Skip to main content

Condominio – clausola compromissoria regolamentare – Corte di Cassazione, Sez. 2, Ordinanza n. 23665 del 31 agosto 2021 - commento 

Opposizione a decreto ingiuntivo – regolamento di condominio – clausola compromissoria – giudizio di incompetenza – regolamento di competenza – obbligatorietà -    a cura di Adriana Nicoletti – Avvocato del Foro di Roma – Commento

FATTO. Una società, nei cui confronti era stato emesso decreto ingiuntivo per oneri condominiali non versati, proponeva opposizione avverso detto decreto, eccependo l’incompetenza del Tribunale  in virtù di una clausola compromissoria regolamentare. Il giudice di pace respingeva l’opposizione e la decisione veniva integralmente riformata in appello. Il Tribunale, infatti, aveva ritenuto che la lite rientrasse nella competenza arbitrale, dal momento che la clausola invocata era di un tenore tanto ampio da comprendere qualsivoglia controversia insorta tra i condomini e fra questi e l’amministratore, incluse le obbligazioni di pagamento degli oneri condominiali.

Avverso la sentenza il Condominio ricorreva in Cassazione, denunciando che l’opponente aveva contestato la sola competenza arbitrale per cui le difese nel merito, avendo un carattere meramente subordinato, non avevano dato luogo ad alcuna controversia che potesse rientrare nell’ambito della clausola compromissoria in questione. Peraltro, discutendosi solo del mancato pagamento di quote condominiali risultanti da delibere non impugnate, non vi era – a dire del ricorrente – alcuna res controversa che potesse essere compresa nella clausola compromissoria. L’ultima censura concerneva, poi, l’interpretazione che il Tribunale aveva dato della clausola stessa che non poteva riferirsi al pagamento di quote, divenuto – come detto - definitivo.

La Corte dichiarava il ricorso inammissibile.   

DECISIONE. Come evidenziato dalla Suprema Corte il Condominio, sebbene il Tribunale avesse declinato la propria competenza a favore degli arbitri rituali, aveva impugnato la decisione con ricorso ordinario. La decisione di primo grado, in realtà, poteva essere impugnata solo con il regolamento necessario, ai sensi dell’art. 819 ter, comma 1, c.p.c., come modificato dall’art. 22, D. Lgs n. 40/2006, in considerazione della natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale che si delinea come strumento di soluzione delle controversie in sostituzione della funzione di giudice ordinario. Infatti – come dichiarato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 223/2013 in tema di rapporti tra arbitrato rituale e processo ordinario - l’arbitrato rituale è volto «ad un risultato di efficacia sostanzialmente analoga a quella del dictum del giudice statale». E stabilire se una controversia sia da devolvere agli arbitri o al giudice ordinario integra una questione di competenza, impugnabile solo ai sensi dell’art. 42 c.p.c., indipendentemente dal fatto che il giudice si sia pronunciato o meno sulla natura della clausola oggetto di lite.

Da ultimo, ai fini dell’applicabilità dell’art. 42 c.p.c. – come ancora affermato dalla Corte – non rileva il fatto che l’incompetenza sia stata dichiarata in sede di appello in riforma di una decisione di primo grado che si sia espressa anche nel merito, poiché il citato art. 42 non differenzia il regime di impugnazione da adottare in relazione al grado di giudizio in cui la sentenza sia stata pronunciata oppure in base alle argomentazioni che ne costituiscono il fondamento (Cass. n. 17025/2017).