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sanzine -  Determinazione della sanzione

11/03/2004 Avvocato - Deontologia forense -  Determinazione della sanzione - Poteri della Cassazione -Congruita' della sanzione disciplinare

Deontologia forense -   Determinazione della sanzione - Poteri della Cassazione - Congruità della sanzione disciplinare (Cassazione – Sezioni unite civili – sentenza 22 gennaio-11 marzo 2004, n. 5039)

Svolgimento del processo

A seguito di informazione della Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Cagliari il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Cagliari deliberava, il 13 marzo 2000, di aprire procedimento disciplinare nei confronti dell’avv. Antonello Pxxxxxxx «incolpato per aver offeso 1 onore e il decoro della professione commettendo i fatti indicati nel decreto di citazione emesso in data 29 dicembre 1997 dal sostituto procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Cagliari, dott. Paolo Piana, che gli contestava i seguenti addebiti di natura penale:

A) del delitto di cui agli articoli 56, 61 n. 11, 81 e 640 Cp perché, profittando della qualità di difensore di Boi Gianfiranco ed Alessandra, i quali a seguito di sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 Cpp erano obbligati a pagare lire 6 000. 000 ciascuno a titolo di multa; facendo loro credere di essere tenuti al pagamento di lire 260.000 per spese processuali e che l’ufficio campione penale della pretura di Cagliari a causa di problemi organizzativi avrebbe iniziato nei loro confronti la procedura di esecuzione forzata con notifica del precetto e degli atti consequenziali; formando una falsa certificazione della Pretura circondariale di Cagliari, comprovante l’avvenuto versamento della somma di lire 12. 000. 000, per il pagamento dei rispettivi articoli di penale a carico di Boi Gianfranco e Alessandra; poneva in essere artifici e raggiri idonei e diretti in modo non equivoco ad indurre in errore le persone offese su quanto da esse dovuto all’Erario e sulle procedure per il pagamento, e ad ottenere la disponibilità per fini personali della somma di lire 12.260.000, con suo conseguente profitto e danno per le persone offese le quali avrebbero in ogni caso sopportato le spese della procedura esecutiva. In Cagliari, ultimo atto del 14 aprile 1997;

B) del delitto di cui agli articoli 61 n.2 e 482 in relazione al 477 Cp perché, al fine di assicurarsi l’impunità per il delitto di cui al capo precedente, formava una falsa certificazione della pretura circondariale di Cagliari, comprovante l’avvenuto versamento della somma di lire 12.000. 000, per il pagamento di un articolo di campione penale a carico di Boi Gianfranco e Boi Alessandra. In Cagliari il 14 aprile 1997».

L’11 maggio 2000 il Tribunale di Cagliari comunicava al Consiglio dell’Ordine che, in ordine ai due reati per cui era stato emesso decreto di citazione contro l’avv. Pxxxxxxx, era stata emanata sentenza di patteggiamento con cui era stata applicata all’imputato la pena di lire 6.750.000 di multa, in sostituzione di mesi tre di reclusione.

Il Consiglio dell’Ordine di Cagliari, con decisione depositata il 26 settembre 2001, dichiarava la responsabilità dell’avv. Pxxxxxxx in ordine ad ambedue i fatti costituenti l’illecito disciplinare contestato e gli irrogava la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per mesi nove.

L’avv. Pxxxxxxx proponeva ricorso al Cnf, in cui chiedeva l’assoluzione dal capo A dell’incolpazione, mentre ammetteva l’illecito di cui al capo B, facendo presenti alcune circostanze ai fini della entità della sanzione disciplinare. Il Consiglio nazionale, con la decisione depositata il 5 giugno 2003, riteneva non raggiunta la prova del fatto indicato nel capo A dell’incolpazione e pertanto assolveva l’incolpato dallo stesso, onde lo riteneva responsabile di avere commesso soltanto il fatto rubricato nella lettera B; «tenuto conto dell’assoluzione dell’incolpato dal più grave fatto descritto nel capo A dell’incolpazione» il Consiglio gli irrogava la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di mesi sei.

Avverso la decisione del Cnf  l’avv. Antonello Pxxxxxxx ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi. Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva davanti a questa Corte. Con precedente ordinanza del 4 dicembre 2003 questa Corte ha rigettato l’istanza di sospensione della esecuzione della decisione impugnata.

Motivi della decisione

1. Il ricorso per cassazione proposto dall’avv. Pxxxxxxx è ammissibile nei soli limiti in cui censura l’entità della pena inflitta dal Cnf per il fatto indicato nella lettera B del capo di incolpazione, poiché per tale fatto l’avv. Pxxxxxxx ha ammesso la propria responsabilità disciplinare nel ricorso proposto al Consiglio nazionale, onde ogni censura relativa alla sussistenza di tale responsabilità deve ritenersi ormai preclusa. In particolare, nel secondo motivo di ricorso (relativo al mancato accertamento, da parte della decisione impugnata, in ordine al carattere grossolano del falso commesso dall’avv. Pxxxxxxx), è contenuto qualche accenno al “venir meno” della responsabilità disciplinare per il capo B ed alla “necessità di una modifica della contestazione” dello stesso capo; per le ragioni dette, tale motivo va considerato ammissibile solo in quanto diretto a ridurre la sanzione disciplinare inflitta al ricorrente, non certo ad escludere la sua responsabilità per il capo B, ormai accertata in modo definitivo.

2. Dei primi tre motivi che censurano l’entità della sanzione, è logicamente pregiudiziale il primo motivo, con cui il ricorrente deduce «motivazione carente e/o contraddittoria, nonché contrasto tra motivazione e dispositivo; violazione dell’articolo 112 Cpc; in relazione agli articoli 56, terzo comma, Rdl 1578/33, e 111 Costituzione». Il ricorrente lamenta che il Consiglio nazionale ha ridotto la durata della sospensione (determinata dal Consiglio locale in nove mesi) soltanto di un terzo (portandola a sei mesi), pure avendo assolto l’incolpato da quello che la stessa decisione impugnata ha considerato l’addebito più grave, mentre tale assoluzione «avrebbe dovuto comportare, quale coerente conseguenza, una proporzionale riduzione della misura della sanzione». Né può ritenersi che il Consiglio nazionale abbia compiuto una nuova valutazione della gravità del fatto indicato nel capo B ed abbia rideterminato una diversa entità della sanzione, perché «una riforma in peius della decisione del Consiglio locale presuppone l’impugnazione del Pm (che nella specie non vi è stata)», onde la decisione del Consiglio nazionale, se ha rideterminato la sanzione inflitta dal Consiglio locale per il secondo addebito, «sarebbe incorsa in vizio di ultra o extra petizione».

Il motivo di ricorso è fondato.

Come si è detto in narrativa, mentre il Consiglio locale ha ritenuto l’avv. Pxxxxxxx responsabile di ambedue i fatti indicati nel capo di incolpazione (tentata truffa ai danni del cliente e contraffazione di certificazione dell’ufficio giudiziario), infliggendo all’incolpato la sospensione per la durata di mesi nove (senza distinguere tra i due fatti unificati peraltro nell’unico capo di incolpazione disciplinare), il Consiglio nazionale, accogliendo il ricorso proposto dall’avv. Pxxxxxxx, ha escluso la sua responsabilità per il fatto indicato sub lettera A del capo di incolpazione (tentata truffa), e lo ha ritenuto responsabile per il solo fatto indicato sub lettera B (falsa certificazione, non contestata dall’incolpato), riducendo la durata della sospensione a mesi sei. La sanzione inflitta dal Consiglio locale è stata ridotta, quindi, nella misura di un terzo. Tale decisione, però, si pone in contraddizione con la considerazione, esposta nella sua motivazione, secondo cui l’assoluzione disciplinare dell’avv. Pxxxxxxx ha riguardato il «più grave fatto descritto nel capo A dell’incolpazione», considerazione che, secondo coerenza logica, avrebbe dovuto indurre il Consiglio nazionale a ridurre la misura della sanzione inflitta dal Consiglio locale di oltre la metà, essendo residuata la responsabilità dell’incolpato per il fatto che il collegio giudicante ha considerato meno grave.

La decisione impugnata ha determinato ex novo la sanzione da infliggere all’incolpato, ritenendo di prescindere dal rapporto proporzionale da essa stessa formulato in ordine alla gravità dei due fatti indicati nel capo di incolpazione e considerando “sanzione adeguata” all’illecito commesso dall’avv. Pxxxxxxx la sospensione per mesi sei. Ma tale nuova determinazione della sanzione è stata compiuta in contrasto con l’articolo 50, quarto comma, del Rdl 1578/33, che attribuisce al Cnf il potere di infliggere al professionista «una pena disciplinare più grave, per specie e durata, di quella inflitta dal Consiglio dell’Ordine» soltanto se vi è il ricorso incidentale del pubblico ministero. Nel caso di specie, il pubblico ministero non ha proposto ricorso avverso la decisione del Consiglio locale, onde il Cnf, adito soltanto dall’incolpato, non aveva il potere di aggravare la durata della sanzione determinata dal Consiglio locale.

Ed invero, tenuto conto che la sospensione di mesi sei è stata riferita dalla decisione impugnata al fatto da essa considerato meno grave, la sospensione per il fatto più grave sarebbe stata di almeno sei mesi ed un giorno; il Consiglio nazionale ha, ritenuto, pertanto, che la sospensione da infliggere all’avv. Pxxxxxxx per ambedue i fatti indicati nel capo di incolpazione dovesse essere non inferiore a dodici mesi ed un giorno, sanzione che però è più grave per durata di quella determinata dal Consiglio locale (nove mesi). Ma l’irrogazione di una sanzione più grave per durata di quella applicata dal Consiglio locale, in assenza di ricorso del pubblico ministero, non è, come si è detto, consentita al Cnf dall’articolo 50 del Rdl 1578/33.

Poiché il Consiglio territoriale ha determinato unitariamente la sanzione inflitta all’avv. Pxxxxxxx per i due fatti indicati nell’unico capo di incolpazione, il Cnf, avendo escluso la responsabilità disciplinare per uno dei due fatti aveva il potere-dovere di procedere ad una nuova determinazione della sanzione da infliggere all’incolpato per il solo fatto per cui è stata affermata la sua responsabilità. Ma tale nuova determinazione non può implicare per l’incolpato un trattamento sanzionatorio più grave di quello deciso dal Consiglio territoriale. Consegue che la riduzione della sanzione (inizialmente inflitta all’avv. Pxxxxxxx) in misura minore della metà sarebbe stata legittima solo se il Cnf avesse valutato il fatto per cui è stata confermata la responsabilità dell’incolpato di maggiore gravità disciplinare del fatto rispetto a cui la detta responsabilità è stata invece esclusa. Al contrario, il fatto per cui la decisione impugnata ha applicato la sanzione è stato ritenuto, come si è detto, di gravità minore di quello per cui vi è stata l’assoluzione. In sintesi, la determinazione della sanzione operata dalla decisione impugnata è, alla luce delle ragioni espresse a sua giustificazione, viziata per violazione di legge, e cioè dell’articolo 50 del Rdl 1578/33.

3. La fondatezza del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo e del terzo motivo, che denunziano la mancata considerazione, da parte del Consiglio nazionale, di altre circostanze di fatto invocate dall’incolpato ed idonee a determinare una sanzione meno grave per il fatto di cui alla lettera B del capo di incolpazione.

4. Deve ritenersi assorbito anche il quarto motivo, con cui il ricorrente, in dissenso sulla giurisprudenza di questa Corte che limita il controllo sulla motivazione delle decisioni del Cnf al vizio di violazione di legge, ha chiesto la rimessione degli atti alla Corte costituzionale o, alternativamente, alla Corte di giustizia delle Comunità europee, soltanto «in via subordinata, e condizionatamente al mancato accoglimento .... delle precedenti censure».

5. In conclusione, la decisione impugnata va cassata nella parte relativa alla determinazione della sanzione inflitta all’avv. Pxxxxxxx e la causa va rinviata al Cnf, che, in diversa composizione, deciderà nuovamente sulla entità della sanzione da irrogare allo stesso per il fatto indicato nella lettera B del capo di incolpazione.

Il giudice di rinvio potrà anche infliggere la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di mesi sei ma solo se riterrà motivatamente che la gravità disciplinare della contraffazione del certificato dell’ufficio giudiziario sia di entità ben maggiore di quella della tentata truffa del cliente, tanto da giustificare la durata doppia della detta sospensione (sei mesi rispetto ai tre mesi che residuano per pervenire alla durata di nove mesi determinata dal Consiglio territoriale in modo unitario per i due fatti).

6. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa la decisione impugnata e rinvia la causa al Cnf. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it