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Delitto di diffamazione – Esercizio del diritto di critica

Delitto di diffamazione – Esercizio del diritto di critica – Esclusione in caso di espressioni critiche trasmodanti in “argumenta ad hominem” – Verosimiglianza del fatto oggetto di critica – Continenza delle espressioni utilizzate – Configurabilità putativa della causa di giustificazione – Cassazione penale, sez. V, sentenza n. 21145 del 15/05/2019 (ud. 18/04/2019) Commento a cura dell’Avv. Marco Grilli

Fatto. Il Tribunale di Agrigento, quale giudice del gravame rispetto all’appello proposto avverso la sentenza del Giudice di Pace, ha parzialmente riformato la sentenza di condanna a carico di M.C. per la diffamazione continuata commessa a danno di O.S., parte civile costituita, confermando comunque il giudizio di responsabilità in ordine ad alcune missive che l’imputato aveva inviato, a funzionari di altri enti pubblici preposti al controllo, per criticare aspramente l’operato del Direttore Generale della ASP di Agrigento.

Il predetto Tribunale aveva ritenuto che le condotte imputate erano senza dubbio idonee ad integrare il reato di diffamazione sia da un punto di vista oggettivo che soggettivo ed in assenza dell’invocata causa di giustificazione del diritto di critica. Infatti, le espressioni utilizzate erano certamente idonee a screditare l’opinione che nell’ambiente si aveva della persona offesa, cui era attribuita una gestione illegale del proprio ufficio; erano altresì animate dalla coscienza e volontà di screditarne la reputazione professionale; non erano sorrette da un’adeguata motivazione circa la sussistenza dei fatti illeciti dedotti, essendo stata la persona offesa prosciolta dagli addebiti mossigli.

L’imputato propone ricorso per Cassazione lamentando violazione di legge, in relazione all’art. 595 c.p., e vizio di motivazione.

Nello specifico, viene dedotto che l’intento del ricorrente, anche nella sua veste di pubblico ufficiale, non era di diffamare la persona offesa, ma solamente di segnalare a funzionari sovraordinati e con specifici poteri di controllo, gravi irregolarità riscontrate nella gestione della ASP di Agrigento. Peraltro, le denunce e le segnalazioni avevano dato luogo sia ad un procedimento penale, sia a rilievi di natura contabile operati dalla Corte dei Conti, sia, infine, alla destituzione dall’incarico ricoperto dalla costituita parte civile.

Decisione. Il ricorso è fondato e la sentenza deve essere annullata senza rinvio, assolvendo l’imputato perché il fatto non costituisce reato.

La Corte osserva che, per quanto attiene alla sussistenza della scriminante, questa vada esclusa quando la condotta dell'agente trasmodi in aggressioni gratuite, non pertinenti ai temi in discussione ed integranti l'utilizzo di “argumenta ad hominem”, intesi a screditare l'avversario mediante la evocazione di una sua presunta indegnità od inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni. Al contrario, può essere ravvisata in tutti quei casi in cui un soggetto portatore di interessi di rilevanza collettiva indirizzi una o più missive a persone dotate di specifici poteri, con le quali si censurano le scelte di un pubblico funzionario, ponendone in dubbio la regolarità.

Tali considerazioni risultano ormai pacifiche nella giurisprudenza di legittimità.

Sotto altro profilo, sempre facendo applicazione dei principi consolidatisi in materia, la Corte rettifica l’interpretazione riduttiva offerta del concetto di “verità del fatto” oggetto di critica.

In proposito, osserva che la critica si concretizza in una valutazione e presuppone un fatto assunto ad oggetto della critica stessa. Conseguentemente, la critica si pone come un qualcosa di diverso ed ulteriore rispetto al fatto su cui si appunta e non potrà essere valutata in termini di “vero o falso”.

Necessaria è l’esistenza dei fatti su cui la critica si concentra, tuttavia, la loro veridicità è limitata all’oggettiva esistenza dei dati assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse.

Tali considerazioni risultano suffragate anche dalla giurisprudenza della CEDU, la quale afferma che per valutare la giustificazione di una dichiarazione contestata è necessario distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, solo i primi, infatti, possono essere riguardati in termini di “vero o falso”, per i secondi, invece, ne è più complessa ed a volte impossibile la dimostrazione.

Proseguendo, l’analisi della Corte si sofferma sul requisito della continenza delle espressioni utilizzate nella critica, in relazione al profilo sostanziale ed a quello formale.

La continenza sostanziale attiene alla natura ed alla portata delle opinioni espresse, in relazione alla loro rilevanza ed all’esistenza di un diritto o un dovere di denuncia. La continenza formale attiene, invece, al modo in cui viene reso il giudizio o è esternato il racconto di un fatto, che deve essere veicolato in maniera corretta, proporzionata e mai gratuitamente offensiva, seppur può prevedere toni aspri o polemici, funzionali al giudizio offerto.

Conseguentemente, ben può essere considerata continente sotto entrambi gli aspetti la critica veemente di chi si rivolge a rappresentanti pubblici per la sentita necessità di denunciare l’esercizio di un potere percepito come arbitrario o illegittimo, purché non si trasmodi nei già indicati “argumenta ad hominem”.

Da ultimo, la Corte rileva come il Tribunale non si sia affatto confrontato con la possibile sussistenza di una causa di giustificazione putativa, art. 59 comma IV c.p., pure astrattamente compatibile con l’esercizio del diritto di critica.

Infatti, dalla mancanza di certezza processuale in ordine alla verità dei fatti denunciati, va tenuto distinto il profilo della ragionevole e giustificabile convinzione in capo al latore della critica che gli stessi siano sussistenti.

Così ricostruiti i parametri interpretativi della questione sottoposta al proprio vaglio, la Corte, ritiene che, nel caso di specie: nessuna delle espressioni provenienti dall’imputato sono rivolte alla parte civile in quanto persona, ma colpiscono tutte la funzione pubblica da questi ricoperta; nonostante i toni talvolta aspri, le critiche sono esposte con continenza, sia formale che sostanziale, in ragione delle funzioni rivestite da entrambe le parti, ed adeguate alla rilevanza degli interessi “in gioco” che l’imputato riteneva di dover tutelare; la mancanza di accertamento in sede penale degli addebiti mossi alla persona offesa non pregiudica la ragionevole convinzione sorta nell’imputato circa la loro esistenza, anche avendo avuto riguardo alle contestazioni comminate in sede amministrativa nei confronti del primo.

In conclusione la Corte ritiene che difetti l’elemento soggettivo del reato o che, comunque, l’imputato abbia agito in presenza di una causa di giustificazione.

La decisione integrale è consultabile al seguente indirizzo:

http://www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snpen&id=./20190515/snpen@s50@a2019@Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.