Skip to main content

Concessione edilizia

Concessione edilizia - revoca del precedente parere favorevole rilasciato sull'istanza di concessione edilizia concessione illegittima - annullamento in autotutela Consiglio di Stato Sentenza del 27/11/2010 n. 8291

Concessione edilizia - revoca del precedente parere favorevole rilasciato sull’istanza di concessione edilizia concessione illegittima - annullamento in autotutela  Consiglio di Stato Sentenza del 27/11/2010  n. 8291

Consiglio di Stato Sentenza de  n. 8291


FATTO e DIRITTO

1. Il comune di Santa Marina ha rilasciato in data 24 novembre 1999, in favore della società Bussento Bitumi s.r.l. (in prosieguo la società), la concessione edilizia n. 97/99 per la realizzazione, in località Hangar, di un impianto per la produzione e messa in opera di conglomerato bituminoso.

1.1. I terreni sui quali avrebbe dovuto essere costruito l’impianto - classificati come lotti 1 e 2 del p.i.p. denominato Centro artigianale – erano stati concessi in diritto di superficie dalla comunità montana “Bussento” alla società Bitumi con atto rep. n. 239/99 del 10 maggio 1999; nel rogito si precisava che in base ai certificati comunali di destinazione urbanistica allegati (datati 23 novembre 1998) la località Hangar aveva una destinazione di zona conforme alla tipologia dell’intervento edilizio, ovvero D1 industriale e artigianale (art. 16 della convenzione).

1.1. A seguito di un esposto presentato da alcuni residenti nel comune di Santa Marina, l’ufficio tecnico comunale (in prosieguo u.t.c.) ha avviato una serie di accertamenti istruttori disponendo, altresì, l’immediata sospensione dei lavori (determinazione dirigenziale n. 5 dell’8 maggio 2000); parallelamente l’Azienda sanitaria locale Sa/3 ha proceduto alla revoca del precedente parere favorevole rilasciato sull’istanza di concessione edilizia proposta dalla società.

2. Con un primo ricorso, rubricato al nrg. 2208/2000, la società ha impugnato i su menzionati atti (e quelli collegati), davanti al T.a.r. per la Campania, sede staccata di Salerno.

2.1. Successivamente il comune ha annullato, in sede di autotutela, la concessione edilizia n. 97/99; il provvedimento – n. 126 del 21 luglio 2000 emanato dal funzionario responsabile dell’u.t.c. – è stato fondato sulle seguenti autonome ragioni giuridiche:

a) la concessione edilizia è stata rilasciata in contrasto:

I) con la soluzione localizzativa della zona di cui al vigente p.r.g. del comune di Santa Marina;

II) con l’art. 23 delle n.t.a. del vigente p.r.g. che vieta l’insediamento in quella zona di industrie insalubri;

III) con l’art. 24 delle medesime n.t.a. in quanto l’area in oggetto ricade in zona agricola e non iin zona per insediamenti industriali;

b) non è stato preventivamente rilasciato il nulla osta paesaggistico, da ritenersi necessario trattandosi di zona vincolata in quanto situata a meno di 150 metri dal fiume Bussento;

c) è decorso un breve lasso di tempo fra la data del rilascio del titolo edilizio e quella in cui è stata esercitata l’autotutela;

d) nessun lavoro edile significativo è stato realizzato;

e) è prevalente l’interesse pubblico, concreto ed attuale, ad una corretta gestione del territorio in conformità allo strumento urbanistico vigente.

2.3. Avverso tale atto è insorta la società notificando autonomo ricorso, rubricato al nrg. 2419/2000, affidato ai seguenti motivi (pagine 8 – 20):

a) poiché nella Regione Campania i comuni sono stati delegati alla gestione del vincolo paesistico, la valutazione di conformità deve ritenersi implicita nel rilascio della concessione edilizia;

b) il comune non ha considerato che nelle aree oggetto di intervento non esistono valori ambientali meritevoli di tutela posto che sono state realizzate una serie di opere di urbanizzazione in attuazione della concessione n. 155 del 13 novembre 1991, rilasciata suo tempo in favore della comunità montana del Bussento, in corso d’opera ed in variante alla precedente concessione n. 1 del 1989, ed avente ad oggetto la realizzazione del p.i.p.;

c) il comune avrebbe dovuto in ogni caso apprezzare favorevolmente la disponibilità della comunità montana a permutare il lotto 1 (per buona parte soggetto al contestato vincolo ambientale) con il lotto 3, non soggetto a vincolo ambientale;

d) la località Hangar non ha destinazione agricola ma industriale;

e) il comune non ha adeguatamente valutato:

I) la validità della precedente concessione edilizia n. 155/91 che, essendo legittima, non può costituire il presupposto della provvedimento di autotutela;

II) la sussistenza di un evidente interesse pubblico alla realizzazione dell’impianto industriale;

III) la necessità di adoperarsi celermente per modificare la destinazione urbanistica della zona da agricola a industriale;

IV) l’incolpevole affidamento riposto nella legittimità dell’operato del comune e della comunità montana e la gravità delle conseguenze finanziarie discendenti dalla caducazione del titolo edilizio;

f) non si riscontrano aspetti problematici in ordine alle determinazioni dell’Autorità di bacino, posto che non sussistono misure di salvaguardia;

g) l’A.s.l. Sa/3 ha posto nel nulla il precedente parere favorevole senza alcuna motivazione;

h) l’industria da installare non è insalubre; tale valutazione, in ogni caso, avrebbe dovuto essere effettuata in concreto previa considerazione della possibilità di adottare le opportune misure antinquinamento divisate dallo stesso art. 23 n.t.a.;

i) in subordine è stato impugnato lo stesso art. 23 n.t.a. per contrato con gli artt. 2, 4 e 41 Cost.

La società ha anche proposto domanda di risarcimento del danno (pagina 21).

2.4. Con delibera n. 67 del 27 ottobre 2000 il comune ha dettato i criteri e gli indirizzi per la definitiva soluzione localizzativa del p.i.p. per i Centri artigianali e piccola industria nelle zone Hangar e Pozzi, da porre a base di futuri interventi di variante al p.r.g. finalizzati al mutamento di destinazione urbanistica (da agricola a industriale);

Giova fin da ora evidenziare che la variante al p.r.g. – recante la modificazione della destinazione urbanistica da agricola a industriale della località Hangar, oltre che una serie di misure tese a ridurre gli impatti ambientali degli insediamenti produttivi, specie di quelli insalubri - è stata approvata definitivamente con decreto del presidente della comunità montana di Bussento – n. 14783 datato 5 giugno 2003 - a conclusione di una approfondita istruttoria all’interno della quale sono state acquisite e valutate tutta una serie di esigenze legate alla razionalizzazione dell’uso del territorio in relazione ai numerosi vincoli ambientali, paesaggistici ed idrogeologici insistenti sulle aree interessate.

2.5. Con atto di motivi aggiunti notificato in data 2 e 3 gennaio 2001, la società ha impugnato anche tale ultima delibera.

2.6. Nel corso del giudizio di primo grado è stata emanata da questo Consiglio, sez. V°, l’ordinanza n. 36 del 9 gennaio 2001 che, in riforma dell’ordinanza del T.a.r. Campania n. 1757 del 14 settembre 2000, ha respinto integralmente la domanda cautelare proposta dalla società <<considerato che devono essere fatte salve le prerogative degli organi competenti in merito alle eventuali variazioni degli strumenti di pianificazione urbanistica, che tengano conto, se del caso, della già avvenuta compromissione dell’area e degli interventi ivi effettuati; …. che, a fronte di lavori che risultano non iniziati, sembrano evidenziarsi profili di contrasto con gli strumenti urbanistici e le previsioni di tutela paesaggistico – ambientale>>.

2.7. Successivamente è intervenuta la sentenza interlocutoria del medesimo T.a.r., n. 870 del 2003, che ha riunito i ricorsi nn.rr.gg. 2208 e 2419 del 2000 e disposto c.t.u.

3. L’impugnata sentenza – T.a.r. della Campania – Salerno – sezione II, n. 1682 del 2 luglio 2004:

a) ha dichiarato improcedibile il ricorso nrg. 2208/2000 (tale capo non è stato impugnato ed è coperto dalla forza del giudicato interno);

b) ha dichiarato inammissibili le domande di accertamento del diritto della società di realizzare sui lotti 1 e 2 l’impianto industriale (anche tale capo non è stato impugnato);

c) ha respinto la domanda di annullamento della determinazione dirigenziale n. 126 del 1999;

d) ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti notificati nel giudizio pendente al nrg. 2419/2000 (anche tale capo non è stato espressamente gravato);

e) ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione a tutte le domande risarcitorie proposte dalla società (anche tale capo non è stato impugnato);

f) ha dichiarato improcedibile la domanda di risarcimento del danno derivante dalla asserita illegittimità della determinazione n. 127 del 1999 e degli atti presupposti;

g) ha respinto la domanda di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento qualificato riposto dalla società nell’attività procedimentale posta in essere dall’amministrazione comunale;

h) ha liquidato – e posto a carico della società - il compenso dovuto al c.t.u. (anche tale capo non è stato impugnato);

i) infine, ha compensato integralmente fra le parti le spese di lite.

4. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la società ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza del T.a.r.; in particolare:

a) con il primo motivo (pagine 5 – 15 dell’atto di appello), ha reiterato criticamente le censure poste a base della domanda di annullamento del provvedimento in autotutela, sollevando anche nuovi profili di illegittimità;

b) con il secondo e terzo motivo (pagine 15 - 22), ha riproposto la domanda di risarcimento del danno articolata in prime cure (diffusamente illustrata con due successive memorie difensive), insistendo:

I) in via principale, per la tesi della configurabilità della responsabilità civile dell’amministrazione per illegittimo esercizio della funzione pubblica conseguente ad annullamento del provvedimento invalido;

II) in subordine, per la sussistenza della responsabilità c.d. “da contatto procedimentale” del comune, fondata analogicamente sulla violazione degli obblighi di buona fede sanciti dagli artt. 1337 e 1338 c.c., ravvisata, nel caso di specie, sia nella falsità delle informazioni rilasciate dal comune (contenute nei certificati di destinazione urbanistica allegati al contratto di concessione del diritto di superficie n. rep. 239/99, nonché nella concessione edilizia n. 97/99), sia nella lesione del’affidamento incolpevole della società nella legittimità dell’operato del comune.

5. Si è costituito l’intimato comune deducendo l’inammissibilità e l'infondatezza del gravame in fatto e diritto.

6. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 9 novembre 2010.

7. L’appello è infondato e deve essere respinto.

7.1. Preliminarmente il collegio ribadisce che il capo della sentenza del T.a.r. (cfr. pagina 40 – motivazione – nonché pagina 53 - dispositivo), che ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse l’atto di motivi aggiunti proposti avverso la delibera n. 67 del 2000 non è stato impugnato.

In relazione a siffatta preclusione processuale deve rilevarsi che a pagina 8 del gravame (righe da 16 a 28), il ricorrente ha sostenuto che nell’atto di motivi aggiunti in prime cure sarebbe stata sollevata una specifica censura imperniata sulla seguente circostanza di fatto che si riporta testualmente: <<Inoltre non è senza importanza tenere presente che, perfino in corso di causa, il responsabile dell’UTC, su richiesta del CTU delegato dal giudice, ha addirittura confermato quanto dichiarato con il certificato di destinazione urbanistica del novembre del 1998, rilasciando altro certificato in data 10 dicembre 2003, con il quale ancora una volta si sosteneva che al momento del rilascio della concessione edilizia n. 97/98 i terreni interessati dall’intervento ricadevano in zona PIP e non in zona agricola, contravvenendo, tra l’altro, a quanto dichiarato nella motivazione della determinazione di annullamento. Ma il TAR adito non ha in alcun modo valutato la specifica censura mossa dalla ricorrente sul punto (cfr. motivi aggiunti notificati in corso di causa) con evidente omissione di pronuncia e difetto di motivazione.>>.

Osserva il collegio che:

a) nell’atto di motivi aggiunti non è stata mai sollevata la illustrata censura;

b) sarebbe stato impossibile sollevare la censura in esame atteso che l’atto di motivi aggiunti è stato notificato in prime cure, come si è visto, in data 2 e 3 gennaio 2001, due anni e mezzo prima del rilascio del certificato.

7.2. Sempre in via preliminare la sezione evidenzia che il thema decidendum è circoscritto dalle censure ritualmente sollevate in primo grado, non potendosi dare ingresso, per la prima volta in sede di appello, a nuove doglianze in violazione del divieto dei nova sancito dall’art. 345 c.p.c. (oggi art. 104, co. 1, c.p.a.).

Per comodità espositiva, pertanto, saranno esaminati i motivi e le domande di primo grado secondo la tassonomia fatta propria dal ricorso nrg. 2419/2000.

7.3. Tutte le censure di illegittimità articolate nel ricorso nrg. 2419/2000 sono infondate.

7.3.1. Giova premettere una breve sintesi dei principi che governano l’esercizio del potere di auto annullamento dei titoli edilizi, enucleati dalla giurisprudenza di questo Consiglio e sostanzialmente confluiti nell’art. 21 nonies, l. n. 241 del 1990, inapplicabile ratione temporis (cfr. Cons. St., sez. IV, 21 dicembre 2009, n. 8529; sez. V, 6 dicembre 2007, n. 6252; sez. V, 12 novembre 2003, n. 7218; sez. V, 24 settembre 2003, n. 5445; sez. V, 5 dicembre 1995, n. 1782, cui si rinvia a mente dell’art. 74 c.p.a.):

a) presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio con effetti ex tunc sono l’illegittimità originaria del provvedimento, l’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione diverso dal mero ripristino della legalità, l’assenza di posizioni consolidate in capo ai destinatari (sotto tale angolazione si reputa illegittimo l’annullamento di un titolo edilizio fondato sopra un mutamento della interpretazione consolidata di prescrizioni di p.r.g. in assenza di qualsivoglia condotta colpevole dell’interessato);

b) l’esercizio del potere di autotutela è espressione di rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l’amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei su menzionati presupposti;

c) l’ambito della motivazione esigibile è integrato dalla allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio dovendosi tenere conto, per il resto:

I) del particolare atteggiarsi dell’interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono (ambiente, paesaggio, salute, sicurezza, beni storici e culturali) che quasi sempre sono prevalenti rispetto a quelli contrapposti dei privati;

II) della eventuale negligenza o della malafede del privato che ha indotto in errore l’amministrazione o ha approfittato di un suo errore (ad es. rappresentando in modo erroneo la situazione di fatto in base alla quale è stato rilasciato il titolo o sono stati individuati i legittimati attivi);

d) rimane ferma l’esigenza di assicurare che la tutela del governo del territorio avvenga senza imporre sacrifici inutili al privato (tale profilo si coglie nell’art. 38 t.u. ed. – inapplicabile ratione temporis - che impone la sanzione pecuniaria solo in caso di non emendabilità del vizio della procedura o di impossibilità della rimessione in pristino);

e) pur non riscontrandosi un termine di decadenza del potere di auto annullamento del titolo edilizio, la caducazione che intervenga ad una notevole distanza di tempo e dopo che le opere sono state completate, esige una più puntuale e convincente motivazione a tutela del legittimo affidamento.

Anticipando quanto si vedrà meglio in prosieguo, dall’esame di tutti gli atti di causa emerge che l’amministrazione prima, ed il T.a.r. poi, hanno fatto buon governo dei sopra illustrati principi.

7.3.2. In primo luogo devono essere disattese le doglianze relative ai profili procedimentali e sostanziali afferenti la presenza e gestione dei vincoli ambientali, paesaggistici e idrogeologici.

Tali doglianze sono sia inammissibili che infondate:

I) inammissibili, nella parte in cui sollecitano il giudice amministrativo a valutazioni tecniche ed amministrative riservate all’amministrazione;

II) infondate, nella parte in cui, contestando la sussistenza dei vincoli, risultano smentite per tabulas dalle risultanze della accurata istruttoria documentale espletata in prime cure; parimenti priva di pregio è la tesi che vuole la procedura di valutazione della compatibilità paesaggistica ricompresa in quella di rilascio del titolo edilizio.

Ugualmente inaccoglibile è la tesi del ricorrente secondo cui sarebbe legittima la concessione edilizia n. 155/1991 che non potrebbe costituire il presupposto del provvedimento di autotutela; al riguardo è sufficiente osservare che:

I) la concessione in questione è palesemente illegittima perché rilasciata in spregio alla destinazione urbanistica (agricola) delle aree interessate dagli interventi di costruzione delle opere di urbanizzazione;

II) il comune non ha posto a base del provvedimento di autotutela la concessione n. 155/1991; semplicemente non ha proceduto al suo annullamento in autotutela a cagione del lungo tempo trascorso, della completa esecuzione delle opere, della natura pubblica del soggetto che le ha realizzate ed acquisite in proprietà.

Miglior sorte non tocca alle censure con cui si contesta il giudizio di insalubrità dell’opificio a mente dell’art. 23 n.t.a. e, in subordine, l’illegittimità di quest’ultimo.

E’ certo che l’impianto in questione sia nocivo per la salute perché rientra nell’elenco delle industrie insalubri di cui al d.m. 5 settembre 1994.

Le doglianze mosse nei confronti dell’art. 23 sono del tutto generiche e sono pertanto da respingersi.

Del pari inaccoglibile, perché smentita dal tenore letterale della norma sancita dal su menzionato art. 23, è la ricostruzione della sua portata precettiva che consentirebbe al comune di dettare in concreto misure di mitigazione della pericolosità ed insalubrità dell’impianto da installare.

Certamente infondata è anche la doglianza che contesta la destinazione agricola impressa all’area, su cui avrebbe dovuto in concreto essere realizzato l’opificio, al momento del rilascio della concessione edilizia n. 97/99 oggetto del successivo provvedimento di autotutela.

Sul punto si sono particolarmente diffuse le parti, i loro consulenti, il c.t.u. ed il giudice di primo grado.

La censura non è meritevole di accoglimento alla luce della ponderosa istruttoria documentale effettuata in prime cure dalla quale risulta che:

a) il p.r.g. del comune di Santa Marina era stato approvato definitivamente nel 1990 con stralcio delle varianti proposte dalla comunità montana per mutare la destinazione urbanistica della località Hangar da agricola (come in origine previsto dalla delibera di adozione del piano) a industriale;

b) fino alla metà circa del 1998 il comune ha correttamente rilasciato certificati di destinazione urbanistica attestanti la destinazione agricola della località Hangar;

c) nell’imminenza dell’assegnazione dei lotti all’interno del p.i.p., da parte della comunità montana, quest’ultima ha intimato al comune di rivedere la sua posizione alla luce della asserita reale consistenza delle prescrizione del p.r.g. (cfr. delibera n. 53 del 1998); il comune, a sua volta, si è limitato a prendere atto della prospettazione fornita dalla comunità montana (cfr. delibera n. 40 del 1998), senza però intraprendere le procedure tipizzate ex lege per l’approvazione di una variante in grado di modificare la destinazione urbanistica della zona in questione;

d) è solo nel 2003 che è stata approvata definitivamente una variante all’originario p.r.g. che ha modificato la destinazione urbanistica della località Hangar.

Le rimanenti censure possono non essere esaminate in quanto il provvedimento impugnato, che si fonda su una pluralità di autonome argomentazioni giuridiche, alcune delle quali giudicate legittime, non potrebbe comunque essere caducato.

7.3.3. Circa la mancanza di una adeguata valutazione dell’interesse pubblico, in assoluto ed in comparazione con quello privato, la sezione osserva che:

a) il comune ha espressamente riconosciuto la prevalenza dell’interesse pubblico ad una corretta gestione del proprio territorio;

b) sono stati evidenziati i valori giuridici ritenuti prevalenti (ambiente, salute, assetto idrogeologico);

c) è stata debitamente apprezzata la circostanza della sostanziale assenza di lavori intrapresi dalla società.

7.3.4. Per quanto concerne la lamentata lesione dell’affidamento, la sezione osserva che la negligenza della società, che esclude la configurabilità di un affidamento incolpevole (come correttamente statuito dal T.a.r.), è dimostrata sulla base di un giudizio fondato sull’id quod plerumque accidit, sostenuto dai seguenti elementi:

a) l’iniziativa procedimentale è partita dalla società che ha presentato domanda di concessione edilizia allegando planimetrie in contrasto con la destinazione reale delle zone interessate dall’intervento costruttivo, il ché può avere indotto in errore il funzionario che ha rilasciato il titolo edilizio;

b) non appare credibile che la società, avente sede nel medesimo comune di Santa Marina, anche per le modeste dimensioni della comunità locale, non abbia avuto contezza:

I) del travagliato dialogo procedimentale intervenuto fra l’ente montano e gli uffici tecnici comunali (che dal 1989 alla metà del 1998 hanno rilasciato correttamente certificati urbanistici relativi alla località Hangar con l’indicazione della destinazione agricola delle stesse), e dunque della effettiva destinazione urbanistica delle aree;

II) del carattere palesemente illegittimo della concessione edilizia n. 155/1991, che ha assentito le opere di urbanizzazione a suo tempo richieste dalla comunità montana, sebbene i certificati di destinazione urbanistica indicassero puntualmente il carattere agricolo della zona (cfr. da ultimo il certificato storico rilasciato al c.t.u. in data 10 dicembre 2003);

c) è intercorso un lasso di tempo assai breve fra il rilascio del titolo edilizio ed il suo annullamento (circa 8 mesi) ed ancora più ridotto fra il primo termine ed il provvedimento di sospensione dei lavori (6 mesi).

Per completezza si segnala che secondo la più recente e condivisibile giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. VI, 23 febbraio 2010, n. 1048; sez. V, 19 ottobre 2009, n. 6395 cui si rinvia a mente dell’art. 74 c.p.a.), i doveri di solidarietà sociale che traggono fondamento dall’art. 2 Cost., impongono di valutare complessivamente la condotta tenuta dalle parti private nei confronti della p.a. in funzione dell’obbligo di prevenire o attenuare quanto più possibile le conseguenze negative scaturenti dall’esercizio della funzione pubblica o da condotte ad essa ricollegabili in via immediata e diretta; questo vaglio ridonda anche in relazione all’ individuazione, in concreto, dei presupposti per l’esercizio dell’azione risarcitoria, onde evitare che situazioni pregiudizievoli evitabili con l’esercizio della normale diligenza si scarichino in modo improprio sulla collettività in generale e sulla finanza pubblica in particolare.

7.4. Dall’assodata legittimità del provvedimento di autotutela consegue il rigetto della domanda di annullamento e di quella risarcitoria formulata nel presupposto della lesione contra ius degli interessi legittimi incisi dal provvedimento impugnato.

7.5. Parimenti infondata è la domanda di risarcimento del danno da lesione dell’affidamento qualificato riposto dalla società nell’attività procedimentale realizzata dall’amministrazione comunale; nella prospettazione della ricorrente l’amministrazione avrebbe violato gli obblighi di buona fede scaturenti dagli artt. 1337 e 1338 c.c. ritenuti applicabili in via analogica a qualsiasi situazione di contatto procedimentale fra privato e pubblica amministrazione.

7.5.1. In ordine alla inconfigurabilità, sul piano generale ed astratto, della responsabilità civile della p.a. “per contatto sociale”, la sezione non intende discostarsi dagli approdi ermeneutici cui sono pervenute le sezioni unite della Corte di cassazione (sin dalla storica sentenza 22 luglio 1999, n. 500; successivamente cfr., ex plurimis, sez. un., 27 febbraio 2008, n. 5084; sez. un., 27 marzo 2008, n. 7948; sez. I, 29 gennaio 2010, n. 2122), e l’adunanza plenaria del Consiglio di Stato (cfr. 22 ottobre 2007, n. 12; 30 luglio 2007, n. 10; 9 febbraio 2006, n. 2; 15 settembre 2005, n. 7; 5 settembre 2005, n. 6; 26 marzo 2003, n. 4), cui si rinvia a mente dell’art. 74 c.p.a.

Anzi, avuto particolare riguardo alle pronunce dell’adunanza plenaria, deve osservarsi che la decisione della sezione di discostarsi dai principi di diritto formulati dall’alto consesso, determinerebbe l’obbligo, a mente dell’art. 99, co. 3, c.p.a. (applicabile ratione temporis), di rimettere a quest’ultimo la decisione del ricorso nell’esercizio della funzione nomofilattica che gli appartiene.

7.5.2. Per respingere la domanda risarcitoria è sufficiente, pertanto, riassumere brevemente il quadro delle norme e dei principi che hanno disegnato il modello della responsabilità provvedimentale della p.a.:

a) pur registrandosi contrasti rilevanti (fra le sezioni unite e l’adunanza plenaria), in ordine alla tematica della c.d. “pregiudizialità amministrativa”, entrambi i giudici della nomofilachia hanno concordato sulla qualificazione della responsabilità civile da illecito provvedimentale in termini di responsabilità extracontrattuale disciplinata dall’art. 2043 c.c.;

b) per accedere alla tutela prevista dall’art. 2043 c.c. è indispensabile, ancorché non sufficiente, che l’interesse legittimo sia stato leso da un provvedimento (o da un comportamento) illegittimo dell’amministrazione reso nell’esplicazione della funzione amministrativa;

c) la lesione deve incidere sul bene della vita finale, che funge da sostrato materiale dell’interesse legittimo, e che non consente di configurare la tutela degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative o dei ritardi procedimentali (fatta salva l’applicazione dell’art. 2 bis, l. n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 7, l. n. 69 del 2009, che, a sua volta, richiama lo schema fondamentale dell’art. 2043 c.c.);

d) nelle ipotesi di responsabilità precontrattuale, sottoposta al sindacato del giudice non è la legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma la correttezza del contegno negoziale tenuto dall’ente pubblico, durante la fase delle trattative e della formazione del contratto: si è al di fuori, dunque, del procedimento amministrativo ed all’interno delle logiche e dei poteri negoziali, con la conseguente inestensibilità analogica della relativa disciplina;

e) la responsabilità da contatto procedimentale, inoltre, introduce surrettiziamente nell’ordinamento una figura generale di responsabilità da atto legittimo al di fuori dei casi tassativi previsti da singole disposizioni di legge.

5.5.2. Parimenti infondati sono i mezzi con cui si contestano le conclusioni cui è pervenuta l’impugnata sentenza che ha negato la sussistenza di un affidamento incolpevole della società, escludendo, in fatto, la possibilità di configurare la responsabilità del comune.

Sul punto è sufficiente rinviare a quanto illustrato sub n. 7.3.4.

8. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni l’appello deve essere respinto.

Le spese di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso meglio specificato in epigrafe:

a) respinge l’appello e per l’effetto conferma la sentenza impugnata;

b) condanna l’appellante a rifondere in favore del comune di Santa Marina le spese, le competenze e gli onorari del presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori come per legge (12,50 % a titolo di spese generali, I.V.A. e C.P.A.).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Gaetano Trotta, Presidente

Vito Poli, Consigliere, Estensore

Sergio De Felice, Consigliere

Vito Carella, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it