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 regolamento di condominio - Delibera assembleare –  corte di cassazione, sez. 6, ordinanza n. 28508 del 15 dicembre 2020 -  commento

Condominio –  impugnativa - regolamento di condominio – clausola compromissoria – comodatario – legittimazione attiva - insussistenza  -    corte di cassazione, sez. 6, ordinanza  n.  28508 del 15 dicembre  2020 a cura di Adriana Nicoletti – Avvocato del Foro di Roma – Commento

 

FATTO. Proprietario e comodataria di una unità immobiliare impugnavano la delibera assembleare nella parte in cui veniva disposta, stante la cessazione dell’attività commerciale da quest’ultima esercitata nel locale, la rimozione dell’insegna pubblicitaria posta su parte comune dell’edificio. Gli attori assumevano, infatti, la lesione del loro diritto a mantenere lo stato di fatto, consacrato in un precedente accordo transattivo intervenuto con il condominio.

La Corte di appello confermava la sentenza di primo grado che, da un lato, aveva dichiarato il comodatario privo di legittimazione ad impugnare la delibera e, dall’altro, aveva ritenuto l’azione intentata dal condomino improcedibile, sussistendo nel regolamento di condominio una clausola che demandava alla conoscenza di un arbitro amichevole, ovvero ad un collegio di arbitri, le controversie che dovessero riguardare non solo il rispetto del regolamento, ma anche l’uso della comproprietà qualora non potessero essere risolte dall’amministratore.

Entrambi i soccombenti ricorrevano in Cassazione lamentando che, per la fattispecie oggetto di giudizio,  il ricorso all’arbitrato non era invocabile poiché, in forza della risalente transazione, il diritto all’utilizzo del bene comune (da cui il mantenimento dell’insegna pubblicitaria) si era cristallizzato in quell’accordo. In capo comodatario, inoltre, sussisteva un interesse concreto ad impugnare la delibera  in considerazione del danno che avrebbe subito con la rimozione dell’insegna pubblicitaria.

La Corte Suprema rigettava il ricorso. 

DECISIONE. Il primo motivo di ricorso veniva dichiarato inammissibile poiché, per come formulato, i ricorrenti non si erano doluti dell’omesso esame di un fatto storico, e cioè di un dato materiale, ma avevano invocato che il giudice di legittimità procedesse ad una diversa interpretazione della portata della clausola compromissoria rispetto a quella compiuta dalla Corte d’appello. Dal portato di tale affermazione consegue che «detto accertamento è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all'atto negoziale un determinato contenuto oppure nel caso di violazione di norme ermeneutiche» (Cass. 27 marzo 2012, n. 4919).

Nel caso concreto la Corte di appello, considerato il tenore della clausola, aveva discrezionalmente ritenuto ricompresa nelle attribuzioni del collegio arbitrale anche l’impugnativa di una deliberazione concernente la rimozione di un manufatto esistente su parti comuni, in quanto situazione rientrante nell’uso della proprietà condominiale. Inoltre, il fatto solo che nel passato fosse intervenuta una transazione tra i ricorrenti ed il condominio sui diritti per cui è causa non sottraeva il diritto in oggetto alla disponibilità delle parti.

Infondato anche il secondo motivo di ricorso, poiché il potere di impugnativa delle delibere assembleari ex art. 1137 cod. civ. spetta solo al proprietario e non al comodatario, il quale non è titolare di un diritto reale ma di un diritto personale che gli deriva da un contratto con effetti obbligatori. Il comodatario, pertanto, per fare valere i propri diritti potrebbe avviare – ove ve ne fossero i presupposti – un’azione di mero accertamento della eventuale nullità della delibera, oppure agire in sede risarcitoria.