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Condominio - Uso del bene comune da parte del condomino - rispetto del pari diritto in capo agli altri partecipanti – Cass. sez. II, 10 gennaio 2024, n. 980

E’ consentito l’utilizzo della “res communis” da parte del singolo a condizione del rispetto del pari diritto in capo agli altri partecipanti – Cass. sez. II, 10 gennaio 2024, n. 980 – Commento a cura di Adriana Nicoletti, Avvocato del Foro di Roma

L’art. 1102 c.c. consente a ciascun proprietario di far un uso più intenso della cosa comune, a condizione che non sia alterata la funzione del bene e non impedito il pari uso. L’alterazione della funzione del bene deve essere effettiva e non può consistere in una semplice modificazione materiale del bene. La nozione di pari uso della cosa comune, agli effetti dell’art. 1102 c.c., non va intesa in termini di assoluta identità dell’utilizzazione del bene da parte di ciascun proprietario, il che comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio nel godimento dell’oggetto della comunione. 

La ratio dell’art. 1102 c.c., norma relativa alla comunione ed applicabile al condominio in forza del rinvio di cui all’art. 1139 c.c., va individuata nel contemperamento degli interessi del condomino ad usufruire di un bene di cui lo stesso è compartecipe e quello degli altri soggetti, che costituiscono la  collettività, i cui diritti devono essere parimenti garantiti per effetto della non alterazione della destinazione del bene, oggetto di utilizzazione, e del non impedimento di un uguale uso dello stesso.

La Corte di cassazione, nel ribadire principi oramai costantemente acquisiti, ha chiarito che l’alterazione della funzione del bene non può essere rilevata in termini generici ma effettivi e, quindi, con riferimento al caso concreto.

Una questione al centro di dibattito dottrinale e giurisprudenziale è rappresentata dall’interpretazione da dare al termine “pari uso” contenuto nell’art. 1102 c.c., da intendere nel senso che vi deve essere una compatibilità dell’utilizzo del bene comune da parte del singolo in relazione agli altri partecipanti al condominio. Una conciliabilità fondata sul principio di solidarietà che contraddistingue i rapporti condominiali e che, di per sé, esclude un utilizzo della res da parte dei condomini che avvenga in modo identico e nello stesso momento, perché questo sarebbe concretamente impossibile. È stata, peraltro, affermata la necessità che sussista “la ragionevole previsione dell’utilizzazione “che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa” (Cass. 27 febbraio 2007, n. 4617).  

Quando si può, quindi, parlare di un uso legittimo del bene comune ai sensi dell’art. 1102 c.c.? Le condizioni previste dalla norma si intendono realizzate “qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto” (Cass. 30 maggio 2003, n. 8808; Cass. 28 agosto 2020, n. 18038).