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Rimborso forfettario delle spese legali

06/09/2004 Avvocato - Tariffe professionali -Rimborso forfettario delle spese legali - art. 15

Tariffe professionali - Rimborso forfettario delle spese legali - art. 15 (Corte di Cassazione, Sez. 5, Sentenza n. 17936 del 06/09/2004)

la massima

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. La Sig.ra Sinigaglia Ida, rappresentante del de cuius Sig. Tiziani Antonio, e la "Fisco sos per la difesa dei diritti civili fiscali ONLUS" (di seguito: Fisco SOS), ricorrono contro il Comune di Brusasco, per la cassazione della sentenza specificata in epigrafe.

Il Comune resiste con controricorso.

1.2. In fatto, il Tiziani, dante causa dell'odierna ricorrente Sinigaglia, ha impugnato, unitamente alla Fisco SOS (nella qualità di "parte interveniente volontaria nel rapporto tributario controverso"), il diniego del Comune di Brusasco seguito alla sua richiesta di rimborso ICI 1995. A sostegno della istanza di rimborso, il contribuente ed il suo "litisconsorte" eccepivano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 32 lett g), della legge 142/1990, e 6 del d.lgs. 504/1992, in quanto illegittimamente le aliquote erano state deliberate dalla Giunta e non dal Consiglio Comunale. La Commissione Tributaria Provinciale adita ha respinto il ricorso nel merito, previa dichiarazione di improponibilità del ricorso presentato dalla Fisco SOS. La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte (CTR), investita con impugnazione delle parti soccombenti, ha respinto l'appello di entrambi, "confermando l'inammissibilità del ricorso di 1^ grado per carenza di legittimazione ad agire" della ONLUS Fisco SOS.

1.3. Le parti ricorrenti, a sostegno della odierna impugnazione, prospettano nove articolati motivi di censura:

1) violazione e mancata o falsa applicazione degli artt. 16, comma 1, secondo periodo, R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, 3, comma 2, RDL 1578/1933, 51, comma 1, e 52 c.p.c., in quanto tre componenti del collegio che ha pronunciato la sentenza risultano essere avvocati dalla intestazione della stessa e, quindi, avrebbero dovuto astenersi vertendo in una situazione di incompatibilità, non potendo esercitare contemporaneamente le funzioni di giudice e di avvocato;

2) violazione e mancata o falsa applicazione degli artt. 1, comma 3, 32, comma 2, lett. g), 35, comma 2, legge 142/1990,6, comma 1, d.lgs. 504/1992, e vizi della motivazione, in quanto erroneamente il giudice "a quo" ha ritenuto legittima la deliberazione relativa alle aliquote dell'ICI adottata dalla Giunta Comunale in forza dell'art. 6, comma 1^, del d.lgs. 504/1992, in deroga al disposto dell'art. 32, della legge 142/1990, senza tenere conto del "principio di fissità" sancito dall'art. 1, comma 3, di quest'ultima legge, per il quale "le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe ai principi della presente legge se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni"; secondo i ricorrenti la determinazione delle aliquote delle imposte costituirebbe un tipico esercizio del potere politico, appannaggio esclusivo del Consiglio Comunale;

3) violazione e mancata applicazione degli artt. 99 e 100, c.p.c., 14, comma 3, ultima parte, d.lgs. 546/1992, 10 e 12, d.lgs. 460/1997, e vizi di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha confermato la pronuncia di inammissibilità del ricorso della Fisco SOS;

4) violazione e mancata applicazione degli artt. 36, comma 1^, legge 142/1990, e 11, comma 3^, d.lgs. 546/1992, e vizi di motivazione, in quanto non risulta che il sindaco del Comune di Brusasco sia stato autorizzato a stare in giudizio in primo grado e la CTR, poi, non si è pronunciata sul punto, oggetto di censura con i motivi di appello;

5) violazione e mancata applicazione degli artt. 91, comma 1^, e 112 c.p.c., e vizi di motivazione, in quanto la CTR non si è pronunciata sulla censura relativa al capo della sentenza di primo grado nel quale sono state liquidate le spese processuali senza analitica distinzione tra diritti, spese ed onorari;

6) violazione e mancata applicazione degli artt. 75, disp. att. c.p.c, e 2679 cod. civ., e del Decreto Ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585 (Regolamento recante approvazione della delibera del Consiglio nazionale forense in data 12 giugno 1993, che stabilisce i criteri per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati ed ai procuratori legali per le prestazioni giudiziali, in materia civile e penale, e stragiudiziali), oltre a vizi di motivazione, in quanto il giudice di primo grado ha liquidato le spese senza che la parte vittoriosa avesse depositato la relativa nota;

7) violazione e mancata applicazione degli artt. 30, comma 1^, lett. i), legge 413/1991, 11, comma 3^, e 12, comma 1^ e 4^, d.lgs. 546/1992, e vizi di motivazione, in quanto l'appello è stato sottoscritto da un difensore tecnico che non poteva assistere l'ente comunale;

8) violazione e mancata applicazione degli artt. 91, comma 1^, e 112 c.p.c., e vizi di motivazione, in quanto la CTR ha liquidato le spese senza specificare analiticamente l'ammontare degli onorari, dei diritti e del rimborso spese;

9) violazione e mancata applicazione degli artt. 75, disp. att. c.p.c, e 2679 cod. civ., e del Decreto Ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585, e vizi di motivazione, in quanto la CTR ha liquidato le spese senza che la parte vittoriosa avesse depositato la relativa nota, discostandosi dal minimo senza congrua motivazione.

DIRITTO E MOTIVI DELLA DECISIONE

2.1. Il ricorso appare fondato limitatamente all'ottavo motivo. Infatti, effettivamente la CTR ha condannato "la ONLUS FISCO S.O.S. alle spese di giudizio che ha liquidato in L. 3.000.000" senza alcuna distinzione. Come è noto, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, condivisa dal Collegio, "La liquidazione globale (sempre che siano indicati separatamente gli onorari di avvocato rispetto ai diritti di procuratore) può essere ammessa solo nell'ipotesi in cui sia stata presentata la nota delle spese a cura della parte cui vanno rimborsate, dovendosi presumere, in tal caso, che il giudice abbia voluto liquidare le spese in conformità di tale nota. Se, invece, tale nota non sia stata presentata in violazione dell'art. 75 disp. att. cod. proc. civ., - come nella specie - il giudice ha il potere-dovere di provvedere alla liquidazione delle spese giudiziali sulla base degli atti di causa, ma è tenuto ad indicarli specificamente" Cass. 9700/2003; conf. 11276/2002, 1707/1995).

2.2. Tutti gli altri motivi di ricorso, invece, non possono trovare accoglimento. In particolare, appare infondata la censura relativa alla pretesa incompatibilità degli avvocati componenti del collegio giudicante. Come è noto, e come ricordano le stesse parti ricorrenti, l'art. 5 d.lgs. 545/1992, stabilisce che "I giudici delle commissioni tributarie regionali sono nominati tra ... coloro che sono iscritti negli albi professionali degli avvocati e procuratori ... ed hanno esercitato per almeno dieci anni le rispettive professioni". Inoltre, il successivo art. 8 contiene la disciplina delle incompatibilità, tra le quali non figura lo svolgimento della professione di avvocato, salvo che "in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione, esercitano la consulenza tributaria, ovvero l'assistenza o la rappresentanza di contribuenti nei rapporti con l'amministrazione finanziaria o nelle controversie di carattere tributario" (art. 8, comma 1, lett. i).

Se, come nella specie, non risulta provata tale circostanza di fatto, non può ritenersi sussistente alcuna incompatibilità (v. Cass. SS.UU. 189/1997: "Qualora, in sede d'impugnazione, vengano denunziati vizi di illegittima composizione del collegio giudicante ..., il giudice dell'impugnazione può direttamente verificarne la sussistenza solo quando essi emergano immediatamente dall'esame della composizione dell'organo giudicante; mentre, quando detta composizione non si rilevi ictu oculi difforme dal modello legale, una pronunzia di difetto di giurisdizione - ravvisabile solo nelle ipotesi di alterazione della struttura qualitativa e quantitativa o di totale carenza di legittimazione di uno o più componenti del collegio o di loro assoluta inidoneità a farne parte - o di nullità della sentenza impugnata può essere emessa soltanto ove sia stato dedotto e provato che le lamentate difformità implichino l'insussistenza della potestas iudicandi ovvero una irregolare, costituzione del giudice"). Inoltre, nella specie, non è neanche provato che si tratti di avvocati che esercitano la professione, atteso che il titolo non si perde andando in pensione. In ogni caso, la disciplina specifica e, comunque, successiva a quanto disposto dall'art. 16 della legge n. 12/1941, invocato dai ricorrenti, preclude l'applicazione di quest'ultima disposizione che potrebbe trovare applicazione analogica o estensiva soltanto se il legislatore non vi avesse provveduto espressamente.

2.3. Quanto alla pretesa illegittimità della delibera di Giunta con la quale sono state determinate le aliquote ICI, le stesse parti ricorrenti ricordano la sentenza n. 7602/2002 di questa Corte, condivisa dal Collegio, secondo la quale "In tema di imposta comunale sugli immobili, la competenza a deliberare in materia di determinazione delle aliquote era attribuita alla giunta comunale, ai sensi dell'art. 6 del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, nel testo originario applicabile "ratione temporis" (poi sostituito dall'art. 3, comma cinquantatreesimo, della legge n. 662 del 1996, con attribuzione della competenza al comune), il quale aveva portata derogatoria, in quanto norma speciale posteriore, della ripartizione delle competenze degli organi del comune delineata dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, sull'ordinamento delle autonomie locali. Nè a diversa conclusione può giungersi in base al disposto dell'art. 1, comma terzo, di quest'ultima legge, che prevede, "ai sensi dell'art. 128 Cost.", il divieto di introdurre deroghe ai principi della legge stessa "se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni"; ne' ciò può far sorgere dubbi di violazione della citata norma costituzionale".

Tale indirizzo, criticato dalle parti ricorrenti, è stato poi confermato con sentenza n. 18541/2003: "In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI) ed in materia di determinazione dell'aliquota, l'art. 6, primo comma del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 504, nella sua formulazione originaria applicabile "ratione temporis", affermava in modo esplicito la competenza della giunta comunale. Tale disposizione, pur non allineata ai criteri di competenza stabiliti dalla legge 6 agosto 1990, n. 142 sull'ordinamento delle autonomie locali, era però di uguale rango gerarchico, quale legge dello Stato, sicché poteva efficacemente derogare a quella anteriore, per incompatibilità, ai sensi dell'art. 15 delle "preleggi" al codice civile, non avendo evidentemente voluto il legislatore adeguarsi, nel caso (e fino alla modifica poi introdotta con l'art. 3, cinquantatreesimo comma della legge 23 dicembre 1996, n. 662, entrata in vigore il 1 gennaio 1997), ai suddetti principi generali di ripartizione interna delle competente comunali".

Gli argomenti di critica delle parti ricorrenti, non sono condivisibili, in quanto sono in contrasto con il disposto dell'art. 15 delle cc. dd. preleggi, secondo il quale le leggi sono abrogate implicitamente dalle leggi successive incompatibili con le precedenti. Anche a voler seguire il ragionamento dei ricorrenti, secondo i quali bisognerebbe ipotizzare, nella gerarchia delle leggi, livelli intermedi tra leggi ordinarie e leggi costituzionali (ipotesi non condivisa dal Collegio), bisognerebbe dimostrare, poi, che l'art. 1, comma 3^, della legge n. 142/1990, che impone al legislatore futuro di utilizzare soltanto la tecnica della abrogazione espressa, non sia di livello gerarchico inferiore ad una delle leggi che maggiormente sarebbe legittimata a pretendere un rango "paracostituzionale", per la sua sostanziale natura di "legge sulla legge", quale è appunto il R.D. 16/3/1942, n. 262, recante le "Disposizioni sulla legge in generale", approvate preliminarmente al codice civile. In altri termini, anche il riconoscimento di un preteso livello gerarchico superiore dell'art. 1, comma 3^, legge 142/1990, rispetto alle leggi ordinarie successive, non comporterebbe automaticamente la prevalenza della legge precedente, atteso che la regola della abrogazione tacita fa parte dei "metaprincipi" stabiliti dalle preleggi. Non fa testo l'analogo principio di fissità sancito nell'abrogato art. 1, comma 2^, della legge 7/1/1929, n. 4, non più vigente, al quale era riconosciuto un contenuto sostanzialmente costituzionale, trattandosi di legge emanata in vigenza di un regime costituzionale flessibile (v. Corte Cost. ord. N. 416/1989: "è manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale, sollevata con riferimento all'art. 1, 2^ comma, l. 7 gennaio 1929, n. 4, del titolo quinto, d. p. r. 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui non rispetterebbe il "principio di fissità", secondo il quale le disposizioni di tale ultima legge non possono essere modificate od abrogate se non in modo espresso"). Peraltro, come ricorda la CTR, il potere deliberativo della Giunta Comunale nella materia de qua, ha anche superato il vaglio della Corte Costituzionale (sent. n. 111/1997). 2.3. Con il terzo motivo viene denunciata la violazione degli artt. 99 e 100 c.p.c., anche sotto il profilo del vizio di motivazione, relativamente alla conferma della inammissibilità del ricorso della ONLUS Fisco SOS, per carenza di legittimazione.

Il problema è stato ripetutamente affrontato da questa Corte nell'ambito di altre analoghe controversie fiscali che vedevano la Fisco SOS in veste di "litisconsorte" dei contribuenti. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio,"In tema di contenzioso tributario, va esclusa la legittimazione a proporre ricorso, di un ente esponenziale che agisca a tutela di una generica ed indefinita categoria di contribuenti (nella fattispecie, Onlus Fisco Sos), atteso che, ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, la qualifica di ricorrente è strettamente collegata a quella di soggetto destinatario di uno specifico atto amministrativo (secondo la tipologia ivi elencata) e non vi è quindi spazio per l'impugnazione di atti che possano coinvolgere un indeterminato numero di soggetti (atti eventualmente impugnabili in altra sede, come si evince dall'art. 7, comma 5^, del d.lgs. citato), e, d'altra parte, ai sensi dell'art. 14 del medesimo d.lgs., anche l'intervento volontario nel processo tributario è limitato ai soggetti che, insieme al ricorrente, siano destinatari dell'atto impugnato o parti del rapporto tributario controverso "(Cass. 139/2004; conf. 181/2004, 18541/2003). Nè sono stati prospettati argomenti nuovi, tali da indurre il Collegio a mutare giurisprudenza.

2.4. Anche la censura mossa con il motivo n. 4, relativo alla originaria mancanza dell'autorizzazione al sindaco a stare in giudizio non può trovare accoglimento, atteso che, successivamente, come risulta dallo stesso ricorso (p. 27, punto 5), l'autorizzazione è stata concessa. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio, "L1autorizzazione a stare in giudizio è condizione di efficacia e non requisito di validità della costituzione in giudizio dell'ente pubblico, con la conseguenza che essa, sebbene intervenuta successivamente all'introduzione della causa, è idonea a sanare retroattivamente le irregolarità - non rilevate dal giudice - inficianti la pregressa fase del procedimento" (Cass. 17584/2003).

2.5. Anche le doglianze relative alla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado e di secondo grado (motivi 5, 6 e 9) non possono trovare accoglimento.

In particolare, quanto alla censura relativa alla liquidazione ex officio delle spese, in mancanza del deposito della relativa nota (motivi nn. 6 e 9), "Il rimborso forfettario delle spese generali ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni generali della tariffa professionale forense spetta automaticamente al professionista anche in assenza di allegazione specifica e di espressa richiesta dovendosi, quest'ultima, ritenere implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali" (Cass. 603/2003; conf. 5581/2003).

Quanto alla omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto implicitamente il motivo di appello con il quale era stata censurata la liquidazione delle spese in primo grado senza distinzione tra diritti, spese ed onorari (motivo n. 5), il motivo è inammissibile perché generico e privo del requisito dell'autosufficienza: "In tema di controllo della legittimità della pronuncia di condanna alle spese del giudizio, è inammissibile il ricorso per Cassazione che si limiti alla generica denuncia dell'avvenuta violazione del principio di inderogabilità della tariffa professionale, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, devono essere specificati gli errori commessi dal giudice e precisate le voci di tabella degli onorari, dei diritti di procuratore che si ritengono violate" (Cass. 5581/2003). Inoltre, "La determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, essendo rimessa alla valutazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che non sia specificamente invocata la violazione dei minimi tariffari che, per l'autosufficienza del ricorso, deve essere dedotta con riferimento non solo alle singole voci ma anche agli importi considerati, così da consentire alla corte il controllo senza l'esame degli atti, trattandosi di error in indicando" (Cass. 3178/2003).

2.6. Infine, i ricorrenti lamentano che illegittimamente l'ente Comunale si è fatto assistere da un difensore tecnico, in contrasto con il disposto di cui al comma 1^ dell'art. 12 d.lgs. 546/1992, che riserverebbe tale possibilità soltanto alle parti (motivo n. 7). La censura è infondata perché l'art. 12 citato si limita a stabilire, per le parti diverse dall'Ufficio del Ministero delle finanze o dall'ente locale, l'obbligo dell'assistenza tecnica. Ma il fatto che gli enti locali (e gli uffici finanziari)non siano destinatari di tale obbligo non significa che non abbiano la facoltà di farsi assistere da un difensore abilitato. A nulla rileva che il comma 4^ del medesimo art. 12 preveda la facoltà per i soli uffici finanziari di farsi assistere, nei giudizi di appello, dall'Avvocatura dello Stato. Questa disposizione non sta ad indicare le facoltà "residuali", come vorrebbero i ricorrenti, bensì prevede una facoltà "aggiuntiva", per i soli uffici finanziari, fermo restando che nessuna norma impedisce che questi o gli enti locali possano farsi assistere da difensori abilitati anche privati, anche perché una simile limitazione mal si concilierebbe con l'art. 24, comma 2^, Cost. Peraltro, questa Corte nel pronunciarsi su altro ricorso proposto anche dalla Fisco SOS, ha già avuto modo di affermare che "In tema di contenzioso tributario, le norme che prescrivono l'obbligo di assistenza tecnica in giudizio (art. 30, primo comma, lett. i, della legge 31 dicembre 1991, n. 413; artt. 11, terzo comma e 12, primo comma del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) non rendono illegittima la nomina a difensore, effettuata dall'ente locale, di un professionista esterno iscritto all'albo" (Cass. 18541/2003).

2.7. In conclusione, il ricorso deve essere accolto soltanto in relazione all'ottavo motivo. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte per la liquidazione analitica delle spese. Tutti gli altri motivi vanno rigettati. 2.8. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie l'ottavo motivo di ricorso e rigetta i restanti. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte. Compensa le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2004.

Depositato in Cancelleria il 6 settembre 2004

 

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