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Abogados - Avvocati stabiliti e c.d. abuso del diritto comunitario - i COA devono vigilare sugli abusi della normativa comunitaria

L’esercizio permanente della professione d’avvocato in Italia da parte di un cittadino di uno Stato membro della CE in possesso di un titolo corrispondente a quello di avvocato, conseguito in altro Paese, è regolato dal Decreto Legislativo n. 96/2001, adottato in attuazione della direttiva 98/5/CE, la cui disciplina soggiace però al principio generale del divieto del c.d. abuso del diritto, che consiste nella volontà di ottenere, nel rispetto meramente formale delle regole, un vantaggio (quello di esercitare la professione legale in Italia, senza il superamento di un esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio, prescritto dall’art.33, co.5, della Costituzione) derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento.
In capo ai Consigli dell’Ordine sussiste una discrezionalità nella valutazione della domanda d’iscrizione nella Sezione Speciale dell’Albo riservata agli avvocati stabiliti, in ordine alla verifica di un eventuale abuso del diritto comunitario da parte degli interessati (Nel caso di specie, il COA aveva rifiutato l’iscrizione all’albo speciale di un cittadino italiano laureatosi in Spagna e che, dopo appena 4 mesi dall’iscrizione all’albo degli “abogados de Madrid”, aveva appunto richiesto l’iscrizione alla sezione speciale dell’albo forense italiano).
Consiglio Nazionale Forense (Pres. ALPA, Rel. FERINA), sentenza del 22 settembre 2012, n. 126

Consiglio Nazionale Forense (Pres. ALPA, Rel. FERINA), sentenza del 22 settembre 2012, n. 126

 

FATTO
Con ricorso depositato in data 18 aprile 2011 l'abogado [RICORRENTE] ha impugnato la decisione con la quale il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Pisa ha rigettato la sua domanda di iscrizione alla Sezione speciale degli avvocati stabiliti dell'Albo.
In particolare con decisione dell'11.3-22.3.2011 notificata il 31.3.2011 il COA di Pisa aveva rilevato come l'istanza di iscrizione non fosse adeguatamente sorretta dai presupposti di legge, atteso che l'abogado [RICORRENTE] si era limitato a sostenere le prove integrative per l'omologazione della laurea italiana in Spagna – essendo questo l'unico requisito per ottenere l'iscrizione al “Colegio de Abogados” di Madrid – aggiungendo, ai fini dell'iscrizione italiana, di aver curato in Spagna tre pratiche, non meglio specificate con riferimento alla loro natura sostanziale e processuale, nonché di aver collaborato con lo studio “Bufete Italia”, che a propria volta costituirebbe “articolazione” di uno studio legale pisano presso cui l'abogado [RICORRENTE] aveva svolto il praticantato legale in Italia.
Aggiungeva il Consiglio territoriale come, a fronte di tali circostanze, non fosse risultato che il ricorrente avesse mai svolto alcuna concreta attività di patrocinio legale, e ciò neanche in Italia ove, nonostante la possibilità concessa dall'Ordinamento professionale, l'abogado [RICORRENTE] non aveva ottenuto l'abilitazione provvisoria all'esercizio della professione a compimento del primo anno di pratica legale.
Concludeva dunque il COA di Pisa come tali circostanze non fossero sufficienti a dimostrare lo svolgimento di un'attività professionale connotata da caratteri di serietà, stabilità e concretezza; ed ancora come, a fronte di tale troncante considerazione, non potesse avere rilievo il richiamo effettuato dal ricorrente al D.Lgs. n. 96/01 e alla normativa comunitaria. Rilevava infatti il Consiglio territoriale come le disposizioni invocate abbiano l'esclusivo scopo di facilitare l'esercizio permanente alla professione di avvocato a chi, cittadino di altro Stato membro ed ivi abilitato, voglia spostare la propria sede di esercizio in Italia: di contro il cittadino italiano, il quale non abbia mai svolto alcuna effettiva attività professionale nel diverso Stato membro di abilitazione, non potrebbe invocare tale disciplina, a tacer d'altro, in quanto non sarebbe possibile definire l'Italia quale “Stato ospitante”.
L'abogado [RICORRENTE] impugnava tale decisione con ricorso depositato in data 28.4.2011, con il quale deduceva sette motivi di gravame:
1) Violazione dell'art. 6 D.Lgs. 96/01, art. 3 Direttiva 89/48, artt. 1 e 2 Direttiva 98/5/CE in merito ai presupposti necessari per l'iscrizione all'albo degli avvocati stabiliti, nonché eccesso di potere per travisamento dei fatti. Sostiene facendo riferimento alla giurisprudenza comunitaria (C.Giust. proc. C-118/09), che la normativa in esame prevederebbe quale unico requisito per l'iscrizione in Italia che l'avvocato straniero abbia ottenuto l'abilitazione in altro Stato comunitario.
2) Eccesso di potere in merito alla qualifica dei fatti addotti a fondamento dell'istanza di iscrizione per travisamento degli stessi fatti e incompletezza e difetto di istruttoria. Sostiene come non esista alcun “paradigma normativo” alla stregua del quale valutare la “sufficienza” della collaborazione professionale da egli svolta, sicché la decisione impugnata sarebbe erronea in quanto avrebbe dovuto rilevare che “una esperienza professionale esiste o non esiste” (ricorso p. 9) senza entrare nel merito della stessa.
3) Violazione dell'art. 6 D.Lgs. 96/01, art. 3 Direttiva 89/48, artt. 1, 2 e 5 Direttiva 98/5/CE in merito ai presupposti per l'iscrizione all'albo degli avvocati stabiliti, nonché eccesso di potere per incompletezza e difetto dell'istruttoria. Sostiene sul punto che il COA di Pisa non avrebbe tenuto in adeguata considerazione taluni dati che testimonierebbero la serietà dell'attività svolta all'estero nonché lo stretto rapporto di collaborazione professionale, nel corso della esperienza professionale in Spagna, con l'avvocato italiano Angelo Gagliardi di Pisa. In particolare si riferisce a due attestazioni relative alla partecipazione “a udienze” e “a corsi di formazione” in Spagna nonché alla propria iscrizione alla previdenza sociale spagnola. Aggiunge come le tre pratiche legali svolte in Spagna, e citate negli scritti difensivi offerti al Consiglio territoriale, avrebbero avuto carattere meramente esemplificativo, producendo a questo Consiglio un nuovo e più ampio elenco.
4) Violazione dell'art. 6 D.Lgs. 96/01 in merito ai presupposti per l'iscrizione all'albo degli avvocati stabiliti e eccesso di potere per travisamento dei fatti e violazione del principio di non discriminazione e uguaglianza. Espone come tale violazione sarebbe integrata dalla circostanza che il COA di Pisa abbia motivato la propria reiezione anche facendo riferimento alla circostanza che il ricorrente, durante la pratica legale in Italia, non avesse mai ottenuto neanche l'abilitazione provvisoria al patrocinio legale richiedibile dopo il primo anno di praticantato.
5) Violazione della Direttiva 89/48, dell'art. 6 D.Lgs. 96/01 in merito ai presupposti per l'Iscrizione all'albo degli avvocati stabiliti e dell'intera disciplina della Direttiva 98/5/CE. A detta del ricorrente l'unica interpretazione corretta delle norme in esame non consentirebbe di limitare al cittadino di uno Stato comunitario l'iscrizione nell'albo degli avvocati stabiliti del medesimo Stato dopo aver ottenuto il titolo di abogado in Spagna, sicché le difformi valutazioni del Consiglio territoriale costituirebbero una erronea interpretazione della normativa vigente.
6) Eccesso di potere per disparità di trattamento con riguardo a precedenti decisioni su casi analoghi. In particolare indica e produce n. 4 precedenti decisioni del medesimo Consiglio territoriale, tutte relative all'iscrizione all'albo degli avvocati stabiliti a seguito dell'abilitazione in stati comunitari diversi dall'Italia, e dunque in casi analoghi al proprio.
7) Violazione dell'art. 31 co. IV R.D.L. 1578/33. Lamenta infine che ai sensi della invocata disposizione le delibere di cancellazione dall'albo devono essere notificate entro 15 giorni ma che nel caso di specie, a fronte della assunzione della deliberazione in data 8.3.2011, essa sarebbe stata notificata soltanto in data 31.3.2011.
Fissata e ritualmente comunicata al ricorrente l'udienza avanti a questo Consiglio nazionale per il 22 settembre 2011, la causa veniva posta in decisione.

DIRITTO
1. I primi cinque motivi di ricorso integrano sostanzialmente un'unica questione, e sono dunque da trattare congiuntamente in quanto riguardanti la applicazione dell'art. 6, commi 6 e 7, dei D.Lgs. 96/2001 e provvedimenti connessi. Si afferma nel ricorso che, trattandosi di attività vincolata, ai COA non residuerebbe alcuno spazio discrezionale sulla valutazione dei requisiti di iscrizione tassativamente indicati dalla normativa.
Aggiunge il ricorrente che non esiste un paradigma normativo alla stregua del quale valutare la sufficienza o meno della propria attività professionale in Spagna, e come la stessa fosse comunque documentata in maniera sufficiente.
Ritiene il Collegio che il ricorso non sia fondato e che, nel merito, la domanda d'iscrizione del ricorrente nella Sezione Speciale degli Avvocati Stabiliti dell'Albo di Pisa non possa essere accolta, anche per motivi ulteriori e diversi da quelli dedotti dalla motivazione resa dal COA in primo grado, le cui conclusioni appaiono comunque corrette e dunque da confermare alla stregua della considerazioni che seguono.
L'esercizio permanente della professione d'avvocato in Italia da parte di un cittadino di uno Stato membro della CE in possesso di un titolo corrispondente a quello di avvocato, conseguito in altro Paese, è regolato dal Decreto Legislativo n. 96/2001, adottato in attuazione della direttiva 98/5/CE.
All'art. 6 del decreto si prevede che il professionista, che intenda esercitare la professione in Italia, deve chiedere l'iscrizione nella Sezione Speciale dell'Albo degli Avvocati dedicata agli avvocati stabiliti, che gli consente l'esercizio professionale con il titolo acquisito nel Paese di origine, indicato nella lingua ufficiale dello Stato membro di origine. L'iscrizione è subordinata all'intervenuta e costante iscrizione dell'istante presso la competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine. La domanda deve essere corredata dai documenti comprovanti la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea, la residenza o il domicilio professionale, l'iscrizione all'organizzazione professionale dello Stato membro d'origine in data non anteriore a tre mesi dalla data di presentazione.
Ai sensi del comma 6, dell'art. 6, del citato decreto, il Consiglio dell'Ordine, entro trenta giorni dalla presentazione della domanda o dalla sua integrazione, «accertata la sussistenza della condizioni richieste, qualora non ostino motivi di incompatibilità, ordina l'iscrizione nella Sezione Speciale e ne dà comunicazione alla corrispondente autorità dello Stato membro di origine». Il comma 7 prevede infine che il rigetto della domanda non possa essere pronunciato se non dopo avere sentito l'interessato il quale, ove il Consiglio non abbia provveduto entro il termine previsto, può, entro dieci giorni dalla scadenza del termine, presentare ricorso al Consiglio Nazionale Forense.
La lettera della norma parrebbe delineare un ambito di discrezionalità nella deliberazione in capo al Consiglio dell'Ordine con riferimento alla valutazione della domanda di iscrizione tra gli avvocati stabiliti. Tuttavia l'interpretazione dell'art. 6, comma 6, del d.lgs. 96/2001 non può non tener conto delle corrispondenti previsioni della Direttiva 98/5, della quale il decreto costituisce attuazione, che pongono stretti limiti alla discrezionalità del Consiglio dell'Ordine nella delibazione della domanda d'iscrizione.
Deve sottolinearsi in proposito che la Corte di Giustizia CE ha preso in considerazione la possibilità per lo Stato ospitante di porre ulteriori requisiti da cui far dipendere il diritto di un avvocato ad esercitare stabilmente le sue attività in altro Paese membro (C-506/09 Wilson, 19 settembre 2006). Nel caso appena ricordato, il Paese ospitante aveva deciso di subordinare l'iscrizione alla Sezione Speciale dell'Albo degli avvocati al superamento di una prova di conoscenza delle tre lingue in uso dinnanzi ai propri Giudici. La Corte di giustizia, adita in via pregiudiziale, aveva però statuito che "l'unico requisito cui deve essere subordinata l'iscrizione dell'interessato nello Stato membro ospitante, che gli consente di esercitare la sua attività in quest'ultimo Stato membro con il suo titolo professionale d'origine" è "la presentazione all'autorità competente dello Stato membro ospitante di un certificato di iscrizione presso l'autorità competente dello Stato membro [di provenienza]".
È dunque opportuno chiedersi, come sollecita il ricorrente, se sia o meno legittimo che lo Stato membro, che accoglie il professionista ad esercitare in modo permanente al proprio interno, in assenza di condizioni d'incompatibilità, ponga altre condizioni all'iscrizione che non siano quelle sopra ricordate (cittadinanza comunitaria, domicilio, iscrizione all'organizzazione professionale nello Stato d'origine).
2. Fatte queste premesse, occorre peraltro ricordare che la stessa Direttiva 98/5/CE del Parlamento e del Consiglio, per essere fonte di diritto dell'Unione Europea c.d.
derivato, va a sua volta comunque interpretata alla luce dei principi i quali, in tale ordinamento, sono dotati rilievo ad essa superiore: quale è, in particolare, il principio generale che pone il divieto del c.d. abuso del diritto.
Il principio secondo cui «gli interessati non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario» è infatti costante nella giurisprudenza della Corte di Giustizia e figura fra i principi generali dell'ordinamento dell'Unione: sanziona il comportamento di chi, pur nel rispetto formale delle condizioni poste dal diritto dell'Unione Europea, si proponga di ottenere un vantaggio derivante dalle norme comunitarie attraverso la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (fra le molte pronunce, si vedano: 21.2.2006, causa C-255/02, Halifax e a., Raccolta, p. 1-1609, punti 68, 76,77; 12.9.2006, causa C-196/04, Cadbury Schweppes, Raccolta, p. I-7995, punto 35; 23.10.2008, causa C-286/06 Commissione c. Spagna, Raccolta, p. I-8025, punti 69, 70; Avvocato Generale Poiares Maduro in causa C-311/06, Cavallera, Raccolta, p. 1-415, punti 43-48; Avvocato Generale Trstenjak in causa C-118/09, Koller, punti 80-87; 14 dicembre 2000, causa C-110/99, Emsland Stàrke, Raccolta, pag. I-11569).
Dalla giurisprudenza citata risulta che uno Stato membro «ha il diritto di adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, taluni dei suoi cittadini tentino di sottrarsi all'impero delle leggi nazionali, e che gli interessati non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario». Tra tali misure figura innanzitutto il potere degli Stati di verificare la sussistenza di ipotesi di abuso del diritto. Nella sentenza Emsland Stàrke, la Corte ha precisato che, per accertare l'esistenza di comportamenti abusivi, occorre la compresenza di due elementi: da un lato «un insieme di circostanze oggettive dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l'obiettivo perseguito dalla detta normativa non è stato raggiunto»; dall'altro «un elemento soggettivo che consiste nella volontà di ottenere un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento».
Posto che lo scopo della Direttiva 98/5/CE è, a norma del suo art. 1, primo comma, «di facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato ... in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale» e non quello di regolare «l'accesso alla professione di avvocato» in detto Stato membro (considerando n. 7), l'affermazione della sussistenza di una discrezionalità in capo ai Consigli dell'Ordine nella valutazione della domanda d'iscrizione nella Sezione Speciale dell'Albo riservata agli avvocati stabiliti, anche in ordine alla sussistenza di pratiche abusive, pur non essendo specificamente richiamata dalla Direttiva 98/5/CE, appare dunque conforme alla citata giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di abuso del diritto.
3. Tanto osservato, per venire al merito del presente giudizio, risulta dai documenti prodotti a sostegno dell'istanza che il ricorrente, dopo aver conseguito la laurea in Italia, si è limitato a sostenere esami integrativi per l'omologazione della laurea italiana in Spagna, essendo questo l'unico requisito per ottenere l'iscrizione al “Colejio de Abogados” di Madrid, senza peraltro dimostrare di aver effettuato adeguate attività professionali in Spagna: l'unica documentazione a tal fine prodotta, peraltro in lingua spagnola e senza alcuna traduzione, è una sorta di certificazione dello generico svolgimento di attività di “abogado” a firma di tale Abogada [OMISSIS], senza tuttavia produrre alcuna evidenza delle stesse, se non una singola nota di incarico di tale società italiana [ALPHA] s.r.l. per l'attività di recupero crediti (con riferimento alla quale peraltro non emerge se la attività sia stata concretamente effettuata e con quali iniziative processuali). Il ricorrente ha peraltro conseguito l'iscrizione nell'Albo tenuto presso il “Colejio de Abogados de Madrid" in data 15.9.2010 e dunque, meno di 4 mesi dopo, ha presentato la domanda di iscrizione nella Sezione Speciale degli Avvocati stabiliti dell'Albo tenuto dal Consiglio dell'Ordine di Pisa.
Ora, pare a questo Collegio che tenuto conto dell'esiguo periodo d'esercizio della professione forense nello Stato membro d'origine (peraltro in dettaglio non documentato), pur nel rispetto del requisito formale (l'iscrizione nell'Albo) posto dalle norme comunitarie a garanzia dello stabilimento del professionista nei diversi Paesi dell'Unione Europea, non si versi nel caso, obiettivamente tutelato dalla Direttiva 98/5/CE, di un professionista di uno Stato membro che voglia trasferire l'esercizio della propria attività in altro Stato membro dell'Unione Europea; bensì in quello, concretante il sopra descritto abuso del diritto comunitario, in cui si rileva da un lato la circostanza oggettiva per la quale, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l'obiettivo perseguito dalla normativa stessa non è stato perseguito e raggiunto; dall'altro un elemento soggettivo, consistente nella volontà di ottenere un vantaggio (quello di esercitare la professione legale in Italia, senza il superamento di un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio, prescritto dall'art.33 co. V, della Costituzione), attraverso un uso eterodosso della normativa comunitaria, mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento.
Ne consegue che la domanda d'iscrizione non può essere accolta.
4. Né pare che sul tema possa in alcun modo influire la presunta circostanza, dedotta con il sesto motivo di ricorso, per cui il medesimo COA avrebbe in passato concesso, a parità di condizioni, l'iscrizione invece negata all'abogado [RICORRENTE].
La censura non è in alcun modo specificamente articolata e documentata, limitandosi il ricorrente a produrre la stampa dell'albo telematico di 3 avvocati stabiliti presso il Foro di Pisa, senza nulla dedurre di specifico in ordine alle relative iscrizioni: l'abogado [RICORRENTE] in particolare non provvede né a individuare, né tanto meno a documentare, gli specifici elementi attinenti a tali diverse procedure di iscrizione (percorso di studi italiano e straniero di tali avvocati stabiliti; attività svolta in Spagna;
etc.), non consentendo così di poter compiere alcun raffronto tra tali vicende e la presente e dunque alcuna valutazione sulla dedotta disparità di trattamento.
Il motivo di ricorso va dunque rigettato in quanto eccessivamente generico e inammissibile.
5. Va infine rilevata l'infondatezza anche della censura di natura procedurale, dedotta con l'ultimo motivo di ricorso, relativa alla presunta violazione da parte del COA del termine per la notifica della decisione con cui era stata negata l'iscrizione.
La giurisprudenza di questo Consiglio nazionale è pacifica nel ritenere che il termine entro cui le decisioni del COA vanno notificate ai sensi dell'art. 50 co. 1 r.d.l. 1578/33, applicabile alla fattispecie, ha natura ordinatoria e non perentoria; sicché il mancato rispetto di esso non determina né la nullità del provvedimento adottato né altra ipotesi di vizio del procedimento (Cons. Naz. Forense 21-04-2011, n. 56; nello stesso senso le decisioni 23-12-09, n. 216; 31-12-08, n. 247; 05-10-06, n. 76).
Anche l'ultima censura della ricorrente va dunque rigettata.
P.Q.M.
Il Consiglio Nazionale forense, riunito in Camera di Consiglio;
visti gli artt. 50 e 54 del R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 e 59 e segg. del R.D. 22.01.1934,
n. 37;
respinge il ricorso.
Così deciso in Roma lì 22 settembre 2011.
IL SEGRETARIO IL PRESIDENTE