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Diritto Penale – custodia cautelare in carcere – imputato ultrasettantenne

Custodia cautelare – imputato ultrasettantenne – presunzione di inadeguatezza (art. 275, co. 5, c.p.p.  – principi di adeguatezza e proporzionalità – “il divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti dell’imputato ultrasettantenne, posto dall’art. 275, comma 4, c.p.p., esprime una presunzione (relativa) di inadeguatezza della coercizione intramuraria in rapporto al naturale scadimento delle condizioni psicofisiche in età avanzata, ed opera anche se la persona superi tale soglia anagrafica dopo l’emissione del titolo cautelare”. Cassazione Penale, Sez. VI, sent. n. 18195/19 ud. 20.12.18, dep 2.5.2019. Commento a cura dell’Avv. Emanuele Lai.

Il Tribunale di Reggio Calabria ha ritenuto che l’art. 275, co. 4, c.p.p., relativo al divieto di applicazione della custodia cautelare in carcere agli imputati che abbiano superato i settanta anni di età troverebbe applicazione solamente al momento genetico del titolo, atteso il tenore letterale della norma che recita “non può essere disposta” a differenza da quanto, invece, previsto al primo periodo del medesimo comma secondo cui la misura restrittiva della libertà personale “non può essere disposta né mantenuta”.

I giudici di legittimità, investiti del ricorso, hanno evidenziato come siffatta interpretazione contrasti con i principi che reggono il microsistema cautelare.

Le articolazioni del principio di adeguatezza comportano infatti il divieto di applicazione della custodia cautelare in presenza di alcune condizioni.

Le situazioni soggettive rilevanti a tal fine sono indicate ai commi 4 e ss., art. 275, c.p.p. e, segnatamente, riguardato soggetti ontologicamente inadatti alla vita inframuraria, quali donne incinte o con prole di età non superiore a sei anni (ovvero al padre nei i casi di decesso della madre o in cui la medesima sia assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole). Parimenti inadatto alla restrizione intra moenia, si presume il soggetto che abbia compiuto, come nel caso portato al vaglio della Corte, i settanta anni di età, nei cui confronti, si è detto, la misura custodiale non può “essere disposta”, salvo che non sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.

Tali condizioni, a ben vedere, suggeriscono una pericolosità attenuata che giustifica la deroga anche alla presunzione legale di adeguatezza della custodia cautelare in carcere di cui ai commi precedenti. Per tali soggetti, definiti deboli, l’ordinamento non rinuncia tout court a qualsivoglia forma di prevenzione, ritenendo, tuttavia che altre misure rispetto a quella più gravosa, siano sufficienti a garantire le esigenze cautelati.

Con specifico riferimento a soggetti ultrasettantenni, la giurisprudenza di legittimità ha avuto in più occasioni modo di rappresentare come la presunzione di attenuazione delle esigenze cautelari trovi giustificazione dello scadimento delle facoltà fisiche e psichiche che, naturalmente, accompagnano il progredire dell’età.

Per tale particolare condizione del soggetto “debole”, alla luce del principio di adeguatezza, secondo il quale deve esservi corrispondenza tra le esigenze cautelari e le misure in concreto applicate al fine di garantirle, la custodia cautelare rappresenta una risposta eccessivamente gravosa, salvo nei casi in cui sia accertata la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.

Tale corrispondenza, peraltro, non deve investire solo il momento genetico della misura, dovendo, invece, sussistere durante l’intero iter cautelare. Diversamente opinando, infatti, si assisterebbe ad una compressione della libertà personale in palese contrasto con la funzione che la specifica misura deve soddisfare alla luce dei principi di adeguatezza e proporzionalità.

Non vi sono ragioni per ritenere che tale principio subisca una deroga nel caso in cui l’indagato compia i settanta anni di età nel corso del procedimento cautelare.

D’altro canto, la giurisprudenza ha da tempo riconosciuto la prevalenza della presunzione di inadeguatezza di cui sopra anche in costanza di quei reati di cui al comma 3 dell’art. 275, che, atteso il particolare allarme sociale ad essi ricondotto, prevede espressamente l’applicazione della custodia cautelare.

Alla luce delle considerazioni svolte, i giudici di legittimità hanno ritenuto che sussista, nel caso di imputati ultrasettantenni, il potere-dovere del giudice vi verificare la sussistenza di eccezionali esigenze cautelari, dando specifica e adeguata motivazione, in assenza delle quali dovrà disporre misure meno afflittive di quella custodiale.

A tale verifica il giudice potrà essere chiamato anche nel corso del procedimento cautelare, non essendovi ragioni per circoscrivere i principi di adeguatezza e proporzionalità solo alla fase genetica della misura cautelare.

link sentenza:

http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/18195_05_2019_no-index.pdf