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Responsabilità civile – Danno cagionato da cosa in custodia – Caso fortuito – Condotta del danneggiato

In tema di responsabilità per danno cagionato da cosa in custodia ex art. 2051 cod. civ., è nel rapporto causale tra cosa ed evento dannoso che occorre verificare l’esistenza del “caso fortuito”, quale fattore causale capace di per sé di elidere l’anzidetto nesso eziologico, interrompendone l’efficienza sua propria, ovvero di affiancarsi ad esso come ulteriore contributo utile nella produzione del danno. Al predetto caso fortuito deve ascriversi anche la condotta umana, consistente tanto in quella del soggetto estraneo al sinistro, quanto in quella dello stesso danneggiato (fattispecie concernente lesioni personali causate da una rovinosa caduta sulla scalinata di una chiesa).Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 3662 del 14/02/2013 (massima a cura della redazione di Foroeuropeo)

Corte di Cassazione Sez. 3, Sentenza n. 3662 del 14/02/2013

 

RITENUTO IN FATTO
1. - Nell’aprile 1995 An.Am. riportava lesioni personali a seguito della caduta sulla scalinata del Duomo di Napoli, ove si era recata per partecipare ad una cerimoniale nuziale; conveniva, dunque, in giudizio dinanzi al Tribunale di Napoli l’En.Ch.Ca.Ca. di Napoli, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti, personali e patrimoniali, sulla premessa che l’evento si era verificato a causa di un gradino “sbeccato”, che costituiva insidia o trabocchetto, così da risultare responsabile di esso il proprietario dell’edificio, per omessa manutenzione del manufatto o per mancata segnalazione del pericolo.
L’ente convenuto contestava la fondatezza della domanda, assumendo che il gradino “sbeccato” si trovava in una zona della scalinata che non aveva interessato il sinistro, giacché la Am., che calzava “scarpe da cerimonia con tacchi molto alti”, era caduta nella zona centrale della scalinata e a motivo della abbondante pioggia che l’aveva resa scivolosa.
Il Tribunale adito, con sentenza del luglio 2002, all’esito dell’istruzione della causa, accoglieva al domanda attorea e condannava l’En.Ch.Ca. di Napoli al pagamento in favore dell’Am. della somma di Euro 23.250,25, oltre interessi legali.
Avverso tale decisione interponeva gravame l’Ente Pa.S.Ma.As. al Duomo insistendo per il rigetto della domanda dell’Am., la quale a sua volta chiedeva la reiezione dell’appello.
2. - Con sentenza resa pubblica il 4 aprile 2006, la Corte di appello di Napoli accoglieva l’appello e rigettava la domanda dell’Am., compensando integralmente le spese del doppio grado di giudizio.
La Corte territoriale osservava, anzitutto, che l’attrice aveva allegato, con l’atto di citazione, di essere caduta a causa di un gradino “sbeccato”, senza indicare il punto della scalinata dove detto scalino si trovava, il quale però era localizzabile, in base ai fotogrammi prodotti dalla medesima Am., “sulla sinistra della scalinata per chi la percorreva verso la chiesa”; sicché, era da intendersi che la caduta fosse avvenuta sulla parte sinistra della scalinata. Tuttavia, a fronte delle contestazioni avversarie, l’attrice, con memoria ex art. 183 cod. proc. civ., modificava la propria versione, adducendo di essere caduta nella zona centrale della scalinata, “verso destra rispetto all’anzidetto punto di osservazione”; con le richieste istruttorie, la stessa Am. precisava “di essere caduta mentre discendeva la scalinata”.
Il giudice di appello evidenziava, poi, che i tre testi indotti dall’attrice (nuora, fratello e genero della medesima) avevano confermato che il sinistro, al quale avevano assistito da “qualche metro di distanza”, si era verificato “nella zona centrale della scalinata, leggermente a destra rispetto a chi sia rivolto verso la chiesa”, uno dichiarando che l’Am. percorreva in discesa la scalinata, gli altri due che la percorreva in salita; uno, avvicinandosi all’Am., aveva poi constatato che lo scalino su cui la stessa era caduta “era privo di una parte sul bordo”, l’altro di aver notato, “dalla sua posizione, che vi era un gradino rotto”, l’altro ancora di essersi avvicinato al luogo della caduta e di aver constatato che “alcuni gradini erano un po’ sbrecciati”. Peraltro, quanto al punto della caduta, coincidevano le testimonianze dei testi citati dalla parte convenuta.
Sicché, la Corte partenopea, sulla base delle acquisizioni istruttorie, escludeva, in dissenso da quanto invece ritenuto dal Tribunale, che il sinistro potesse sussumersi nell’ambito disciplinatorio di cui all’art. 2051 cod. civ., non potendo nella specie ravvisarsi un danno prodotto dall’azione della cosa, in quanto “la gradinata ha mantenuto un ruolo meramente passivo e le lesioni sono state solo l’effetto del violento impatto, contro la stessa, del corpo della Am.”. Peraltro, il giudice di appello osservava che, pur volendo dilatare la portata della citata norma “all’ipotesi in cui alla determinazione della perdita di equilibrio, e conseguente caduta, abbia contribuito un’anomalia della cosa”, di siffatta circostanza fattuale non vi era adeguato riscontro in base alle prove raccolte, posto che le deposizioni dei testi di parte attrice “non ingenerano affatto certezza”; inoltre, induceva a ritenere che la scalinata, nella zona centrale in cui si era verificato il sinistro, “si presentava integra” anche il fatto che la Am., “nell’intento di documentare l’anomalia”, aveva prodotto un fotogramma “che ritraeva un gradino della parte sinistra”.
In definitiva la Corte territoriale escludeva ogni “rapporto causale... tra la scalinata e la caduta”, ponendo altresì in rilievo la necessaria prudenza da prestare nella percorrenza di una scalinata, la agevole evitabilità, in ora diurna, dell’ostacolo rappresentato dalla lesione di un gradino in quanto “situazione perfettamente visibile”, sicché la verificazione del sinistro, “anche a voler ritenere che la lesione esistesse”, andava ascritta alla disattenzione della Am., quale comportamento “riconducibile al caso fortuito”, idoneo ad interrompere il rapporto di causalità ex art. 2051 cod. civ..
Infine, il giudice di secondo grado escludeva la sussistenza di una responsabilità del convenuto in base all’art. 2043 cod. civ., sia, in particolare, “perchè non è credibile che la scalinata presentasse un’anomalia nel punto del sinistro”, sia, in ogni caso, “perchè l’asserita situazione di pericolo, ove sussistente, era facilmente evitabile”.
3. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre An.Am. affidando le sorti dell’impugnazione a quattro motivi.
Resiste con controricorso l’En.Pa.S.Ma.As. al Duomo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - Con il primo mezzo, assistito da quesito di diritto, è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ..
Ci si duole che la Corte territoriale abbia escluso l’applicabilità dell’art. 2051 cod. civ. sostenendo la necessità che il danno sia prodotto “da un’azione della cosa” e che la gradinata, nella specie, abbia mantenuto “un ruolo passivo” e ciò nonostante che fosse comprovata una “situazione di scarsa manutenzione complessiva della scala e, in particolare, della presenza di gradini danneggiati”. Il giudice di appello non avrebbe, dunque, tenuto conto dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui permarrebbe il dovere di custodia e controllo anche in relazione a cose “prive di un dinamismo proprio”, le quali possono comunque “inserirsi in complesso causale, produttivo di danno”, come sarebbe avvenuto nella specie, là dove la scalinata ha rappresentato l’occasione di prodursi del danno a causa del suo scarso stato di manutenzione, con presenza di gradini danneggiati.
2. - Con il secondo mezzo, assistito da quesito ex art. 366 bis cod. proc. civ., è dedotta contraddittoria e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Sarebbe viziata la motivazione resa dalla Corte partenopea sulla ritenuta insussistenza di un rapporto causale tra la scalinata e la caduta di essa ricorrente, discostandosi dall’orientamento espresso dalla sentenza n. 6407 del 1987 di questa Corte, per cui il rapporto causale va relazionato alla cosa nella sua globalità (“la scala nel suo insieme, pur con i difetti specifici denunciati (gradini deteriorati)” e non necessariamente “alle singole parti di essa esponenziali di pericolo, perchè l’utilizzazione che dà occasione all’evento è riferibile, fino a prova contraria, a ogni parte della cosa comprese, necessariamente quelle propriamente pericolose”. In tal senso, era sufficiente accertare “se la caduta dell’Am. rientrasse fra gli eventi determinabili dalle condizioni specifiche della scala, senza pretendere la prova positiva che essa avvenisse precisamente da uno dei gradini deteriorati”; pertanto, non essendo in contestazione lo stato di scarsa manutenzione della scalinata, la responsabilità del custode avrebbe dovuto essere presunta e a questi sarebbe spettata la prova liberatoria del fortuito.
3. - Con il terzo mezzo, assistito da quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ., è prospettata contraddittoria e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (“illogica e contraddittoria valutazione della prova testimoniale raccolta in giudizio”).
Si censura la motivazione della sentenza impugnata là dove ha negato l’esistenza di un nesso eziologico tra evento lesivo e danno sulla base di “un’irrazionale ed insufficiente valutazione della prova testimoniale raccolta in giudizio”. La Corte territoriale non avrebbe considerato la prova emersa su un fatto decisivo e cioè “la caduta della Am. su un gradino danneggiato” ed avrebbe omesso di motivare “sull’accertamento negativo di tale fatto”, cancellando la credibilità dei testi di parte attrice (che avrebbero confermato l’anzidetto fatto), attribuendo “enorme, quanto illogico rilievo ad un fatto secondario della fattispecie, ovvero la direzione tenuta dall’Am. nel percorrere la scalinata”, peraltro tacendo sulla attendibilità dei testi di parte convenuta. Inoltre, l’affermazione sul fatto che nessuno dei testi anzidetti fosse in grado di poter individuare con esattezza il punto “in cui la Am. aveva posto il piede prima di perdere l’equilibrio” era irrilevante ai fini della dimostrazione sull’insussistenza del nesso eziologico, posto che dopo la caduta i medesimi testi avevano “potuto constatare la presenza di gradini rotti nella zona” del sinistro.
4. - Con il quarto mezzo, assistito da quesito di diritto, è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 cod. civ.
In presenza della provata “relazione causale tra evento dannoso e cosa” e del difetto di manutenzione della scalinata, nonché in assenza del caso fortuito, la Corte territoriale avrebbe “illogicamente ricondotto al comportamento della danneggiata la causa esclusiva dell’evento dannoso”, così da elidere la presunzione di responsabilità del custode. Invero, seppure si ritenesse che la caduta di essa ricorrente sia avvenuta per scarsa diligenza e disattenzione nel percorrere la scalinata, ciò sarebbe comunque irrilevante “nell’indagine sul rapporto di causalità tra la scala, nelle condizioni provate e documentate, e la caduta dell’istante”, mentre, al contrario, si sarebbe dovuto accertare se la caduta fosse “logicamente riconducibile fra le conseguenze adeguate alla situazione della scala, nell’ambito della utilizzazione della stessa”.
5. - Deve trovare prioritaria delibazione il quarto motivo di ricorso, che pone la questione della sussistenza, o meno, nella fattispecie, del caso fortuito ai sensi dell’art. 2051 cod. civ.
5.1. - A tal riguardo, occorre rammentare che la giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis: Cass., 5 dicembre 2008, n. 28811; Cass., 24 febbraio 2011, n. 4476) ha messo in rilievo che la responsabilità da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., ha natura oggettiva, nel senso che presuppone non la colpa del custode, ma la mera esistenza d’un nesso causale tra la cosa ed il danno. Essa, dunque, viene a configurarsi in relazione a tutti i danni cagionati dalla cosa, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi, con ciò evidenziandosi, però, che la natura della cosa e le modalità che ne connotano in concreto e normalmente la fruizione sono da tener presenti nell’eziologia dell’evento come scaturente dalla quella “determinata” cosa.
Sicché, seppure non occorra che la cosa si palesi di per sé pericolosa, non può, tuttavia, negarsi rilievo alle sue caratteristiche materiali ; e ciò non già nel senso che la verificazione dell’evento debba correlarsi al dinamismo proprio della cosa (così, tra le altre, Cass., 26 settembre 2006, n. 20825), ma al fine di apprezzare come il suo “modo di essere”, la sua oggettività sensibile, si atteggi ad elemento incidente nella valutazione del nesso eziologico.
E’, dunque, nel descritto rapporto causale tra cosa ed evento dannoso che occorre verificare l’esistenza del “caso fortuito”, quale fattore causale capace di per sé di elidere l’anzidetto nesso eziologico, interrompendone l’efficienza sua propria, ovvero di affiancarsi ad esso come ulteriore contributo utile nella produzione del danno. Ed è noto che al fortuito debba ascriversi anche la condotta umana, non solo quella del soggetto estraneo al sinistro, ma anche quella dello stesso danneggiato (ex plurimis, Cass., 20 novembre 2009, n. 24529; Cass., 7 aprile 2010, n. 8229; Cass., 19 maggio 2011, n. 11016).
Pertanto, è da prestare convinta adesione a quanto da questa Corte affermato (Cass., 19 febbraio 2008, n. 4279) in ordine all’adeguatezza del giudizio sull’autonoma idoneità causale del fattore esterno ed estraneo alla cosa rispetto alla natura e pericolosità di quest’ultima, “sicché quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno e ad escludere, pertanto, la responsabilità del custode”.
E in tale prospettiva deve leggersi il principio enunciato da Cass., 16 gennaio 2009, n. 993 - che assume una valenza paradigmatica rispetto al caso oggetto del presente scrutinio - secondo cui, “in tema di danno causato da cose in custodia, costituisce circostanza idonea ad interrompere il nesso causale e, di conseguenza, ad escludere la responsabilità del custode di cui all’art. 2051 cod. proc. civ., il fatto della vittima la quale, non prestando attenzione al proprio incedere, in un luogo normalmente illuminato, inciampi in una pedana (oggettivamente percepibile) destinata all’esposizione della merce all’interno di un esercizio commerciale, con successiva sua caduta, riconducendosi in tal caso la determinazione dell’evento dannoso ad una sua esclusiva condotta colposa configurante un idoneo caso fortuito escludente la suddetta responsabilità del custode”.
5.2. - Ciò premesso, la Corte territoriale ha escluso che sussistesse ogni “rapporto causale... tra la scalinata e la caduta”, mettendo non solo in risalto, a fronte della necessaria prudenza da prestare nell’accingersi alla percorrenza di una scalinata, la agevole evitabilità, in ora diurna, dell’ostacolo rappresentato dalla lesione di un gradino in quanto “situazione perfettamente visibile”, con la conseguenza che, sia pur riconosciuta la presenza di un gradino lesionato, la verificazione del sinistro era da ascrivere alla disattenzione della Am., quale comportamento “riconducibile al caso fortuito”, idoneo ad interrompere il rapporto di causalità ex art. 2051 cod. civ.
Siffatta valutazione si sottrae, quindi, alle censure mosse dalla ricorrente, giacché essa, lungi dall’essere viziata da aporie o illogicità, nell’ascrivere assorbente incidenza causale alla condotta del danneggiante - esplicatesi secondo le modalità e nel contesto sopra descritti, che palesava la piena percepibilità dell’anomalia della cosa nella sua specifica oggettività - viene a conformarsi ai principi di diritto innanzi evidenziati.
6. - La conferma della ratio decidendi della sentenza della Corte di appello di Napoli che ha escluso, nella specie, la responsabilità del custode ex art. 2051 cod. civ. per essersi l’evento dannoso determinato in ragione del “caso fortuito” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure (veicolate con i motivi dal primo al terzo) relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività di quella anzidetta, idonea da sola a sorreggere la decisione impugnata, alla cassazione della decisione medesima (tra le molte, Cass., 14 febbraio 2012, n. 2108).
7. - Il ricorso va, quindi, rigettato e la ricorrente, in quanto soccombente, condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna An.Am. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.100,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.