Skip to main content

anatocismo - ordinanza del 3-4-2015 del tribunale di Milano

L'ordinanza del Trbunale di Milano del 3 aprile 2015 inibisce alle resistenti Banca Popolare di Milano s.c.a r.l e alla Deutsche Bank s.p.a. di dare corso a qualsiasi ulteriore forma di anatocismo degli interessi passivi con riferimento ai contratti di conto corrente già in essere o che verranno in futuro stipulati con consumatori e appartenenti alle seguenti tipologie di conto: - Banca Popolare di Milano: "Conto Contante", "Conto Corrente Ordinario Consumatore", "Flexiconto", "Conto in euro per non residenti consumatori", "Conto Millenium", "Conto New Welcome", "Primo assoluto", "Rossonero per sempre", "Conto you do"; - Deutsche Bank: "Ordinario"; "db componi", "db componi online", "db online plus", "Private Club", "db Private Club", "db Private Club Promo 2", "db ContoPremio Zerocanone 2013 per i nuovi clienti", "db ContoPremio Piùlnvestimenti 2013 —per i nuovi clienti", "db ContoPremio —per titolari di altro conto corrente", "db Zero Canone 2013", "db PiùInvestimenti 2013", "Conto di base Deutsche Bank", "DB Perform", "db Saggetà", "db Sostegno ANITA", "db Private Banking", "db Private - Banking new clients", "db Online B2e", "B2e db partner", "B2e db Performance", "B2e db Partner Studenti", "B2e db Solution New", "B2e db Privilegio", "db Privilegio Zuritel, "db Privilegio Inter", "db Privilegio FAI", "Conto Corrente Estero".

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO Ordinanza del 3 aprile 2015 (R.G. 3562/2015)
SESTA SEZIONE CIVILE
ORDINANZA
Il Tribunale in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott.ssa Laura Cosentini Presidente
dott.ssa Silvia Brat Giudice
dott. Francesco Ferrari Giudice Relatore
omissis
***
Sciogliendo la riserva assunta all'udienza collegiale del 25.3.2015, premesso:
- che la ricorrente Associazione Movimento Consumatori proponeva due distinti ricorsi cautelari d'urgenza ai sensi dell'art. 140, comma 8, codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005), rispettivamente nei confronti della Banca Popolare di Milano s.c.a r.l. e della Deutsche Bank s.p.a., chiedendo che si procedesse a:
- "dichiarare che la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi" maturati nell'ambito dei contratti di c/c conclusi dalle Banche convenute fosse "comportamento illegittimo e contrario agli interessi collettivi dei consumatori ad una adeguata informazione e ad una corretta pubblicità ..., all'esercizio di pratiche commerciali secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà ... alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali ... e comunque costituisce pratica commerciale scorretta ai sensi degli art. 20 e ss. C.d.C.";
- inibire ai sensi dell'art. 140 lett. a) C.d.C. ogni forma di capitalizzazione degli interessi passivi maturati nell'ambito dei predetti contratti di conto corrente o comunque l'applicazione di interessi anatocistici;
- inibire la predisposizione, la diffusione e l'utilizzo e l'applicazione delle clausole che prevedono la capitalizzazione trimestrale degli interessi;
- inibire ogni riferimento alla capitalizzazione degli interessi maturati contenuti nei fogli informativi;
- disporre la pubblicazione sul sito web delle Banche di un avviso volto ad informare che dal 1/1/2014 è vietata qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi passivi e che ogni correntista ha diritto alla ripetizione degli interessi anatocistici corrisposti, nonché l'invio di una comunicazione ai consumatori avente i medesimi contenuti;
- che i due distinti ricorsi venivano riuniti per ragioni di connessione oggettiva;
- che, in particolare, l'Associazione ricorrente deduceva a sostegno delle proprie domande come, in seguito a quanto disposto dall'art. 1, comma 629, legge n. 147/2013, con conseguente modifica del secondo comma dell'art. 120 TUB, a decorrere dal 1/1/2014 non sarebbe stata più consentita la capitalizzazione periodica degli interessi passivi maturati sui rapporti di conto corrente;
- che, viceversa, emergeva come i due istituti di credito, continuando ad applicare le clausole contenute nei contratti di conto corrente divenute illegittime per effetto di tale mutamento normativo, proseguivano ad addebitare interessi passivi anatocistici, non più consentiti;
- che si costituivano le banche convenute, contestando nel merito le argomentazioni poste a sostegno delle domande cautelari proposte dalla ricorrente e, in via preliminare, eccependo il difetto di legittimazione attiva della Associazione consumeristica;
- che il giudice di prime cure con ordinanza del 12.1.2015 rigettava i ricorsi di urgenza proposti dalla Associazione per difetto di legittimazione attiva della ricorrente, fondando la decisione su due considerazioni: la legittimazione delle associazioni di consumatori sarebbe stata limitata alle materie regolate dal codice del consumo, fra le quali non era ricompresa quella dell'anatocismo; il diritto fondamentale dei consumatori alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali, previsto all'art. 2 lett. e) del c.d.c., riguarderebbe le condotte nelle fasi di informazione, interpretazione ed esecuzione e non il contenuto delle clausole contrattuali;
- che avverso detta ordinanza di rigetto la ricorrente proponeva reclamo, contestando che la legittimazione dell'associazione consumeristica potesse essere circoscritta alle sole materie regolate dal codice del consumo;
- che, infatti, se effettivamente l'art. 139 c.d.c., come regola di massima, circoscriveva la legittimazione ad agire delle associazioni consumeristiche alla tutela di interessi collettivi nelle materie disciplinate dal codice, l'inciso iniziale della seconda frase del primo comma, nel precisare "oltre a quanto disposto dall'articolo 2", lasciava inequivocabilmente intendere come, con riferimento alla tutela dei diritti fondamentali dei consumatori annoverati in tale articolo, la legittimazione delle associazioni dei consumatori esorbitasse l'ambito delle materie disciplinate dal codice del consumo;
- che, in particolare, l'art. 2 c.d.c. alla lettera e) configurava quale diritto fondamentale dei consumatori, suscettibile di essere tutelato tramite azione delle associazioni consumeristiche, il diritto alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali;
- che l'applicazione delle clausole contrattuali in materia di anatocismo, sebbene divenute illegittime a seguito della modifica del secondo comma dell'art. 120 TUB, costituiva a giudizio della reclamante una condotta contrattuale in contrasto con il precetto della correttezza;
- che, pertanto, la legittimazione delle associazioni, con riferimento all'ipotesi di violazione dei diritti fondamentali del consumatore, poteva ritenersi operante anche là dove fosse dedotta la violazione di discipline non regolamentate dal codice del consumo, come appunto la disciplina in materia di anatocismo;
- che si costituivano le banche resistenti, domandando la conferma dell'ordinanza reclamata, in principalità per difetto di legittimazione attiva dell'Associazione Movimento Consumatori, in secondo luogo perché la richiesta di inibitoria alla capitalizzazione dei soli interessi passivi sarebbe stata inammissibile e, infine, per difetto del requisito dei giusti motivi di urgenza nonché del fumus boni iuris.
*
Tutto ciò premesso, ritiene il Tribunale che il reclamo oggi in esame sia fondato e, pertanto, meriti di trovare accoglimento, con conseguente riforma dell'ordinanza cautelare impugnata.
Preliminarmente occorre soffermarsi sulla legittimazione attiva dell'Associazione Movimento Consumatori.
Sul punto viene in rilievo l'applicazione del combinato disposto degli artt. 2 e 139 D. lgs. 6 settembre 2005, n. 206. L'art. 139 citato, come noto, prevede che le associazioni dei consumatori, inserite negli elenchi indicati all'art. 137, siano legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi, ai sensi dell'art. 140, in caso di violazioni del codice del consumo o delle norme specificamente richiamate e, in ogni caso, "oltre a quanto disposto dall'art. 2".
Quest'ultima norma prevede un'elencazione di diritti fondamentali dei consumatori, tra cui è annoverato anche il diritto "alla correttezza, trasparenza e all'equità nei rapporti contrattuali" (cfr. lett. e); il legislatore nazionale, recependo quanto previsto dall'Unione Europea, ha, quindi, inteso dare risalto a valori quali la buona fede in senso oggettivo, l'obbligo di clare loqui, comunicando alla controparte ogni informazione rilevante nella stipulazione e nell'esecuzione del negozio, e infine all'equità nella pendenza di un rapporto negoziale cd. "asimmetrico", in cui le parti normativamente "deboli" necessitano di una tutela effettiva.
Poste queste premesse, occorre verificare se la doglianza inerente l'applicazione da parte degli istituti di credito di una clausola asseritamente divenuta nulla a seguito di una sopravvenienza normativa, possa essere sussunta nella violazione dell'obbligo di correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali, cui è tenuta la banca e al cui rispetto ha diritto il consumatore.
Sul punto le resistenti hanno sostenuto che non sussista legittimazione attiva del Movimento Consumatori, in quanto l'applicazione della clausola asseritamente invalida non violerebbe il diritto alla correttezza nei rapporti contrattuali, essendo viceversa la nullità l'unica eventuale sanzione applicabile.
La tesi non può essere condivisa.
Se, infatti, di regola la violazione del precetto di correttezza nell'ambito dei rapporti contrattuali è stata invocata a fronte di condotte che, pur non trovando una disciplina sanzionatoria specifica, sono state reputate lesive degli interessi comunque meritevoli di protezione vantati dalla controparte, a maggior ragione deve ritenersi sussistente una violazione dell'obbligo di correttezza con riferimento a condotte che traggano origine da previsioni negoziali espressamente sanzionate nella forma più grave, ossia la nullità; diversamente opinando, infatti, si giungerebbe alla conclusione paradossale per cui le condotte negoziali originate da clausole nulle e, quindi, da ritenersi valutate come massimamente gravi, non sarebbero al contempo qualificabili come contrarie al precetto della correttezza, riscontrabile invece con riferimento a comportamenti non espressamente disciplinati e, quindi, tendenzialmente etichettabili come meno gravi.
La nullità, infatti, è la sanzione che colpisce la previsione pattizia (la clausola che risulti in contrasto con il testo normativo entrato in vigore è nullo), mentre l'attuazione di detta clausola, in quanto applicazione di un patto invalido (ab origine o per nullità sopravvenuta), integra un'autonoma condotta, che può astrattamente porsi in contrasto con l'interesse della controparte e, quindi, con il dovere di correttezza.
Per quanto attiene, poi, alla collettività dell'interesse, che l'art. 139 richiede quale presupposto per la legittimazione delle associazioni consumeristiche, deve ritenersi che il requisito sia insito nella diffusività della clausola asseritamente invalida, in quanto inserita dall'operatore qualificato nelle condizioni generali di contratto e per ciò idonea ad incidere indistintamente su tutti i rapporti contrattuali in cui essa venga in applicazione.
Sotto tale profilo, pertanto, non assume rilievo particolare analizzare il dato numerico dei contratti di conto corrente attualmente in corso con i due istituti di credito resistenti, nè tanto meno pretendere di distinguere fra tali rapporti quelli che risultino stipulati da consumatori e, ancora, quelli fra essi che presentino un saldo debitorio e conseguentemente l'addebito di interessi passivi anatocistici; il mantenimento nelle condizioni generali di contratto delle clausole oggi contestate, infatti, di per sè racchiude e concreta il connotato della diffusività e conseguentemente della collettività dell'interesse patrocinato dall'Associazione oggi reclamante, anche in considerazione della potenzialità lesiva da quest'ultima prospettata, ben potendo un rapporto oggi a credito passare un domani a debito ed essere esposto all'applicazione della clausola anatocistica contestata.
Le considerazioni esposte, riferite al tenore degli interessi prospettati e alle misure invocate, portano, pertanto, a riconoscere la legittimazione attiva dell'associazione di consumatori che si affermi titolare di un "diritto alla correttezza nei rapporti contrattuali", laddove ne lamenti la lesione in ragione dell'applicazione ad opera della controparte di una clausola asseritamente nulla, anche in ragione di una, intervenuta, modifica legislativa.
Nè tale legittimazione potrebbe essere messa in discussione là dove, come nel caso di specie, la reclamante abbia inteso censurare la condotta persistente delle banche di applicazione della clausola anatocistica, asseritamente divenuta nulla, limitatamente all'addebito di interessi passivi.
Premesso, infatti, che la scelta selettiva della condotta da censurare effettuata dalla Associazione consumeristica svuota di contenuto l'obiezione che così facendo si finirebbe con il danneggiare, anzichè con il preservare, gli interessi della maggioranza dei consumatori, che verosimilmente vantano un saldo creditorio e quindi sono percettori di interessi anatocistici, anzichè obbligati alla loro corresponsione (censura anch'essa articolata al fine di negare la legittimazione attiva della reclamante); deve in ogni caso rilevarsi come la qualificazione dell'addebito di interessi anatocistici passivi, quale condotta contraria al precetto della correttezza, trovi il suo presupposto fondante nell'art. 127 TUB, in forza del quale le nullità previste dal Titolo VI, ricomprendente anche la disciplina in materia di interessi nei rapporti bancari, operano soltanto a vantaggio del cliente della banca, oltre a poter essere rilevate d'ufficio dal giudice.
Se, pertanto, la norma in questione di fatto, sul presupposto di una nullità di protezione rilevabile esclusivamente da una sola parte del contratto, specifica e conferma la legittimazione delle associazioni consumeristiche proprio con riferimento alla domanda nei termini selettivi prospettati, il denunciato conseguente potenziale squilibrio contrattuale, rappresentato dalla mancata speculare censura quanto alla condotta di corresponsione di interessi anatocistici creditori ad opera delle banche, esula dall'oggetto del presente procedimento, divenendo ininfluente rispetto alla riconosciuta legittimazione attiva dell'Associazione consumeristica.
L'accertamento sopra esposto comporta la necessità di procedere in seconda battuta a verificare la sussistenza o meno dei presupposti che giustifichino la scelta del Movimento Consumatori ad agire in via cautelare, considerata la contestazione anche sotto tale ultimo profilo.
Occorre a tal proposito soffermarsi sul requisito dei "giusti motivi di urgenza", quale presupposto richiesto dal comma 8 dell'art. 140 del codice del consumo per far valere il diritto consumeristico nelle forme della cautela.
Preliminarmente si osserva che, secondo l'orientamento prevalente, che si condivide, i "giusti motivi di urgenza" sono altro rispetto al pregiudizio grave ed irreparabile richiesto dall'art. 700 c.p.c.; per comprendere detto requisito occorre infatti avere riguardo non solo all'interpretazione letterale, ma anche a quella sistematica, considerando la collocazione della norma e, in particolare, la ratio di essa e la sua matrice comunitaria.
A tal proposito deve ritenersi che i giusti motivi di urgenza non possano essere identificati o comunque ritenuti sussistenti per il solo carattere di diffusività della disciplina o della condotta che si assume lesiva degli interessi dei consumatori, dal momento che tale connotato è già di per sè presupposto stesso della legittimazione "ordinaria" delle associazioni consumeristiche, le quali, infatti, intanto possono agire autonomamente, in quanto operino "a tutela degli interessi collettivi dei consumatori" (art. 139 C.d.c.); il richiamo alla collettività dell'interesse del consumatore, infatti, necessariamente si ricollega e implica una portata diffusa dell'interesse in esame, che diversamente non potrebbe assumere carattere "collettivo".
Se, pertanto, si ritenesse di identificare i "giusti motivi di urgenza" con la mera diffusività della condotta o della clausola lesiva, ciò comporterebbe che, una volta riconosciuta la legittimazione ad agire delle associazioni consumeristiche, queste sarebbero sempre legittimate anche ad agire in via cautelare, dal momento che i presupposti dell'azione ordinaria e di quella di urgenza finirebbero per coincidere.
Sennonchè una simile soluzione interpretativa non solo non sarebbe conciliabile con il dato normativo, che con riferimento alle azioni delle associazioni consumeristiche annovera tanto la tutela ordinaria che quella cautelare, ma entrerebbe in contrasto anche con i principi fondanti del nostro ordinamento processuale, là dove l'azione cautelare è sempre prefigurata come forma di tutela straordinaria, in presenza di requisiti tassativi, a fronte della tutela in via ordinaria.
Se così è, quindi, si deve concludere che il presupposto atto a giustificare il ricorso alla tutela cautelare, ossia i "giusti motivi di urgenza" non possa essere individuato nel mero carattere diffuso dell'interesse tutelato, ma vada ricercato in un connotato ulteriore, il quale, peraltro, come anticipato, non deve essere identificato nel pregiudizio irreparabile ex art. 700 c.p.c.
In particolare, l'interpretazione sistematica della norma di origine comunitaria porta a ritenere concretato il motivo di urgenza nella potenziale reiterabilità della lesione, discendente non solo e non tanto dalla astratta idoneità della clausola nulla a essere inserita in nuovi stipulandi contratti perfezionati con il richiamo alle medesime condizioni generali di contratto, ma soprattutto nella capacità delle clausole contestate di continuare a produrre i loro effetti in quanto inserite in contratti di durata, aggravando in tal modo il prospettato effetto pregiudizievole a carico dei consumatori.
Ebbene, nel caso in esame non solo la clausola oggetto di doglianza è stata inserita nelle condizioni generali dei contratti stipulati e nell'esecuzione di essi è tuttora applicata (circostanza incontestata ex art. 115 c.p.c.), ma deve altresì rilevarsi come le banche resistenti non abbiano mai dedotto nel corso del procedimento di voler eliminare o correggere detta previsione dal testo delle convenzioni stipulande.
Tali considerazioni, quindi, confortano non solo la legittimazione ad agire della ricorrente, ma anche la sussistenza dei presupposti per giustificare l'invocazione di una tutela d'urgenza.
Si tratta, a questo punto, di passare all'esame del merito della contestazione e, quindi, verificare se effettivamente l'art. 1, comma 629, della legge n. 147/2013, modificando il secondo comma dell'art. 120 TUB, abbia reso illegittima a decorrere dal 1/1/2014 qualsiasi prassi anatocistica nei rapporti bancari e, per quanto qui di interesse, abbia vietato l'addebito di interessi anatocistici passivi.
La norma testualmente dispone: "All'articolo 120 del testo unico di cui al decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale»".
Al di là del rimando a una successiva delibera del CICR, di cui si dirà infra, la portata dispositiva della norma si racchiude in quanto articolato alla lettera a) e b), trattandosi di paletti invalicabili nella disciplina tecnica che potrà essere adottata in via secondaria.
Quanto al primo punto, il legislatore ha indicato come necessario che gli interessi, tanto debitori che creditori, siano conteggiati con la medesima periodicità; l'utilizzo del termine "conteggiati" allude inequivocabilmente a una mera operazione contabile, rivolta in sostanza a indicare con quale periodicità gli interessi debbano essere quantificati e, quindi, siano suscettibili di essere annotati in conto, con tutte le possibili conseguenze che ne discendono sotto il profilo della loro esigibilità (sia pure da parte del solo cliente della banca ex art. 1852 c.c.), anche in una prospettiva di mera compensazione fra interessi di segno opposto.
Alla lettera b) il legislatore ha, invece, voluto chiarire i limiti del conteggio indicato al punto precedente, precisando che gli interessi così conteggiati e, quindi, annotati in conto, se in tal modo vengono capitalizzati, ossia come si è detto sono suscettibili di essere pagati nei limiti sopra indicati, in ogni caso non possano produrre interessi ulteriori, che viceversa, vanno conteggiati solo sul capitale originario.
In sostanza la norma circoscrive la portata della capitalizzazione degli interessi periodicamente conteggiati, escludendo che tale operazione contabile possa consentire alcun prodotto anatocistico.
L'interpretazione esposta deve considerarsi vincolata non solo e non tanto in considerazione e alla luce dei dati ermeneutici desumibili dalla relazione parlamentare al disegno di legge (inequivocabilmente diretta a vietare in radice qualsiasi forma di anatocismo nei rapporti bancari), nonché dall'implicita rinnovata manifestazione di volontà del legislatore in tal senso, desumibile dalla scelta di non convertire in legge il D.L. 24.6.2014 n. 91, il quale aveva reintrodotto la legittimità dell'anatocismo bancario (sia pure imponendo una periodicità di capitalizzazione non inferiore all'anno); ma soprattutto tale interpretazione si impone in forza del dato letterale della norma, in quanto se è vero che il legislatore non ha esplicitato il significato attribuito al termine "capitalizzare", apparentemente utilizzato contraddittoriamente, altrettanto vero è che il dato normativo è lapidario là dove precisa che gli interessi non possano produrre ulteriori interessi, che viceversa vanno conteggiati solo sulla sorte capitale.
La norma, pertanto, non può che essere intesa come rivolta a vietare l'anatocismo nei rapporti bancari, di fatto introducendo in tale ambito una disciplina speciale più rigorosa della normativa ordinaria dettata dall'art. 1283 c.c. (con l'effetto che, se dal 2000 al 2013 la normativa speciale era rivolta ad ammettere nei rapporti bancari l'anatocismo in misura più ampia rispetto alla regola generale, oggi l'art. 1283 c.c. è derogato per i rapporti bancari in termini di maggior rigore, capovolgendo la disciplina previgente).
Si tratta, tuttavia, di verificare se tale innovazione legislativa sia effettivamente decorrente dall'1.1.2014 o, viceversa, necessiti per la sua operatività del successivo intervento di normazione tecnica secondaria ad opera del C.I.C.R., come sostenuto dalle banche resistenti.
A detta di queste ultime, supportate da parere espresso dalla stessa Banca d'Italia, il nuovo secondo comma dell'art. 120 TUB rimarrebbe sospensivamente condizionato all'intervento del C.I.C.R., in conformità al rimando effettuato nella parte introduttiva della norma.
La tesi non può essere condivisa, se solo si consideri che, una volta riconosciuto come l'articolo in esame vieti in toto l'anatocismo bancario, nessuna specificazione tecnica di carattere secondario potrebbe limitare la portata o disciplinare diversamente la decorrenza del divieto, pena diversamente opinando ammettere che una norma primaria possa in tutto o in parte o anche solo temporaneamente essere derogata da una disposizione secondaria ad essa sottoordinata.
Per ragioni sostanzialmente equivalenti non potrebbe neppure essere condivisa la tesi che vorrebbe rimetter al successivo intervento del C.I.C.R. la stessa interpretazione del nuovo secondo comma dell'art. 120 TUB, in quanto così facendo si vorrebbe attribuire a un organo del potere esecutivo il compito di attribuire significato a un atto legislativo, in palese violazione dei più elementari principi in materia di separazione dei poteri dello Stato.
Peraltro, il fatto che il legislatore del 2013 abbia rimesso al C.I.C.R. di stabilire "modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria" e non più "modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi", come previsto nel previgente secondo comma dell'art. 120 TUB, comunque consente uno spazio di manovra di una disciplina tecnica secondaria da parte del Comitato interministeriale, chiamato a specificare la disciplina sulla materia degli interessi in generale e non più sui soli interessi anatocistici, come si è visto ormai vietati.
Se, pertanto, si deve concludere come effettivamente dall'1.1.2014 non sia più consentita alcuna prassi anatocistica nei rapporti bancari, deve rilevarsi come la condotta serbata dai due istituti di credito resistenti, i quali pacificamente hanno continuato ad addebitare interessi anatocistici passivi anche dopo la novella, concreti quel comportamento contrario ai doveri di correttezza nei rapporti contrattuali che l'art. 2 lett. e) del c.d.c. annovera fra i diritti fondamentali dei consumatori e alla cui tutela sono legittimate le associazioni consumeristiche.
Per tali ragioni, pertanto, in totale riforma dell'ordinanza cautelare impugnata, deve essere accolta la domanda diretta a scongiurare che la prosecuzione della condotta lesiva posta in essere dalle due banche convenute possa protrarre il danno ingiusto arrecato agli interessi dei consumatori.
Misure adeguate per soddisfare l'esigenza di tutela espressa sono, quindi, innanzitutto l'ordine diretto a inibire ex art. 140 lett. a) del c.d.c. alla Banca Popolare di Milano e alla Deutsche Bank di dare corso a qualsiasi ulteriore forma di capitalizzazione degli interessi passivi con riferimento ai contratti di conto corrente già in essere o che verranno in futuro stipulati con consumatori e appartenenti alle tipologie individuate dalla ricorrente e che di seguito si indicano:
- Banca Popolare di Milano: "Conto Contante", "Conto Corrente Ordinario Consumatore", "Flexiconto", "Conto in euro per non residenti consumatori", "Conto Millenium", "Conto New Welcome", "Primo assoluto", "Rossonero per sempre", "Conto you do"; - Deutsche Bank: "Ordinario"; "db componi", "db componi online", "db online plus", "Private Club", "db Private Club", "db Private Club Promo 2", "db ContoPremio Zerocanone 2013 per i nuovi clienti", "db ContoPremio Piùlnvestimenti 2013 —per i nuovi clienti", "db ContoPremio —per titolari di altro conto corrente", "db Zero Canone 2013", "db PiùInvestimenti 2013", "Conto di base Deutsche Bank", "DB Perform", "db Saggetà", "db Sostegno ANITA", "db Private Banking", "db Private Banking new clients", "db Online B2e", "B2e db partner", "B2e db Performance", "B2e db Partner Studenti", "B2e db Solution New", "B2e db Privilegio", "db Privilegio Zuritel, "db Privilegio Inter", "db Privilegio FAI", "Conto Corrente Estero";
Vertendosi in ambiti commerciali in cui la pubblicità del provvedimento può senz'altro contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate, secondo quanto indicato dall'art. 140 lett. c) c.d.c., va ordinato alle resistenti di provvedere entro 15 giorni dalla pubblicazione del presente provvedimento a inserire sulla home page del rispettivo sito web avviso riportante il dispositivo della presente ordinanza; nonché di darne comunicazione nel medesimo termine a ciascun correntista consumatore con le stesse modalità contrattualmente pattuite per la trasmissione degli estratti conto.
Per le medesime finalità di cautela, infine, va ordinato alle resistenti di curare entro 30 giorni la pubblicazione a proprie spese in dimensioni non inferiori a mezza pagina del dispositivo dell'ordinanza sui quotidiani "Il Corriere della Sera", "La Repubblica" e "Il Sole 24 Ore".
Le esigenze cautelari sopra evidenziate, compatibili con un potenziale nocumento in termini economici circoscritti, quanto a ciascun cliente consumatore, non impongono la previsione di penali per il ritardo nell'ottemperanza alle prescrizioni impartite con la presente ordinanza, non risultando le stesse indispensabili al fine di assicurare la tutela alla quale la è preordinata l'ordinanza in parola.
Le spese del procedimento, compreso la fase di prime cure, seguono la soccombenza, con l'effetto che le odierne resistenti vanno condannata a rifondere in via tra di loro solidale la reclamante della somma complessiva di euro 6.440,00, oltre i.v.a. e c.p.a., di cui euro 840,00 per spese generali, quanto alla prima fase; euro 5.750,00, oltre i.v.a. e c.p.a., di cui euro 750,00 per spese generali, quanto alla presente fase di reclamo.
P.Q.M.
Il Tribunale in composizione collegiale, ogni diversa istanza disattesa:
- in accoglimento del reclamo proposto dall'Associazione Movimento Consumatori nei confronti della Banca Popolare di Milano s.c.a r.l. e della Deutsche Bank s.p.a. e in riforma dell'ordinanza cautelare pronunciata inter partes dal Tribunale di Milano in data 12.1.2015, inibisce alle resistenti Banca Popolare di Milano s.c.a r.l e alla Deutsche Bank s.p.a. di dare corso a qualsiasi ulteriore forma di anatocismo degli interessi passivi con riferimento ai contratti di conto corrente già in essere o che verranno in futuro stipulati con consumatori e appartenenti alle seguenti tipologie di conto:
- Banca Popolare di Milano: "Conto Contante", "Conto Corrente Ordinario Consumatore", "Flexiconto", "Conto in euro per non residenti consumatori", "Conto Millenium", "Conto New Welcome", "Primo assoluto", "Rossonero per sempre", "Conto you do"; - Deutsche Bank: "Ordinario"; "db componi", "db componi online", "db online plus", "Private Club", "db Private Club", "db Private Club Promo 2", "db ContoPremio Zerocanone 2013 per i nuovi clienti", "db ContoPremio Piùlnvestimenti 2013 —per i nuovi clienti", "db ContoPremio —per titolari di altro conto corrente", "db Zero Canone 2013", "db PiùInvestimenti 2013", "Conto di base Deutsche Bank", "DB Perform", "db Saggetà", "db Sostegno ANITA", "db Private Banking", "db Private - Banking new clients", "db Online B2e", "B2e db partner", "B2e db Performance", "B2e db Partner Studenti", "B2e db Solution New", "B2e db Privilegio", "db Privilegio Zuritel, "db Privilegio Inter", "db Privilegio FAI", "Conto Corrente Estero";
- ordina alle resistenti di provvedere entro 15 giorni dalla pubblicazione del presente provvedimento a inserire sulla home page del rispettivo sito web avviso riportante il dispositivo della presente ordinanza; nonché di darne comunicazione entro il medesimo termine a ciascun correntista consumatore con le stesse modalità contrattualmente pattuite per la trasmissione degli estratti conto;
- ordina alle resistenti di curare a proprie spese entro 30 giorni la pubblicazione in dimensioni non inferiori a mezza pagina del dispositivo dell'ordinanza sui quotidiani "Il Corriere della Sera", "La Repubblica" e "Il Sole 24 Ore";
- condanna le resistenti a rifondere in via tra di loro solidale la reclamante delle spese di lite, liquidate nella somma complessiva di euro 6.440,00, oltre i.v.a. e c.p.a., di cui euro 840,00 per spese generali, quanto alla prima fase; euro 5.750,00, oltre i.v.a. e c.p.a., di cui euro 750,00 per spese generali, quanto alla presente fase di reclamo.
Si comunichi.
Milano, 3 aprile 2015
Il giudice rel. Il Presidente
Francesco Ferrari Laura Cosentini


     Videocorso: Come difendersi dalle banche: le differenti vie percorribili per la gestione delle liti - I contenziosi in materia di contratti di conto corrente - La gestione delle cause di anatocismo e usura - Interessi ultralegali - Commissioni di massimo scoperto - Centrale dei rischi - Dichiarazione di nullità parziale del contratto di mutuo ed in particolare della clausola ove sono previsti interessi usurari. .....leggi tutto-->