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Riciclaggio di un'auto di provenienza furtiva - delitto di ricettazione

23 Gennaio 2010 - Riciclaggio di un'auto di provenienza furtiva - delitto di ricettazione riciclaggio di un'auto di provenienza furtiva - delitto di ricettazione - Condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La palese inconsistenza delle ragioni di gravame qualifica di avventatezza la scelta di proporre impugnazione e giustifica la sanzione che l'articolo 616 c.p.p., (come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza 186/2000) connette al caso di ricorso connotato da colpa Corte di Cassazione Sezione 2 Penale Sentenza del 22 dicembre 2009, n. 49212

Riciclaggio di un'auto di provenienza furtiva - delitto di ricettazione - Condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La palese inconsistenza delle ragioni di gravame qualifica di avventatezza la scelta di proporre impugnazione e giustifica la sanzione che l'articolo 616 c.p.p., (come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza 186/2000) connette al caso di ricorso connotato da colpa Corte di Cassazione Sezione 2 Penale Sentenza del 22 dicembre 2009, n. 49212

Corte di Cassazione Sezione 2 Penale Sentenza del 22 dicembre 2009, n. 49212

IL FATTO ED I MOTIVI DEL RICORSO PER CASSAZIONE

La Corte di appello di Lecce, con sentenza 28 novembre 2007, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilita' di Ma. Ma. pronunciata dal Tribunale di Brindisi in ordine ad una imputazione di riciclaggio di un'auto di provenienza furtiva. Secondo i giudici di merito, i carabinieri avevano casualmente interrotto una attivita' di contraffazione del numero di telaio del veicolo oggetto di furto e di sostituzione delle targhe di questo con quelle di un'altra vettura appartenente all'imputato.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore. Nell'atto di gravame si addebita alla pronuncia impugnata la mancanza o manifesta illogicita' della motivazione. Si assume che la Corte di appello non ha adeguatamente tenuto conto degli argomenti svolti con le doglianze d'appello. Si aggiunge che nei fatti avrebbe dovuto essere ravvisato, nella peggiore delle ipotesi, il delitto di ricettazione e non gia' quello contestato.

I MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso e' mera ripetizione, in versione sintetica, dell'appello a suo tempo proposto dal difensore dell'imputato. Nessun nuovo elemento di critica e' stato proposto, rispetto ai motivi nei quali era articolata la prima impugnazione, salva l'affermazione per cui il giudice del secondo grado del giudizio non avrebbe preso in esame tutte le doglianze proposte al suo esame.

L'affermazione e' rimasta priva di qualsivoglia argomentazione, mentre la semplice lettura della decisione impugnata evidenzia la completezza della motivazione e l'esaustivita' dei rilievi svolti nella pronuncia, anche in relazione alle osservazioni che costituivano l'oggetto del gravame.

Il Ma. fu, sostanzialmente, sorpreso nella fragranza di una condotta di camuffamento degli elementi di riconoscibilita' di una vettura provento di furto. L'auto aveva un numero di telaio contraffatto ed ancora evidenti erano le tracce di limatura del numero originale. Il garage nel quale la stessa fa trovata era attrezzato con utensili da meccanico, ritenuti pienamente idonei alle attivita' di "taroccamento". Le targhe collocate sull'auto suddetta appartenevano ad un'altra vettura, di proprieta' del medesimo imputato e nessun altro, se non lui, poteva avere effettuato il cambio. Egli cerco' di allontanarsi precipitosamente dal locale, di sua pertinenza, nel quale era custodito il detto veicolo rubato, allorche' la polizia intervenne ad interrompere quei lavori su di esso che avevano disturbato i vicini per il loro rumore; e fu visto tentare di rifugiarsi in casa ancora sporco di olio e di grasso. Il fatto che con lui si trovasse altra persona, indicato dal difensore come un dato di una qualche rilevanza, coinvolgeva nella vicenda quest'ultima ma non poteva condurre ad ignorare i precisi elementi che collegavano direttamente l'imputato, in qualita' di detentore e di autore delle trasformazioni, nel proprio interesse (le targhe ed il libretto con i quali il veicolo avrebbe dovuto circolare gli appartenevano), alla vettura di provenienza furtiva. A fronte di questi dati oggettivi, con il ricorso si torna a menzionare circostanze di dettaglio di nessuna rilevanza (il garage attiguo all'abitazione non era di proprieta' ma era in affitto; l'imputato non pose in atto condotte di resistenza a danno degli agenti di polizia, e simili) e che entrambi i giudici di merito hanno gia' dichiarato prive di qualunque forza probatoria relativamente alla natura dell'addebito.

Reputa, dunque, la Corte che i giudici del merito abbiano correttamente considerato le risultanze probatorie e da esse abbiano tratto un convincimento rispondente a logica e ad aderenza agli elementi di fatto. Ne' l'imputato ha mai indicato una sua versione alternativa, che possa fornire una spiegazione idonea a privare di connotati di sospetto e di accusa una situazione che positivamente lo descrive come autore di un episodio di riciclaggio, in corso di consumazione. Le valutazioni che in questo senso hanno compiuto i primi giudici non prestano il fianco ad addebiti di incongruita' e di discontinuita' nel tessuto argomentativo che possano essere colte in modo manifesto dagli atti. Ed e' noto che, per costante indirizzo interpretativo della Suprema Corte, il vizio motivazionale deducibile nel giudizio di legittimita' e' soltanto quello che consiste nel difetto della motivazione, nella sua mera apparenza o nella sua solare illogicita'. L'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), si e' affermato, non consente alla Corte una diversa lettura dei dati processuali od una diversa valutazione delle prove, perche' e' estraneo al giudizio suddetto il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori (Cass. sez. 5, 6 maggio 2009, n. 22122). La valutazione degli elementi di fatto e' riservata in via esclusiva al giudizio di merito ed anche la semplice prospettazione, da parte del ricorrente (ove vi sia), di un diverso apprezzamento delle prove non rappresenta un vizio di legittimita': nel momento del controllo della motivazione, la Corte non puo' stabilire se la decisione del giudice del merito propone la miglior ricostruzione dei fatti, ne' deve condividerne la giustificazione, essendogli consentito il solo controllo della logicita' della motivazione (Cass. sez. 4, 1 dicembre 2004, n. 465, Di Lonardo). In proposito si e' anche precisato che: "... una volta che il giudice di merito abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si prestavano ad una diversa lettura o interpretazione, ancorche' munite, in tesi, di eguale crisma di logicita'. A cio' dovendosi aggiungere che l'illogicita' della motivazione, censurabile a norma dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), e' quella evidente, cioe' di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, senza possibilita' di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.

Il sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimita', non e' quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito in ordine alla affidabilita' delle fonti di prova, bensi' di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano correttamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre" (Cass. sez. 4, 12 giugno 2008, n. 35318). Pur dopo la modifica del citato articolo 606 c.p.p., nel senso di consentire la censurabilita' di vizi di motivazione risultanti da specifici atti processuali, il giudizio di legittimita', non trasformato in un terzo grado di giudizio di merito, e' rimasto limitato alla verifica di eventuali vizi di mancanza, illogicita' e contraddittorieta' della motivazione della sentenza impugnata (Cass. sez. 6, 13 marzo 2009, n. 26149).

Nessun difetto di questo genere e' ravvisabile nella diligente pronuncia della Corte territoriale, che ha riassunto i temi del processo e che ha dato completa risposta ai rilievi dell'appellante.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. La dichiarazione di inammissibilita' comporta, ex lege, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La palese inconsistenza delle ragioni di gravame qualifica di avventatezza la scelta di proporre impugnazione e giustifica la sanzione che l'articolo 616 c.p.p., (come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza 186/2000) connette al caso di ricorso connotato da colpa. Il ricorrente e' condannato a versare alla cassa delle ammende una somma il cui ammontare si stima, equitativamente, di quantificare nella misura, media rispetto al consentito, di mille euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro mille alla cassa delle ammende.