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Procedimento disciplinare - Deontologia - Le espressioni sconvenienti od offensive nei confronti del giudice

L’avvocato, nell’ambito della propria attività difensiva, può e deve esporre con vigore le ragioni del proprio assistito, utilizzando tutti gli strumenti processuali di cui dispone. A tale ampiezza dei mezzi difensivi si contrappone tuttavia, quale limite invalicabile, il divieto di assumere atteggiamenti o comportamenti sconvenienti e in violazione del codice deontologico forense, che impone al professionista di mantenere con il giudice un rapporto improntato alla dignità e al rispetto sia della persona del giudicante che del suo operato (Nel caso di specie, il professionista aveva appellato la sentenza asserendo che il giudice avrebbe condannato il suo assistito senza leggere gli atti, utilizzando la tecnica del “copia ed incolla” e con motivazione mediocre. In applicazione del principio di cui in massima, il CNF ha quindi ritenuto responsabile il professionista, che ha sanzionato con l’avvertimento, in luogo della censura inflittagli dal COA di appartenenza). Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Vermiglio, Rel. Sica), sentenza del 27 febbraio 2013, n. 22


Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Vermiglio, Rel. Sica), sentenza del 27 febbraio 2013, n. 22

FATTO
In data 06.10.2008 il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Milano trasmetteva al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano un esposto a carico dell’avvocato F.M.N. che censurava il comportamento dell’Avv. N. per aver, nell’atto di appello avverso la sentenza n. emessa dal G.U.P. presso il Tribunale di Milano in data 06.05.2008, usato espressioni offensive nei confronti dell’estensore della sentenza de qua.
Notiziato dell’esposto, l’Avv. N. depositava note in sua difesa con le quali, dopo aver ricostruito i fatti secondo il proprio punto di vista, deduceva che le frasi ritenute offensive erano state decontestualizzate e inoltre che le critiche mosse alla sentenza erano rivolte alla motivazione e non già alla persona dell’estensore.
In data 05.02.2009, il COA di Milano deliberava l’apertura del procedimento disciplinare con la seguente incolpazione:
“Essere venuto meno ai doveri di correttezza e probità per aver, in qualità di difensore di K. A. avanti il G.U.P. di Milano nel procedimento n. R.G.n.r. e n. R.G.G.I.P., nell’atto di appello avverso la sentenza emessa il 06.05.2008 nel suindicato procedimento , usato le seguenti offensive espressioni:
- a pag. 2: “probabilmente ignorando il contenuto delle informazioni di P.G. e verbale di arresto”; “…quello che è stato scritto dai Carabinieri di Monza… e con molta probabilità lo stesso non lo ha mai letto…”;
- a pag. 6: “lo scarso equilibrio che emerge dalla motivazione del Giudice di primo grado, il quale è impegnato in una farneticante disamina sull’adeguatezza della pena…”; “non consente allo stesso di poter motivare in maniera logica…”; “è l’effetto del cosiddetto copia e incolla che sembra il metodo utilizzato dal Giudice per abbozzare una motivazione a dir poco mediocre…”;
- a pag. 10: “attesa la delirante motivazione addotta…”;
- a pag. 11, 12, 13: “si spinge oltre ogni limite… motivazione questa che non è in alcun modo degna di essere tale…”; “la sola giustificazione illogica e priva di fondamento che il Giudice tenta di addurre è rappresentata da un maligno sbeffeggio di alcune considerazioni difensive… motivazione che è invece non solo debole sotto ogni punto di vista, ma soprattutto è giuridicamente squalificata”.
In Milano, il 07.07.2008”
Il COA, all’esito dell’udienza tenutasi il 9 novembre 2009, visti gli atti e i documenti acquisiti al fascicolo del procedimento, riteneva l’Avv. N. responsabile disciplinarmente per i fatti di cui al capo di incolpazione e provvedeva ad irrogare nei suoi confronti la sanzione della censura.
La motivazione di tale decisione si basava in primis sulla lettura dell’atto di appello.
In tale atto, infatti il Consiglio dell’Ordine riteneva di rilevare come tutte le espressioni, costituenti il capo di incolpazione, costituissero un vero e proprio ingiustificato attacco alla persona del Giudice che, sia pure in termini probabilistici, veniva tacciato di essere venuto meno al dovere di studio e conoscenza degli atti di causa.
Tutte le espressioni, venivano quindi ritenute indirizzate alla persona del giudicante e non potevano considerarsi alla stregua di una critica alla motivazione della sentenza impugnata, soprattutto nella parte in cui veniva attribuito al giudicante un comportamento professionale non consono rispetto alle minimali regole che il giudice è tenuto ad osservare per aver fatto uso della tecnica cd. “del copia ed incolla”.
Seppure le frasi, poi, fossero state lette nel complesso dell’atto di appello ciò non consentiva, comunque, di non poterle censurare in quanto si risolvevano in un attacco alla persona dell’estensore del provvedimento.
Tale comportamento, a parere del Consiglio dell’Ordine di Milano, integrava quantomeno la violazione di cui all’art. 20 del Codice Deontologico Forense che fa divieto di utilizzo di espressioni sconvenienti ed offensive negli scritti difensivi nei confronti, tra gli altri, dei magistrati.
L’Avv. N. presenta, per il tramite dei suoi procuratori speciali, ricorso tempestivo avverso tale decisione e chiede al CNF:
- in via principale, in totale riforma della decisione impugnata, di essere assolto;
- in via subordinata, avere erogato la sanzione dell’avvertimento in luogo della censura.
Vengono dedotti due motivi, che possono agevolmente ricondursi ad unità, stante la medesimezza dell’oggetto e l’unitarietà delle argomentazioni.
Il primo (ove viene spiegato il significato “autentico” da attribuire alle frasi ritenute offensive), infatti, è funzionale al secondo (ove si analizza la offensività delle medesime frasi in relazione all’art. 20 del Codice Deontologico Forense).
In buona sostanza, comunque, nel ricorso viene dedotto che le espressioni usate nell’atto di appello non possono ritenersi, come si sostiene nella delibera impugnata, “un vero e proprio ingiustificato attacco alla persona del giudicante”, anzi, lette nel complesso iter argomentativo dell’atto di gravame, rappresentano non altro se non una critica alla motivazione della sentenza nella quale l‘estensore non aveva tenuto conto di risultanze acquisite al processo.
Tutte le frasi costituenti il capo di incolpazione, pertanto, vengono riportate dal ricorrente e chiarite nel loro significato; esse, le frasi, sono state usate solo e sempre al fine di confutare le argomentazioni poste a base della motivazione del provvedimento impugnato e mai da leggersi, dunque, quale attacco personale diretto alla persona del giudicante.
Il ricorrente deduce, dunque, la erronea interpretazione da parte del Consiglio dell’Ordine delle frasi “incriminate” nella parte in cui non è stato tenuto in debita considerazione il loro significato dopo averle contestualizzate nell’atto nel quale sono inserite.
Ciò, a parere del ricorrente, ha dato origine ad un travisamento dei fatti, erroneamente ricostruiti, con riferimento alle risultanze processuali emerse durante la fase istruttoria.
Vengono, infine, riportate attestazioni da parte sia del Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, dott. C. C., che dal Giudice del Tribunale di Milano – IX Sezione Penale – dott.ssa A. G., per i quali l’Avv. N. non ha mai avuto, nei rapporti con gli uffici giudiziari, comportamenti offensivi verso i magistrati (sia inquirenti che giudicanti).
DIRITTO
E’ pacifico che l’avvocato, nell’ambito della propria attività difensiva, può e deve esporre con vigore le ragioni del proprio assistito utilizzando tutti gli strumenti processuali di cui dispone.
Tale potere/dovere del difensore, trova, tuttavia, un limite nei doveri di probità e lealtà, i quali non gli consentono di trascendere in comportamenti non improntati a correttezza e prudenza, se non anche offensivi, che ledono la dignità della professione.
Nel caso di specie, in particolare, il ricorrente insinua che il Giudice abbia condannato il suo assistito senza leggere gli atti, utilizzando la tecnica del “copia ed incolla” per addivenire ad una motivazione, a suo dire, mediocre, non degna di essere chiamata tale, giuridicamente squalificata…
Le espressioni utilizzate, a parere del ricorrente, costituiscono una mera critica alla motivazione della sentenza.
Egli, tuttavia, avrebbe dovuto contenere la critica, pur nella libertà di espressione, senza minimamente suscitare dubbi interpretativi sulle frasi adottate ed in questo si misura il senso della dignità e del decoro che la legge assegna all’avvocato
Le espressioni utilizzate sono state, quindi, considerate dal Consiglio dell’Ordine territoriale quale attacco all’estensore della sentenza, al quale viene attribuito, da parte dell’incolpato, un comportamento professionalmente non consono rispetto alle minimali regole che il giudice è tenuto ad osservare.
Questo Consiglio, in base ai principi suesposti, si conforma a quanto sostenuto dal COA di Milano.
“L’avvocato deve porre ogni rigoroso impegno nella difesa del proprio cliente, ma tale difesa non può mai travalicare i limiti della rigorosa osservanza delle norme disciplinari e del rispetto che deve essere sempre osservato nei confronti della controparte, del suo legale e dei terzi, in ossequio ai doveri di lealtà e correttezza e ai principi di colleganza” (C.N.F. 20-07-2012, n. 105).
Tuttavia, questo Consiglio ritiene condivisibile la richiesta di adeguatezza della sanzione irrogata.
Pur restando la condotta dell’Avv. N. connotata da colpa per aver dato origine ad un comportamento non qualificabile di rispetto nei confronti della magistratura, ed inosservante della dignità e del decoro professionale, in considerazione dell’assenza di precedenti di natura disciplinare, il Consiglio Nazionale Forense ritiene di applicare al professionista la sanzione dell’avvertimento in luogo della censura.
P.Q.M.
Il Consiglio Nazionale Forense, riunito in Camera di Consiglio;
- visti gli artt. 50 e 54 del R.D.L. 27 novembre1933, n. 1578 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22 gennaio 1934, n. 37;
- accoglie, per quanto di ragione, il ricorso ed in parziale modifica della decisione impugnata, applica all’avv. F.M.N. la sanzione meno afflittiva dell’avvertimento.
Così deciso in Roma, lì 30 novembre 2012.
IL SEGRETARIO IL PRESIDENTE f.f.
Avv. Andrea Mascherin Avv. Carlo Vermiglio
Depositata presso la Segreteria del Consiglio nazionale forense,
oggi 27 febbraio 2013