e, infine, deve comunicare, all’atto della nomina, i dati personali di cui ai requisiti già indicati.

Cenno sulla volontaria giurisdizione

Come accennato, il tribunale può essere adito direttamente dai singoli condomini, anche senza legale e senza obbligo di preventiva mediazione, e dallo stesso amministratore dimissionario.

Il giudice riveste nei procedimenti di volontaria giurisdizione in materia condominiale una funzione di supporto in caso di inerzia dell’ente ovvero, più in generale, nel caso di impossibilità di funzionamento della gestione condominiale: si pensi al caso di amministratore che non esegua le delibere assembleari; di assemblea che non riesca a deliberare su questioni di grosso rilievo pratico (regolamento del parcheggio comune, approvazione del regolamento condominiale obbligatorio ecc.). In tali casi, comunque, è necessario produrre le delibere assembleari negative a dimostrazione dell’inerzia ed impossibilità decisione dell’assemblea.

Si precisa, ancora, che i provvedimenti emessi per l’amministrazione del bene comune (art. 1105 c.c.) non sono mai definitivi, essendo sempre revocabili o modificabili ai sensi dell’art. 742 c.p.c. e non sono impugnabili in cassazione (salvo che non vi sia una condanna alle spese processuali), a meno che il provvedimento del giudice, travalicando i limiti imposti dalla legge, non abbia risolto, in sede di volontaria, controversie inerenti a diritti soggettivi (in tal senso cfr, Cass. n. 4616/2012).