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elezione consiglio ordine avvocati - minoranza e tutela della parità di genere Tar Lazio Sentenza n. 08333/2015

Tar Lazio Sentenza n. 08333/2015

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente
SENTENZA

 

FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio il Sindacato avvocati di Bari e alcuni avvocati del foro di Bari hanno censurato determinate disposizioni del decreto del Ministro della giustizia del 10 novembre 2014 recante "Regolamento sulle modalità di elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi, a norma dell'art. 28 della legge 31 dicembre 2012 n. 247".
Avverso il provvedimento impugnato hanno articolato le seguenti censure:
I) Violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione di legge (artt. 1 e 28 della legge 31 dicembre 2012, n. 247; art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 4 delle disposizioni sulla legge in generale; artt. 3, 48 e 51 della Costituzione, artt. 1 e 3 della legge 7 agosto 1990 n. 241); violazione dei principi generali in materia e tra questi quello democratico, di rappresentanza e di parità di genere; eccesso di potere per sviamento, travisamento, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta.
Le previsioni regolamentari che consentono all'elettore di esprimere un numero di preferenze pari al numero complessivo dei componenti del consiglio da eleggere (articoli 7 e 9 del regolamento) violerebbe la prescrizione contenuta nel comma 3 dell'art. 28 della legge n. 247/2012 nella parte in cui stabilisce che il numero massimo di voti da esprimere è pari ai due terzi dei consiglieri da eleggere.
Il contrasto con la norma primaria sarebbe poi accentuato dalla possibilità, prevista dall'art. 9, comma 4, del decreto ministeriale, di esprimere un voto di lista, atteso che tale modalità, in presenza di liste con un numero di candidati pari al numero degli eligendi, frustrerebbe ulteriormente la necessaria composizione pluralistica del consiglio.
La previsione contenuta nell'art. 7, comma 1, poi, sarebbe illegittima pure nella parte in cui prevede che al genere meno rappresentato sia riservato almeno un terzo dei componenti della lista, "arrotondato per difetto all'unità inferiore", atteso che, a mezzo del procedimento di approssimazione, si individua un valore numerico automaticamente inferiore al terzo, percentuale che invece, ai sensi dell'art. 28, comma 2, della legge n. 247/2012, dovrebbe essere comunque riservata al genere meno rappresentato.
Il regolamento, inoltre, avrebbe del tutto ignorato il contenuto dei pareri obbligatori delle competenti commissioni Camera e Senato, senza esprimere una sia pur minima motivazione in ordine al mancato recepimento.
II) Illegittimità derivata per illegittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, per violazione degli artt. 2, 3, 48 e 51 della Costituzione.
Il decreto impugnato sarebbe altresì illegittimo nella parte in cui, all'art. 14, comma 7, prevede che, ove all'esito dello scrutinio non risulti rispettata la quota di un terzo per il genere meno rappresentato, si forma una seconda graduatoria nella quale, tenendo conto dei voti riportati da ciascun candidato, viene rispettata la composizione del consiglio con le quote di due terzi e un terzo.
In particolare tale previsione risulterebbe lesiva del principio di libertà della scelta elettorale.
In via subordinata, i ricorrenti rappresentano, per la medesima ragione, l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, comma 2, che tale meccanismo sembra autorizzare.
Con il primo, il secondo e il terzo ricorso per motivi aggiunti i ricorrenti hanno impugnato le determine del Presidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bari, rispettivamente in date 10 e 20 dicembre 2014 e 22 gennaio 2015, con le quali sono stati fissati il numero complessivo dei componenti del COA di Bari, il numero dei seggi da riservare al genere meno rappresentato ed i giorni per lo svolgimento delle elezioni ed è stata, inoltre, convocata l'assemblea elettorale; hanno impugnato altresì le presupposte delibere del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bari.
Tali provvedimenti sono stati censurati sotto il profilo dell'invalidità derivata e per le medesime doglianze già articolate con il ricorso introduttivo.
Con il quarto ricorso per motivi aggiunti i ricorrenti hanno, infine, impugnato il provvedimento di proclamazione dei risultati elettorali e dell'avvenuta elezione dei componenti del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bari, per il quadriennio 2015-2018, unitamente al verbale dell'assemblea elettiva degli Avvocati di Bari del 21 marzo 2015; hanno inoltre impugnato il prospetto dei risultati della stessa elezione e gli atti presupposti, connessi o conseguenti, con particolare riferimento alle operazioni della commissione elettorale all'uopo nominata, ivi inclusa l'ammissione alle elezione de qua delle liste costituite da 25 candidati, nonché la delibera del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bari del 4 marzo 2015.
Anche avverso tali atti i ricorrenti hanno lamentato l'invalidità derivata dai provvedimenti gravati con il ricorso introduttivo.
Il Ministero della giustizia si è costituito in giudizio rappresentando l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso.
Si è costituito ad adiuvandum il Sindacato Forense di Napoli, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso
Si sono infine costituiti i controinteressati, proclamati eletti al Consiglio dell'Ordine di Bari in esito alle operazioni elettorali, che hanno concluso per l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso.
Con ordinanza cautelare n. 152 del 15 gennaio 2015 la Sezione ha respinto l'istanza di sospensione cautelare del provvedimento impugnato.
Con ordinanza n. 736 del 18 febbraio 2015, il Consiglio di Stato ha accolto l'appello cautelare.
Alla pubblica udienza del 20 maggio 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente deve essere rilevato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in relazione agli atti impugnati con il primo, il secondo, il terzo e il quarto ricorso per motivi aggiunti, eccepito sia dall'Avvocatura Generale dello Stato che dalla difesa dei controinteressati.
A mezzo di tali gravami, come visto nella esposizione in fatto, i ricorrenti hanno impugnato gli atti preparatori del procedimento elettorale, l'esito del procedimento medesimo e la proclamazione degli eletti, atti la cognizione sui quali è attribuita al Consiglio Nazionale Forense.
Il comma 12 dell'art. 28 della legge n. 247/2012, infatti, in linea con quanto già previsto dall'art. 6 del decreto legislativo luogotenenziale n. 382/1944, dispone che "contro i risultati delle elezioni per il rinnovo del consiglio dell'ordine ciascun avvocato iscritto nell'albo può proporre reclamo al CNF entro dieci giorni dalla proclamazione".
La giurisprudenza formatasi in materia di contenzioso elettorale per le elezioni dei consigli degli ordini professionali, ha pure chiarito come "l'art. 6 d.lg.lt. 23 novembre 1944 n. 282 deve essere estensivamente interpretato nel senso che ai consigli nazionali di alcuni ordini spetta la giurisdizione in ordine alle situazioni conflittuali riguardanti la struttura stessa degli ordini, comprensiva anche delle controversie concernenti la fase di convocazione dell'assemblea degli iscritti per procedere alle votazioni, atteso che la materia elettorale relativa alle professioni non è stata ripartita tra più giudici, e che il legislatore ha voluto salvaguardare, con l'istituzione della giurisdizione professionale, l'autonomia dei collegi nazionali degli ordini professionali, la quale verrebbe, invece, menomata ove si accedesse ad una interpretazione restrittiva della norma sopra richiamata" rilevando, inoltre, come risponda "a criteri di evidente razionalità la concentrazione presso uno stesso giudice dell'intera gamma delle controversie elettorali" (cfr. Cassazione civile, sez. un., 3 novembre 2009, n. 23209).
Tale giurisdizione, a differenza di quanto pure sostenuto dalla difesa erariale, non si estende però al decreto del Ministro della giustizia del 10 novembre 2014 n. 170, non assimilabile ad un segmento organizzativo del procedimento elettorale, così che su tale atto resta ferma la giurisdizione del giudice amministrativo.
Sempre in via preliminare, devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso introduttivo per carenza di legittimazione ad agire e per carenza di interesse a ricorrere articolate dall'Avvocatura Generale dello Stato.
In particolare, la difesa erariale sostiene il difetto di legittimazione a ricorrere del sindacato in considerazione del fatto che lo stesso non agisce per un interesse omogeneo, riferibile cioè a tutti gli appartenenti alla collettività rappresentata.
Il sindacato, inoltre, non avrebbe dimostrato che il regolamento impugnato produce una lesione dell'interesse collettivo istituzionalmente perseguito, così che l'azione proposta integrerebbe una non consentita sostituzione processuale.
Con riferimento ai singoli avvocati, poi, l'Avvocatura ha contestato la sussistenza dell'interesse a ricorrere, rappresentando come la portata generale ed astratta delle norme regolamentari impugnate comporti l'assenza del requisito dell'attualità della lesione e la non individuabilità di una specifica utilità ritraibile dal domandato annullamento.
L'attualità dell'interesse, ha dunque concluso l'Avvocatura in tempo antecedente la proclamazione degli eletti, avrebbe potuto essere valutata solo all'esito delle operazioni elettorali.
La prospettazione non può essere condivisa.
Rileva infatti il Collegio come l'interesse a tutela del quali i ricorrenti hanno inteso agire attiene al legittimo svolgimento delle operazioni elettorali per il rinnovo dei componenti del Consiglio dell'Ordine Forense di Bari e alla legittima composizione di quest'ultimo, interesse che già in passato la giurisprudenza ha qualificato come autonomo e differenziato e, per quanto rileva in punto di legittimazione, unitariamente imputabile all'ente rappresentativo.
Si è infatti osservato che "qualsiasi atto che impedisca l'esercizio del diritto di elettorato attivo o passivo, così provocando una alterazione della composizione degli organi elettivi, deve, pertanto essere considerato lesivo di una situazione differenziata e qualificata dell'ente, che è legittimato a ricorrere per la tutela del proprio interesse alla legittima costituzione dei propri organi che si riflette nell'azione di autogoverno degli appartenenti alla categoria professionale di cui esso rappresenta gli interessi" (Consiglio di Stato sez. V, 14 febbraio 2012, n. 717; più in generale sulla legittimazione a ricorrere di un sindacato, sez. I, 12 febbraio 2009, n.1402).
Sul punto deve pure rilevarsi come proprio l'attinenza delle disposizioni oggetto di impugnazione all'intero procedimento elettorale (e dunque non a gruppi identificati o identificabili di candidati) esclude la prospettata eterogeneità dell'interesse a tutela del quale il sindacato ha inteso agire rispetto a quello dei singoli iscritti.
Da ultimo, deve rilevarsi come la finalità di tutela in senso ampio degli Avvocati rientri tra le finalità istituzionali del Sindacato a norma dell'art. 3 dello Statuto, depositato in atti dalla parte ricorrente.
Venendo poi all'interesse a ricorrere, deve osservarsi come il concreto contenuto delle norme e la immediata lesività delle previsioni in esse contenute – da valutarsi, ai presenti fini, alla stregua della astratta prospettazione di parte e salva l'autonoma e successiva valutazione dei medesimi profili in punto di fondatezza della domanda – appaiono idonei a radicare in capo ai ricorrenti quella posizione qualificata che si differenzia dall'aspirazione alla mera e astratta legittimità dell'azione amministrativa, genericamente riferibile a tutti i consociati.
Le disposizioni regolamentari impugnate, infatti, nello stabilire in maniera puntuale la possibilità di presentare liste con un numero di candidati pari a quelli da eleggere o la possibilità di correggere ex post il risultato elettorale al fine di garantire il rispetto delle percentuali tra i generi, non postulano alcuna necessità di atti applicativi, realizzando direttamente una lesione concreta e non meramente ipotetica della situazione giuridica di cui si invoca tutela, atteso che consentono, con automatica applicabilità, l'utilizzo di un meccanismo di candidatura e di voto confliggenti con i parametri normativi invocati.
La rappresentata contrarietà del decreto ministeriale, da un lato alla norma primaria alla quale esso avrebbe dovuto dare attuazione e, dall'altra, ai parametri costituzionali in materia di parità di genere, produce, dunque, direttamente un vulnus nella sfera dei destinatari, attesa l'immediata operatività delle previsioni censurate e la loro idoneità a ledere l'interesse dei ricorrenti al corretto svolgimento del procedimento elettorale.
Nel caso in esame, peraltro, la condizione della successiva impugnazione degli atti applicativi si è comunque realizzata, essendo stati gli esiti elettorali impugnati sia in questa sede, con mera finalità cautelativa, come si legge negli atti di parte, che con reclamo dinanzi al competente Consiglio Nazionale Forense.
Va, infine, rilevata l'improcedibilità del ricorso nei confronti del ricorrente Vulcano Pierluigi, il quale, come rappresentato oralmente in udienza dal difensore dei contro interessati, è risultato eletto all'esito della competizione elettorale .
Può quindi passarsi all'esame del ricorso introduttivo, con il quale sono state impugnate specifiche disposizioni del decreto ministeriale n. 170/2014, emanato in attuazione della legge 31 dicembre 2012, n. 247.
Quest'ultimo testo normativo ha modificato la composizione dei consigli circondariali forensi e ha dettato nuove norme per l'elezione dei rappresentanti degli stessi.
In particolare, vengono qui in rilievo i commi 2 e 3 dell'art. 28 della legge, i quali rispettivamente stabiliscono che "icomponenti del consiglio sono eletti dagli iscritti con voto segreto in base a regolamento adottato ai sensi dell'articolo 1 e con le modalità nello stesso stabilite. Il regolamento deve prevedere, in ossequio all'articolo 51 della Costituzione, che il riparto dei consiglieri da eleggere sia effettuato in base a un criterio che assicuri l'equilibrio tra i generi. Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo dei consiglieri eletti. La disciplina del voto di preferenza deve prevedere la possibilità di esprimere un numero maggiore di preferenze se destinate ai due generi. Il regolamento provvede a disciplinare le modalità di formazione delle liste ed i casi di sostituzione in corso di mandato al fine di garantire il rispetto del criterio di riparto previsto dal presente comma. Hanno diritto al voto tutti coloro che risultano iscritti negli albi e negli elenchi dei dipendenti degli enti pubblici e dei docenti e ricercatori universitari a tempo pieno e nella sezione speciale degli avvocati stabiliti, il giorno antecedente l'inizio delle operazioni elettorali. Sono esclusi dal diritto di voto gli avvocati per qualunque ragione sospesi dall'esercizio della professione" e che "ciascun elettore può esprimere un numero di voti non superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere, arrotondati per difetto".
Anche tenendo conto di quanto statuito dal Giudice dell'appello cautelare, ritiene il Collegio che il coordinamento tra i due commi dell'art. 28 della legge imponga una valutazione di illegittimità delle disposizioni regolamentari impugnate, in considerazione del fatto che queste ultime, diversamente da quanto stabilito dal legislatore primario, hanno operato nel senso di tutelare l'obiettivo dell'equilibrio di genere, posto dal comma 2, a scapito della finalità di tutela del pluralismo, posta invece dal comma 3.
Deve in primo luogo rilevarsi come il comma 3, nello stabilire il numero massimo di voti che ciascun elettore può esprimere, introduce un'ipotesi di voto limitato, ossia conferisce a ciascun elettore il potere di esprimere un numero di preferenze inferiore al numero di candidati da eleggere.
Conformemente a quanto ritenuto in dottrina e in giurisprudenza, tale scelta del legislatore è finalizzata alla tutela delle minoranze o, comunque, all'effetto di consentire una più ampia e pluralistica rappresentanza all'interno dell'organo eligendo.
Si è infatti in proposito osservato come "il sistema di elezione cd. "a voto limitato" è un meccanismo, tipico della elezione di organi collegiali, tendenzialmente preordinato a permettere che all'interno dell'organo da eleggere siano rappresentate anche le minoranze (...). L'effetto di questa limitazione è evidente: la maggioranza non riuscirà a eleggere tutti i componenti dell'organo perché la minoranza, organizzandosi e facendo confluire i propri voti su candidati predeterminati sulla base di opportuni accordi, potrà ottenere di essere rappresentata all'interno dell'organo. Il modo in cui ciò avverrà dipenderà in concreto dal modo di atteggiarsi e dalla tenuta degli accordi presi prima della votazione" (così T.A.R. Lazio, Latina, 17 maggio 2011, n. 414).
Ciò comporta che, per una precisa e netta scelta del legislatore, nelle elezioni dei consigli degli ordini forensi il numero di preferenze individuato a norma del comma 3 si pone come limite massimo dei voti esprimibili dai singoli elettori, al fine di consentire al maggior numero di liste e, quindi, di orientamenti, anche non necessariamente politici, di ottenere la presenza di propri rappresentanti nel consiglio.
La inequivocità del contenuto precettivo del citato comma 3, in sostanza, non lascia spazio, secondo un criterio ermeneutico letterale e teleologico, ad una competenza regolamentare in punto di limite massimo delle preferenze esprimibili da ciascun elettore, mentre nella parte in cui la norma utilizza l'espressione "non superiore" la stessa consente una disciplina di dettaglio che attribuisca all'elettore la possibilità di esprimere un numero inferiore di preferenze; ciò che è pure confermato dal riferimento, contenuto nella stessa disposizione, all'approssimazione per difetto del numero ottenuto dall'operazione matematica di calcolo dei due terzi.
Ciò posto, appare chiaro come entro il limite stabilito dal comma 3 debba muoversi l'interpretazione del comma 2, nel dettare il quale il legislatore ha perseguito la diversa e ulteriore finalità di individuare previsioni a tutela del genere meno rappresentato.
In sostanza le misure e i meccanismi (questi sì rimessi alla competenza regolamentare del Ministero della giustizia) a mezzo dei quali garantire un risultato elettorale che rispetti l'equilibrio tra i generi, devono necessariamente articolarsi, con riferimento alle modalità di espressione del voto da parte di ciascun elettore, all'interno di un numero di preferenze pari al massimo ai due terzi dei consiglieri da eleggere o al numero intero inferiore alla suddetta frazione.
Il valore numerico così calcolato, in sostanza, andrà ulteriormente frazionato così da individuare una soglia minima di voti da destinare al genere meno rappresentato, in modo tale che solo chi esprima preferenze a favore di candidati appartenenti ad entrambi i generi potrà utilizzare tutti i voti di preferenza corrispondenti al numero determinato ai sensi del comma 3; numero che risulterà ovviamente "maggiore" del numero di preferenze esprimibile dall'elettore che, invece, esprima le sue preferenze a favore di candidati appartenenti ad un solo genere.
La possibilità di esprimere un numero di preferenze "maggiore", in conclusione, opera all'interno del numero di preferenze esprimibili in base al comma 3, legittimando o, più correttamente, imponendo la previsione normativa un'ulteriore limitazione (e dunque un numero "inferiore") dei voti esprimibili dall'elettore che intenda votare candidati appartenenti ad un solo genere.
Tale meccanismo, in quanto destinato ad operare a monte del procedimento elettorale, appare poi conforme alla posizione espressa in materia dalla Corte costituzionale che ha riconosciuto la legittimità di disposizioni che, senza "prefigurare un risultato elettorale o (...) alterare artificiosamente la composizione della rappresentanza consiliare" individuino un meccanismo in forza del quale si predispone "una eguaglianza di opportunità particolarmente rafforzata da una norma che promuove il riequilibrio di genere nella rappresentanza consiliare" (sentenza n. 4 del 2010).
Appare chiara a questo punto l'illegittimità degli articoli 7 e 9 del regolamento ministeriale impugnato nella parte in cui: a) consentono a ciascun elettore di esprimere un numero di preferenze pari al numero di candidati da eleggere; b) consentono la presentazione di liste che contengano un numero di candidati pari a quello dei consiglieri complessivamente da eleggere e c) prevedono che le schede elettorali contengano un numero di righe pari a quello dei componenti complessivi del consiglio da eleggere.
Il ricorso va quindi accolto, in parte qua, con assorbimento di ogni altra censura e va di conseguenza disposto l'annullamento delle corrispondenti disposizioni.
L'annullamento del comma 1 dell'art. 7 del regolamento impugnato, nella parte in cui consente che liste rechino l'indicazione di nominativi pari al numero dei consiglieri di eleggere, importa il venir meno dell'interesse a censurare la previsione, contenuta nel medesimo comma, di una riserva, al genere meno rappresentato, di un terzo dei posti in lista "arrotondato per difetto all'unità inferiore".
La doglianza, infatti, era stata formulata con riferimento a liste contenenti un numero di candidati corrispondente ai rappresentanti da eleggere.
Analoga sopravvenuta carenza di interesse deve ravvisarsi con riferimento alla censura che riguarda la disposizione che consente il voto di lista (articolo 9, comma 4, del regolamento), atteso che la necessaria riconduzione delle liste al limite massimo dei due terzi degli eligendi, rende inattuale la doglianza di contrasto di tale modalità di voto con i principi di pluralismo tutelati dal comma 3 dell'art. 28 della legge n. 247 del 2012.
Il ricorso è altresì fondato nella parte in cui censura il comma 7 dell'art. 14 del medesimo regolamento.
La disposizione prevede che, quando nell'ambito della graduatoria formatasi considerando eletti coloro che hanno riportato il maggior numero di voti, sino al raggiungimento del numero complessivo dei seggi da attribuire, non risulta rispettata la quota di un terzo per il genere meno rappresentato, si forma una seconda graduatoria che, tenendo conto dei voti riportati da ciascun candidato, consenta la composizione del consiglio nel rispetto della quota di un terzo di cui all'articolo 28 della legge.
Tale seconda graduatoria viene formata sostituendo i candidati del genere più rappresentato eccedenti la quota dei due terzi e meno votati con i candidati del genere meno rappresentato che hanno conseguito il maggior numero di voti, sino al raggiungimento del terzo residuo.
Rileva il Collegio come la norma, prevedendo un intervento correttivo a valle del procedimento elettorale, si ponga in contrasto con i principi costituzionali in materia di tutela di genere, per come costantemente interpretati nella giurisprudenza della Corte costituzionale.
Quest'ultima, nell'analizzare disposizioni di legge regionale che avevano introdotto una ipotesi di preferenza di genere, ne ha infatti chiaramente affermato la legittimità solo nei casi in cui le stesse, prevedendo delle mere misure di promozione della rappresentatività, non si presentino "in alcun modo idone[e] a prefigurare un risultato elettorale o ad alterare artificiosamente la composizione della rappresentanza consiliare" così da non potersi individuare, sulla base del meccanismo normativo prescelto "candidati più favoriti o più svantaggiati rispetto ad altri, ma solo una eguaglianza di opportunità particolarmente rafforzata da una norma che promuove il riequilibrio di genere nella rappresentanza consiliare" (sentenza n. 4 del 2010 e precedenti ivi richiamati).
La Corte ha in sostanza affermato che le norme a tutela della parità di genere risultano compatibili con il sistema complessivamente delineato dagli articoli 3, 48 e 51 della Costituzione laddove si limitino a prevedere misure promozionali "a monte" del procedimento elettorale, mentre risultano costituzionalmente illegittime laddove prevedano meccanismi correttivi "a valle" del procedimento medesimo.
In sostanza l'obiettivo della tutela di genere può essere legittimamente perseguito incidendo sulle modalità di formazione delle liste o sulle modalità di espressione delle preferenze, mentre il perseguimento della suddetta finalità non può importare una modifica ex post della volontà espressa dal corpo elettorale, ciò che è invece avvenuto nel caso in esame in forza del contenuto del comma 7 dell'art. 14 del regolamento impugnato.
Sul punto deve osservarsi come, sebbene il contenuto della disposizione regolamentare possa apparentemente sembrare accordato al tenore letterale della disposizione primaria di cui all'art. 28, comma 2, della legge n. 247/2012, la previsione regolamentare (secondo quanto ritenuto pure dalla Commissione Giustizia della Camera dei deputati che, in sede di formulazione del parere sullo scherma di regolamento, nella seduta del 9 ottobre 2014 ha formulato sul punto una specifica condizione) avrebbe dovuto invece prelevare l'unico e diverso significato normativo della disposizione primaria coerente col dettato costituzionale, e cioè quello di prevedere meccanismi e procedure idonei a promuovere e non ad imporre il rispetto di proporzione fra i generi, fornendone quindi la doverosa lettura costituzionalmente orientata così superando, per la via interpretativa, i rilevati profili di incostituzionalità.
Il ricorso va quindi accolto anche con riferimento alla domanda di annullamento dell'art. 14, comma 7, del regolamento.
La novità della questione giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, così provvede:
- dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo con riguardo a tutti i ricorsi per motivi aggiunti;
- dichiara la parziale improcedibilità del ricorso introduttivo, nei sensi di cui in motivazione;
- accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso introduttivo;
- compensa interamente le spese di lite tra tutte le parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 maggio 2015 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Raffaello Sestini, Consigliere
Roberta Cicchese, Consigliere, Estensore