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Gli oneri accessori nella locazione di Riccardo Redivo (Già Presidente di Sezione della Corte di Appello di Roma)

Cenno sulla normativa speciale nel settore locatizio dopo l’entrata in vigore delle leggi nn. 392/1978 e 431/1998

Fino al luglio 1978 la materia delle locazioni immobiliari era disciplinata, da un lato, sotto il profilo sostanziale, dal codice civile e, dall’altro, dalla legislazione vincolistica che dai tempi della guerra (e anche in precedenza) aveva bloccato completamente i canoni e gli sfratti, lasciando tuttavia liberi i proprietari, per i nuovi contratti, di determinare la pigione a canone di mercato (con conseguenti sperequazioni ingiustificate tra le locazioni vecchie e quelle nuove).

La situazione durava ormai da troppo tempo quando, in presenza di un’occasionale governo di unità nazionale, si decise, a mio giudizio opportunamente, di regolare “ex novo” la materia, distinguendo, anzitutto, le locazioni adibite ad uso abitativo da quelle ad uso diverso, nonché prevedendo: un canone modesto predeterminato (equo canone) per soli contratti adibiti ad abitazione; una serie di locazioni non soggette alla nuova normativa (e, quindi, disciplinate dal codice civile); una durata quadriennale per gli affitti destinati ad alloggio degli inquilini (prima senza e poi con obbligo di rinnovo alla prima scadenza); una particolare durata per i contratti ad uso non abitativo di sei anni più sei (salva la possibilità, previo preavviso di diniego del rinnovo per necessità del locatore alla solo prima scadenza), con contratti ispirati alla tutela delle attività di impresa e di lavoro.

Si trattò di una legge ispirata chiaramente al “favor conductoris”, ma utile anche ai locatori che finalmente potevano godere del superamento della legislazione vincolistica.

Con le successive leggi nn. 359/1992 e 431/1998 si è poi liberalizzato il canone anche per le locazioni abitative, mentre la disciplina è rimasta sostanzialmente inalterata per i contratti ad uso diverso.

 Gli oneri accessori nella locazione abitativa dopo la riforma

 Con l’art. 14 della legge n. 431/1998, il locatore ha ritenuto corretto intervenire su alcune norme della legge n. 392/1978 abrogando, limitatamente alle locazioni ad uso abitativo, talune disposizioni imperative più favorevoli al conduttore.

In particolare, a riguardo, va rilevato che (solo per questo tipo di contratti) è stato cancellato il citato art. 79 che, nel previgente regime, aveva previsto la nullità di ogni accordo contrattuale più favorevole al locatore rispetto a quanto disposto dalle norme imperative in vigore all’epoca, consentendosi così una maggior autonomia negoziale delle parti.

Va rilevato, peraltro, che, tra le norme abrogate della legge n. 392/1978, non è stato inserito l’art. 9 di detta legge, di cui si dirà a breve. Questa scelta del legislatore aveva sollevato alcuni dubbi in merito alla correttezza di tale soluzione, perché ciò avrebbe consentito al locatore di regolare diversamente l’imputabilità degli oneri accessori a carico del conduttore, rendendo la posizione economica di questi potenzialmente più gravosa.

Con l’inizio degli anni duemila, giurisprudenza e dottrina si sono orientati definitivamente nel senso di riconoscere la piena derogabilità dell’art. 9 cit. nell’ambito dei contratti adibiti ad abitazione, ritenendo tale soluzione non in contrasto con quanto stabilito dall’art. 13, I e IV comma della legge n. 431/1998, che espressamente limita la nullità di accordi in deroga alla sola entità del canone di locazione.

Si ricorda che detta norma, in particolare, oltre a prevedere la forma scritta per le locazioni abitative, dispone la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato (I comma); che, in ordine ai contratti tipo, è nulla ogni clausola volta ad attribuire al locatore un canone superiore a quello massimo definito, per immobili aventi le medesime caratteristiche e appartenenti alle medesime tipologie, dagli accordi definiti in sede locale (II comma) e che i contratti stipulati in base al comma 1 dell’art. 2 (ovvero i contratti non soggetti alla disciplina speciale) sono nulli gli accordi in contrasto con le disposizioni della legge esaminata, che prevedono qualsiasi obbligo del conduttore nonché qualsiasi clausola o altro vantaggio economico o normativo diretti ad attribuire al locatore un canone superiore a quello contrattualmente stabilito (IV comma).

La ripartizione degli oneri tra le parti e la richiesta del locatore

In via preliminare va osservato che in merito alla natura degli oneri accessori, posti dalla legge a carico del conduttore, la giurisprudenza ha affermato che trattasi di un debito di valuta, “poiché ha ad oggetto, fin dall’origine, una somma di denaro, sicché, in difetto della prova del maggior pregiudizio da parte del creditore, la rivalutazione monetaria non spetta automaticamente” ( in tal senso cfr. Cass. 31 ottobre 2014 n. 23157).

Come è noto, con l’entrata in vigore della legge sull’equo canone del 1978, per la prima volta è stata disciplinata, organicamente, la materia degli oneri accessori in generale, nonché, in particolare, la loro suddivisione tra le parti del contratto di locazione immobiliare, sia nell’ambito abitativo, che in quello ad uso diverso (alla luce del disposto di cui all’art. 41 della stessa normativa).

L’art. 9 della legge n. 392 cit. ha individuato specificamente quali siano le spese condominiali che possono (più precisamente potevano, come stabilito in passato relativamente alla pregressa inderogabilità della norma) essere legittimamente poste a carico del conduttore, indicando per tali quelle relative al sevizio di pulizia, al funzionamento dell’ordinaria manutenzione dell’ascensore, alla fornitura dell’acqua e dell’energia elettrica, del riscaldamento e del condizionamento dell’aria, allo spurgo dei pozzi neri e delle latrine, al 90% del servizio di portierato ed alla fornitura degli altri servizi comuni.

Dal dato testuale della norma emergerebbe, quindi ed in linea di principio, il divieto di addebitare all’inquilino ogni altra spesa, come ad esempio, quelle straordinarie, quelle di amministrazione e di assicurazione dello stabile ecc. poiché, in linea generale sostenute nell’interesse principale della proprietà, con l’esclusione, come è ormai pacifico, delle piccole riparazioni, che comunque, restano a carico del conduttore.

E’ stato da più parti rilevato che, con l’entrata in vigore dei contratti a canone libero, le parti potrebbero accordarsi a che anche le spese di manutenzione straordinaria (che nell’istituto della locazione, disciplinato dal codice civile dall’art. 1576 c.c., sono a carico del proprietario in quanto non rientranti tra le opere di piccola manutenzione) siano addebitate al conduttore.

Si ritiene che la questione debba essere risolta caso per caso e, comunque, non possa prescindere dall’entità del canone di locazione pattuito, osservando che un accordo di questo tipo potrebbe avere una sua validità esclusivamente fino al momento in cui non venisse ad alterare il sinallagma contrattuale. Per meglio intenderci – come rilevato dalla Corte di Cassazione – la clausola in questione potrebbe essere valida se considerata in relazione ad un canone di affitto che sia notevolmente inferiore a quello di mercato (Cass. 3 settembre 2007 n. 18510).

In ogni caso sembra abbastanza evidente che eventuali accordi di questo tipo non potrebbero mai essere generalizzati richiedendo, al contrario, una predeterminazione dell’entità del contributo massimo assunto dal conduttore a proprio carico. Tutto ciò al fine di non generare una rilevante sproporzione tra le prestazioni dei contraenti ed in favore del locatore il quale, proprio per effetto delle opere straordinarie eseguite in ambito condominiale ed addossate al locatario, verrebbe a godere di un ingiusto vantaggio, pari all’ incremento di valore dell’immobile locato.

Sulla natura delle opere di manutenzione straordinaria, la Suprema Corte, premesso che in generale queste configurano interventi non prevedibili o normalmente necessari per il godimento del bene nell’ambito dell’ordinaria durata del rapporto locatizio, ha voluto opportunamente chiarire che “rientrano tra queste, in quanto presentano un costo sproporzionato rispetto al corrispettivo della locazione, anche le opere di manutenzione ordinaria di notevole entità, poiché finalizzate non già alla mera conservazione del bene, ma ad evitarne il degrado edilizio e caratterizzate dalla natura particolarmente onerosa dell’intervento manutentivo” (così Cass. 10 dicembre 2013 n. 27540: in ipotesi di lavori di restauro delle facciate dello stabile, non rilevando nella fattispecie la qualificazione di intervento di manutenzione ordinaria operata dalla legislazione urbanistica).

Altro effetto della derogabilità dell’art. 9 in esame, in seguito all’abrogazione dell’art. 79 della legge n. 392/1978, è stato individuato nella possibilità per le parti di accordarsi liberamente in merito al pagamento degli oneri accessori prevedendo un pagamento forfettario degli stessi, da effettuarsi mensilmente ed unitamente al canone di locazione.

Secondo la giurisprudenza di legittimità riferita alla legislazione previgente, un tale patto era da considerarsi nullo, in quanto “ era in contrasto con il disposto dell'ultimo comma dell'art. 9 l. n. 392 del 1978 che condiziona il debito del conduttore alla indicazione dell'ammontare di ciascuna spesa al fine di consentirne al medesimo il controllo ed evitare che il locatore consegua vantaggi che non gli competono, vietati dall'art. 79, primo comma, della legge succitata” (così Cass. 26 luglio 2005 n. 15630; conf. Trib. Genova ottobre 2012, in Arch. Locazioni 2013, 72).

A seguito della novella del 1998, invece, la giurisprudenza di merito ha affermato che, nei contratti a canone libero, tale divieto non sussiste più, con la conseguenza che i contratti di locazione possono contenere clausole che prevedano oneri accessori in misura predeterminata, invariabile e non legata alle effettive spese condominiali come risultano dai relativi bilanci. In questo senso, infatti, si è pronunciato il Tribunale di Firenze con sentenza dell’8 marzo 2007 (in Corriere merito, 2007,1263) ove ha affermato che “se in un contratto di locazione abitativa si pattuisce una clausola di forfetizzazione degli oneri accessori a carico del conduttore in aggiunta al canone propriamente detto, l’importo pattuito resta invariabile ed è indifferente alla effettiva entità e all’esistenza degli oneri, senza che possa configurarsi a carico del locatore il dovere di dimostrare e documentare l’entità e l’esistenza degli oneri medesimi e senza che possa ritenersi attribuita al conduttore la facoltà di dimostrare che le spese sono state inferiori al forfait, o non sono state effettuate”.

Rispetto a tale orientamento interpretativo, sicuramente condivisibile, va comunque precisato che al fine di evitare che una clausola di questo genere (sempre da approvare con doppia firma ex art. 1341 c.c., poiché potenzialmente vessatoria) si possa tradurre in un mezzo per garantire al locatore un incremento del canone, è necessario che la somma prefissata a titolo di oneri accessori non sia eccessiva o, comunque, sproporzionata rispetto al canone di locazione.

Altra questione oggetto di nutrito dibattito, dottrinale e giurisprudenziale, concerne le spese di amministrazione, essendo discusso se queste debbano ritenersi tutte a carico del locatore, come implicitamente emergeva (prima della riforma) dall’elenco di cui all’art. 9 cit. oppure se una quota possa essere contrattualmente prevista in capo al conduttore, in considerazione del fatto che l’amministratore svolge alcuni servizi anche in favore dell’inquilino, come ad esempio quello di ritenerlo legittimato a partecipare all’assemblea del riscaldamento nella quale questi ha il diritto di voto. Anche in questo caso il discorso attualmente non cambia, potendo le parti disporre liberamente nella ripartizione di queste spese.

Sempre in ordine alla spese di riparazione e di miglioramenti del bene locato effettuati dal conduttore, la Suprema Corte ha affermato, ancora di recente, che il diritto all’indennità previsto ex art. 1592 c.c. a suo favore, che la norma prevede che “le opere siano state effettuate con il consenso del locatore e che questo non può desumersi da atti di tolleranza di quest’ultimo, ma deve concretarsi in una chiara ed in equivoca manifestazione di volontà, anche tacita, da accertarsi mediante fatti concludenti, dai quali possa desumersi l’esplicita approvazione delle innovazioni” (Cass. 6 giugno 2019 n. 15317; conf. Cass. 15 febbraio 2019 n. 4532), mentre il locatore “può pretendere, alla fine del rapporto, il risarcimento dei danni per le riparazioni solo se offra la prova dell’uso scorretto della cosa da parte del conduttore” (Cass. 26 gennaio 2015 n.1320).

La Cassazione in tema ha anche chiarito che “gli obblighi del locatore di cui agli artt. 1575 e 1576 c.c. non comprendono l’esecuzione di opere di modificazione o trasformazione della cosa locata, anche se imposte da norme di legge o dall’autorità, sopravvenute alla consegna, per rendere la cosa stessa idonea all’uso convenuto, né il locatore è tenuto a rimborsare al locatore le spese sostenute per l’esecuzione di tale opera, salva ovviamente l’applicazione della normativa in tema di miglioramenti” (Cass. 25 novembre 2014 n. 24987).

Interessante e rilevante è una recente decisione della Cassazione in tema di utilizzatore in leasing di un’unità immobiliare: questi, infatti, non può impugnare le delibere condominiali relative alle spese necessarie per le parti comuni dell’edificio: “tali spese competono, quindi, al proprietario della singola unità immobiliare, mentre l’utilizzatore in leasing non è titolare di un diritto reale, ma solo di un diritto personale derivante da un contratto ad effetti obbligatori che rimette il perfezionamento dell’effetto traslativo ad una futura manifestazione unilaterale di volontà del conduttore; né rileva il principio dell’apparenza del diritto, dando valore dirimente al fatto che quegli si comportasse abitualmente come fosse un condomino, non trovando motivo di applicazione i principi di tutela dell’apparentia iuris nei rapporti tra condominio e singoli partecipanti ad esso” (Cass. 25 ottobre 2018 n. 27162).

Il terzo comma dell’art. 9 prevede, infine, che il pagamento da parte del conduttore deve avvenire entro due mesi dalla richiesta e che questi, prima di effettuarlo, ha il diritto di ottenere l’indicazione specifica delle spese di cui ai commi precedenti con la menzione dei criteri di ripartizione, nonché di prendere visione dei documenti giustificativi delle spese sostenute.

La norma, pertanto, chiarisce definitivamente che il locatore ha solo il diritto, nei limiti appena indicati, ad un rimborso di parte delle spese condominiali sostenute.

Ancora di recente la Suprema Corte ha affermato, nella sostanza in conformità con la giurisprudenza costante in tema che “spetta al locatore che pretende il pagamento degli oneri condominiali, dare la prova del proprio diritto, producendo i rendiconti dell’amministratore approvati dall’assemblea condominiale, mentre è onere del conduttore muovere contestazioni specifiche in ordine alla varie partite conteggiate, prendendo, a tale scopo, visione dei documenti giustificativi ovvero ottenendone l’esibizione ex art. 210 e ss. c.p.c.”, chiarendo, altresì, nella stessa sentenza, che la previsione, per il pagamento degli oneri a effettuarsi entro due mesi dalla richiesta “circoscrive l’arco temporale entro il quale il conduttore può esercitare il suo diritto di chiedere l’indicazione specifica delle spese e dei criteri di ripartizione, nonché di prendere visione dei documenti giustificativi, per cui, trascorso il predetto bimestre, il conduttore va considerato automaticamente in mora, non potendo più ritardare o contestare il pagamento degli oneri accessori, adducendo che la richiesta del locatore non era accompagnata dall’indicazione delle spese e dei criteri di ripartizione” (Cass. 13 novembre 2019 n. 29329).

 La prescrizione

Il diritto del locatore al rimborso delle spese condominiali si prescrive nel termine breve di due anni, decorrenti dall’approvazione dei bilanci da parte dell’assemblea come emerge dalla giurisprudenza costante della Suprema Corte.

La prescrizione biennale, in particolare, è prevista dall’art. 6 della legge n. 841/1973, in deroga al disposto dell’art. 2948 n. 3 del codice civile, che sancisce la prescrizione quinquennale (in tal senso cfr. Cass 12 aprile 2006 n. 8609; conf. Cass. 10 febbraio 2003 n. 1953 e Cass. 29 gennaio 2003 n. 1292).

La Suprema Corte ha, altresì, affermato che, nell’ipotesi di unico proprietario e locatore delle singole unità immobiliari componenti l’edificio, la data di decorrenza della prescrizione biennale del suo diritto al rimborso degli oneri accessori dovuti dai conduttori, deve essere “individuata in relazione a quella di chiusura della gestione annuale dei servizi accessori, secondo la cadenza in cui questa in concreto si svolge nell’ambito del rapporto di locazione”. Ciò in quanto “l’unico proprietario ha la possibilità di elaborare il consuntivo e di accertare se le spese effettuate per quell’immobile locato superino o meno gli acconti periodicamente percepiti alla chiusura della gestione annuale, senza che rilevi che, dopo la chiusura della gestione, sia stata venduta taluna unità abitativa” ( così Cass. 26 febbraio 2015 n. 3947; conf. Cass. 9 marzo 2010 n. 5666; Cass. 7 febbraio 2000 n. 1338).

Si è affermato, altresì, che il termine di prescrizione per il locatore al rimborso degli oneri accessori a carico del conduttore, mentre nel caso di edificio in condominio decorre dalla data di approvazione da parte dell’assemblea del bilancio annuale consuntivo, nell’ipotesi di locatore unico proprietario dell’edificio decorre dalla data di chiusura della gestione annuale dei servizi accessori, secondo la cadenza con cui questa in concreto si svolge nell’ambito del rapporto di locazione” (Cass. 29 gennaio 2003 n. 1291; conf. Cass. 7 febbraio 2000 n. 1338).

Ed ancora, nell’ipotesi di unico proprietario-locatore dell’edificio, si è precisato che non sussiste per questi “l’obbligo di convocare in assemblea i conduttori, potendo gli stessi, in mancanza della facoltativa iniziativa attribuita al proprietario, convocarsi su iniziativa di almeno tre di loro per far valere nei confronti del proprietario i propri interessi in relazione al funzionamento del servizio: ne consegue che non è configurabile in capo al proprietario locatore né un inadempimento, né un obbligo di conseguente risarcimento danni nei confronti dei conduttori per non averne convocato l’assemblea” (Cass. 3 aprile 1990 n. 2762).

 

Pagamento degli oneri accessori e servizio insufficiente

Sul tema del versamento degli oneri da parte del conduttore nell’ipotesi di mancato godimento – totale o parziale - dei servizi condominiali, la giurisprudenza ha chiarito che (con riferimento agli immobili non adibiti ad abitazione) che “è nulla, ex art. 79 della legge n. 392/1978, ogni pattuizione che consenta al locatore di pretendere dal conduttore un pagamento non giustificato dal sinallagma contrattuale, talchè, con riguardo agli oneri condominiali – come desumibile anche dal citato art. 9 L. n. 392/1978 - possono porsi a carico di quest’ultimo solo le spese collegate al godimento effettivo, da parte sua, di un servizio, con conseguente esclusione degli oneri straordinari che riguardino non solo l’immobile locato, ma l’edificio condominiale nel suo complesso, stante l’assenza di ogni rapporto sinallagmatico con il detto bene locato” (così Cass. 30 settembre 2014 n. 20551).

Ciò premesso, come sopra già accennato, va evidenziato che il terzo comma dell’art. 9 cit. dispone che il pagamento degli oneri accessori da parte del conduttore – sul quale grava solo un onere di rimborso di quanto effettivamente dovuto – debba essere eseguito entro un bimestre dalla ricezione della richiesta, pur se nella prassi (comunque poco corretta e sconsigliabile), non essendovi, come si dirà meglio in seguito, alcun rapporto diretto tra condominio e conduttori, mentre avviene di frequente che i conduttori versino direttamente quanto a loro carico all’amministratore del condominio.

In particolare, va precisato che il locatore deve allegare alla predetta richiesta sia i bilanci approvati dall’assemblea, sia le ripartizioni effettuate per ogni singola unità immobiliare, depurando dalla domanda di rimborso quanto di sua competenza o, comunque, quanto contrattualmente pattuito (spese straordinarie, 10% delle spese di portierato, spese di assicurazione e di amministrazione ecc.).

Da parte sua il conduttore, prima di effettuare il pagamento, ha il diritto di ottenere la specifica delle spese, con l’indicazione dei criteri di ripartizione, nonché di prendere visione dei documenti giustificativi degli esborsi sostenuti, ma, comunque, va ribadito che il diritto in questione è limitato nel tempo, potendo essere esercitato solo entro sessanta giorni dalla richiesta documentata secondo legge, trascorsi i quali non potrà più contestare quanto domandato (sospendendo, riducendo o ritardando il pagamento), divenendo in tale ipotesi automaticamente moroso e, come tale passibile di sfratto (principio costante in giurisprudenza).

Peraltro il giudice di legittimità ha sempre affermato che il locatore, che agisca in giudizio per il rimborso degli oneri accessori, in caso di contestazione del conduttore convenuto (sull’erogazione effettiva delle spese ovvero sui criteri di ripartizione adottati), dovrà provare non solo l’invio della richiesta e l’avvenuta decorrenza del bimestre da essa per la costituzione in mora dell’inquilino ai fini della risoluzione del contratto, ma anche il titolo posto a base della sua richiesta.

Da parte sua il conduttore avrà l’onere di dedurre contestazioni specifiche ai conteggi prodotti, prendendo all’uopo visione dei documenti giustificativi, ovvero, se del caso ed ove possibile, ottenendone l’esibizione ex art. 210 c.p.c..

Inoltre, la giurisprudenza ha costantemente affermato che, in mancanza di richiesta del conduttore, non incombe sul locatore l’onere di indicazione specifica delle spese e dei criteri di ripartizione relativi, affermando che: “in tema di locazione di immobili urbani, qualora il conduttore, convenuto in giudizio per il mancato pagamento di oneri condominiali, contesti che il locatore abbia effettivamente sopportato le spese di cui chiede il rimborso o ne abbia effettuato una corretta ripartizione, incombe al locatore stesso, ai sensi dell'art. 2697 cod. civ., dare la prova dei fatti costitutivi del proprio diritto, i quali non si esauriscono nell'aver indirizzato la richiesta prevista dall'art. 9 della legge n. 392 del 1978, necessaria per la costituzione in mora del conduttore e per la decorrenza del bimestre ai fini della risoluzione, ma comprendono anche l'esistenza, l'ammontare e i criteri di ripartizione del rimborso richiesto” (Cass. 28 settembre 2010 n. 20348; conf. Cass. 1° aprile 2004 n. 6403).

Da un punto di vista pratico, va, comunque, osservato che sussistono ancora dubbi in merito al diritto del conduttore di esaminare tutti i documenti giustificativi delle spese condominiali effettuate, fermo restando che tale diritto si esaurisce, come accennato sopra, una volta trascorso il bimestre dalla richiesta del locatore.

In concreto, infatti, si può verificare (caso che, peraltro, è molto frequente) che il locatore trasmetta la sua pretesa di rimborso al conduttore molto tempo dopo l’approvazione assembleare dei consuntivi, talchè la consegna della documentazione divenga estremamente difficoltosa per l’amministratore, mentre appare, oltre che iniquo, anche molto singolare che il conduttore possa, dopo lungo tempo, pretendere l’esame di una copiosa documentazione, quando lo stesso condomino-locatore di norma ha diritto di esaminarla solo nei cinque giorni precedenti l’assemblea disposta per l’approvazione dei bilanci (e questo in base al principio dell’ordinamento per cui nessuno può trasferire a terzi un diritto maggiore di quello di sua competenza).

Peraltro non può non considerarsi che il condominio ha rapporti solo con il locatore (come si dirà in prosieguo), per cui quest’ultimo, per evitare inutili liti giudiziali, appena ricevuta la convocazione dell’assemblea relativa ai bilanci annuali da approvare, dovrà opportunamente comunicarlo al conduttore, ove questi lo desideri, possibilmente munendolo di apposita delega, a recarsi presso l’amministratore per visionare in sua vece, la documentazione nei giorni e negli orari fissati all’uopo da questi.

Per finire, deve esaminarsi l’ipotesi di una contestazione da parte del conduttore, moroso o meno nel pagamento delle spese condominiali, nel caso di servizio non reso o insufficiente (es. di riscaldamento ovvero di portierato).

Sul punto la Suprema Corte ha affermato l’inapplicabilità del principio relativo alla legittimità del pagamento delle spese condominiali svincolato dal godimento effettivo, in quanto, essendo a carico del conduttore le spese per la fornitura del riscaldamento ex art. 9 cit., se la fornitura non esiste, manca la cosiddetta “sinallagmaticità” e non è, quindi dovuto alcun corrispettivo, anche se previsto in contratto, precisando, altresì, che, in tale ultimo caso nulla è dovuto e che la nullità della clausola anzidetta può rilevarsi anche d’ufficio” (Cass. 14 gennaio 2005 n. 680).

In precedenza, peraltro, la stessa Corte aveva affermato che, ove il servizio condominiale (nella specie di pulizia) venga prestato in modo inadeguato, il conduttore dell’appartamento locato sito nello stabile al quale il servizio si riferisce, può eccepire nei confronti del locatore la sua inadempienza e chiedere giudizialmente di essere esonerato dal pagamento delle relative spese (così Cass. 17 novembre 1997 n. 11338).

Altrettanto dicasi per quanto riguarda il servizio di portierato, ove venga svolto dall’incaricato in modo non conforme alle prescrizioni ed alla diligenza dovuta, talchè il conduttore può eccepire al proprio locatore che pretenda il versamento delle spese relative, la sua inadempienza relativamente al predetto servizio e chiedere giudizialmente di essere esonerato dalle spese stesse (così Cass. 2 luglio 1991 n. 7257).

Da ultimo, per quanto concerne l’ipotesi di un eventuale riconoscimento di debito da parte del conduttore è stato affermato (Cass. 13 marzo 2013 n. 6370) che “ha natura di riconoscimento di debito il telegramma inviato dal conduttore alla società locatrice per il pagamento delle quote condominiali arretrate, nonostante l’assenza di un riconoscimento esplicito del debito, a ciò rilevando, secondo i canoni di interpretazione di cui all’art. 1362 seg. c.c., che dal contenuto del telegramma poteva desumersi la volontà del conduttore di adempiere all’obbligazione come richiesta del locatore di fissare un incontro per il pagamento delle quote condominiali arretrate. Ciò a prescindere dalla pregressa fitta corrispondenza in senso contrario intercorsa in precedenza tra le parti (nella specie, la società locatrice aveva ottenuto un decreto ingiuntivo per il pagamento degli oneri condominiali nei confronti del conduttore, il quale aveva successivamente opposto il decreto ingiuntivo lamentando che il telegramma con il quale egli sollecitava un incontro per il pagamento delle quote condominiali arretrate aveva la finalità di beneficiare delle prerogative offerte dall’art. 9 l. n. 392/1978 - legge sull’equo canone - per ottenere l’indicazione specifica delle spese richiestegli)”.

 RAPPORTI TRA CONDUTTORI E CONDOMINIO

Partecipazione del conduttore alle assemblee condominiali

L’art. 10 della legge n. 392/1978 (non abrogato dall’attuale normativa), al primo comma, disciplina la partecipazione del conduttore all’assemblea dei condomini, accordandogli il diritto di voto, in vece del proprietario, per le delibere relative alle spese ed alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria ed un semplice diritto di intervento nelle delibere relative alla modificazione dei servizi comuni.

La giurisprudenza, inoltre, ha ammesso il diritto del conduttore di impugnare direttamente le delibere assembleari, purchè nei limiti delle materie a momenti indicate (riscaldamento e condizionamento d’aria), sulle quali – si ribadisce - la legge gli riconosce espressamente il diritto di voto ed escludendo tale riconoscimento negli altri casi concernenti la mera partecipazione.

La Suprema Corte ha, altresì, affermato in merito, seppure molto tempo fa (ma la questione è ormai assodata), che l’art. 10 della legge 27 luglio 1978 n. 392, il quale attribuisce al conduttore il diritto di votare in luogo del proprietario nelle assemblee condominiali aventi ad oggetto l'approvazione delle spese e delle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria e di intervenire senza diritto di voto sulle delibere relative alla modificazione di servizi comuni, riconosce implicitamente con il rinvio alle disposizioni del codice civile concernenti l'assemblea dei condomini, il diritto dell'inquilino di impugnare le deliberazioni viziate, sempreché abbiano ad oggetto le spese e le modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria. Al di fuori delle situazioni richiamate, la norma in esame non attribuisce all'inquilino il potere generale di sostituirsi al proprietario nella gestione dei servizi condominiali, sicché deve escludersi ogni sua legittimazione relativa all’impugnazione della deliberazione dell'assemblea condominiale di nomina dell'amministratore e di approvazione del regolamento di condominio e del bilancio preventivo (così Cass. 18 agosto 1993 n. 8755). Ed ancora, con decisione sempre valida del 1991 (Cass. n. 6843 del 17 giugno 1991), sempre in tema la Suprema Corte ha precisato che “il conduttore di una unità immobiliare di un edificio in condominio, ancorché abbia il diritto, a norma dell'art. 10 della legge n. 392 del 1978, di partecipare all'assemblea dei condomini, non è legittimato - in caso di mancata nomina dell'amministratore - a proporre il ricorso all'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 1129, primo comma, cod. civ. diretto ad ottenere la nomina dell'amministratore, configurandosi una "negotiorum gestio" di carattere processuale non consentita (anche in materia di volontaria giurisdizione) dall'ordinamento, con conseguente inesistenza di un suo diritto nei confronti del condominio al rimborso delle spese sostenute.

Per altro verso, i giudici di legittimità (come si preciserà in seguito) hanno sempre riconosciuto che l’amministratore del condominio non può rivolgersi direttamente al conduttore stesso per il pagamento degli oneri condominiali, non avendo alcuna azione diretta nei suoi confronti, non ravvisandosi vincoli negoziali nella mera prassi o consuetudine (peraltro non corrette giuridicamente) dell’amministratore di rivolgersi in via prioritaria ai conduttori piuttosto che ai condomini locatori (giurisprudenza costante cfr. per tutte: Cass. 24 giugno 2008 n. 17201; conf. Cass. 13 settembre 2006 n. 19650 ed altre).

La giurisprudenza, inoltre, ha chiarito che ove il conduttore abbia partecipato o, comunque, sia stato regolarmente posto in grado di partecipare in luogo del condomino locatore alle assemblee relative alle spese di riscaldamento e di condizionamento d’aria “non può sottrarsi all’obbligo di rimborso al locatore, adducendo contestazioni in ordine al funzionamento di detti servizi, a meno che non provi che la mancanza o inadeguatezza del servizio derivi da difetti o guasti della parte dell’impianto di proprietà esclusiva del condomino-locatore” (ovvero quella a partire dalla diramazione dell’impianto ai locali di proprietà esclusiva, la cui riparazione sia posta dalla legge a carico del locatore stesso: così Cass. 22 aprile 1995 n. 4588).

Diverso è, invece, il discorso concernente il diritto del conduttore di partecipare alle assemblee condominiali che abbiano ad oggetto delibere di modificazione degli altri servizi condominiali e per le quali lo stesso non ha diritto di voto: in tale ipotesi, infatti, considerato che sull’inquilino gravano una serie di ulteriori spese condominiali/oneri accessori, in capo al locatore sussiste “ un obbligo d’informazione, il cui inadempimento legittima il rifiuto da parte del conduttore di rimborsare i maggiori oneri conseguenti a delibere adottate in sua assenza per mancata informazione, ma non incide sul sinallagma contrattuale, e non può quindi essere addotto dal conduttore quale motivo di risoluzione del contratto di locazione, né per sospendere l’adempimento delle proprie obbligazioni, ai sensi dell’art. 1460, 1º comma, c.c.; poiché, peraltro, la norma è volta a tutelare l’interesse del conduttore a non sopportare maggiori spese per la fornitura dei servizi comuni, il suo diritto d’intervento resta limitato alle sole assemblee in cui si discutano modificazioni dei predetti servizi da cui derivi una spesa o un aggravio di spesa che, in definitiva, andrà a gravare sul conduttore, e non anche alle assemblee con diverso oggetto oppure deliberanti su servizi comuni ma senza riflessi sull’onere delle spese” (Cass. 3 ottobre 2005 n. 19308).

 Limiti ai rapporti tra condominio e conduttori

Come a momenti accennato, unico legittimato passivo nei confronti del condominio per il pagamento delle spese condominiali è (e non può che essere), il condomino-locatore, cui l’amministratore è tenuto a rivolgersi giudizialmente nell’ipotesi di morosità, dovendo escludersi l’azione diretta del medesimo nei riguardi del conduttore, pur tenuto nei riguardi del suo locatore a rimborsarlo nei modi e nei termini già descritti di cui al combinato disposto degli artt. 9 e 10 legge n. 392/1978, che esplicano i loro effetti all’interno del rapporto contrattuale.

In tal senso è rilevante quanto affermato dalla Suprema Corte negli anni ’90 con una decisione (Cass. 13 gennaio 1995 n. 384 riportata nella giurisprudenza a fine capitolo) che non è stata seguita da altre sentenze in contrario.   

In realtà, come sempre sottolineato dal giudice di legittimità, il legislatore, nel limitare la partecipazione del conduttore alle assemblee condominiali alle tassative ipotesi già esaminate - con o senza diritto di voto - ha voluto, con detta norma, configurare un caso di “sostituzione legale” del conduttore al condomino-locatore, essendo il primo il soggetto maggiormente interessato alle relative delibere, in quanto le spese di riscaldamento e di condizionamento d’aria sono poste dalla legge a suo carico esclusivo (cfr. in tal senso Cass. 22 aprile 1992 n. 4802, ove in base a tale principio viene escluso categoricamente che “le conseguenze della mancata comunicazione del conduttore per le assemblee per le quali è previsto il suo diritto di voto possano farsi ricadere sul condominio, che rimane estraneo al rapporto di locazione”).

Quella prevista dall'art. 10 della legge 27 luglio 1978 n. 392 è un'assemblea condominiale allargata alla partecipazione, per determinate materie (spese e modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e condizionamento dell'aria), dei conduttori, i quali, su queste, deliberano in luogo dei condomini. Trattasi di un'ipotesi di sostituzione legale del conduttore al locatore, ispirata dal principio che, poiché le spese di riscaldamento gravano su di lui (art. 9 della legge n. 392 del 1978), il conduttore stesso è il soggetto maggiormente interessato alle relative deliberazioni.

Ne consegue che le predette disposizioni si riferiscono solo ai rapporti tra locatore e conduttore, mentre il condominio, essendo privo di un'azione diretta nei confronti del conduttore - tant'è che l'art. 5 della legge stessa prevede la risoluzione del contratto di locazione, a favore del solo locatore, se il conduttore non gli rifonde gli oneri accessori a suo carico - può rivolgersi solo ai condomini per il rimborso delle spese condominiali (Cass. 13 gennaio 1995 n. 384).

Ne deriva che per le delibere in questione sussiste l’obbligo di convocazione dell’inquilino a carico del solo locatore e non anche dell’amministratore del condominio, poiché in giurisprudenza è stato affermato che l’art. 10 della legge n. 392/1978 “….. non ha comportato modificazioni al disposto dell'art. 66 disp. attuaz. cod. civ., che disciplina la comunicazione dell'avviso di convocazione dell' assemblea dei condomini, con la conseguenza che tale avviso deve essere comunicato al proprietario e non anche al conduttore dell'appartamento, restando solo lo stesso proprietario tenuto ad informare il conduttore dell'avviso di convocazione ricevuto dall'amministratore, senza che le conseguenze della mancata convocazione del conduttore possano farsi ricadere sul condominio, che rimane estraneo al rapporto di locazione” (Cass. 22 aprile 1992 n. 4802).

 Edifici non in condominio ed assemblea dei conduttori

Ai sensi del terzo comma dell’art. 10 legge n. 392/1978 cit. la normativa esaminata è applicabile anche agli edifici non in condominio, da intendersi per tali quelli appartenenti ad un unico proprietario. In tale ipotesi il legislatore ha previsto la cosiddetta assemblea dei conduttori, convocata all’uopo dallo stesso proprietario o almeno da tre conduttori (quarto comma).

La giurisprudenza, peraltro, ha chiarito che, quando il servizio di riscaldamento ovvero di condizionamento dell’aria sia stato prestato, il conduttore non può rifiutare il pagamento degli oneri relativi, neppure nell’ipotesi in cui sia mancata l’assemblea dei conduttori per deliberare sulle modalità di gestione del servizio medesimo.

In argomento, infatti, si ritiene che nel caso in esame non sia stato posto in capo all’unico proprietario/locatore alcun obbligo in tal senso, talché non costituendo l’omessa convocazione un inadempimento a carico del primo soggetto i conduttori non potrebbero neppure addurre tale omissione come valido motivo per sottrarsi al pagamento degli oneri. Tanto è vero che sul punto la giurisprudenza ha affermato che in detta ipotesi il conduttore non può invocare “il principio di cui all’art. 1460 c.c. – inadimplenti non est adimplendum – per esimersi dal concorrere alle spese del riscaldamento” (cfr. Cass. 3 agosto 1995 n. 8484).

 Ed ancora si è precisato che “dalla normativa sulle locazioni (art. 1575 c.c., 5, 9 e 10 l. 27 luglio 1978 n. 392) può desumersi che la gestione degli impianti e dei servizi concernenti gli immobili, in quanto attinente al godimento ed alla manutenzione del bene, appartiene di regola al locatore e che il conduttore può eccezionalmente incidere sulla gestione del solo servizio di riscaldamento e di condizionamento d’aria unicamente nell’ambito di assemblee di condomini, o, nel caso di unico proprietario dell’edificio, di inquilini; ne consegue che in ipotesi di unico proprietario ed unico inquilino dell’immobile, in mancanza di un’assemblea, non è possibile ipotizzare un diritto partecipativo del conduttore alla gestione del servizio di riscaldamento o condizionamento d’aria, la quale, proprio in virtù di detta mancanza, fa capo direttamente al proprietario-locatore (nella specie la Suprema Corte, con sent. del 30 maggio 1995 n. 6078, ritenendo quelli enunciati i principî regolatori della materia dei rapporti tra locatore e conduttore e che, in assenza di un inadempimento imputabile non può sussistere un danno risarcibile, ha cassato la sentenza del giudice conciliatore il quale aveva condannato l’unico proprietario a risarcire il danno procurato all’unico conduttore dell’edificio, per avere il primo omesso di convocarlo ai fini delle deliberazioni relative alla gestione del servizio di riscaldamento)”.

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