Skip to main content

Condanna per tentata concussione -  sospensione dalla carica elettiva di consigliere comunale

Condanna per tentata concussione -  sospensione dalla carica elettiva di consigliere comunale - (Corte di Cassazione   – sentenza n. 1990 dell'11 febbraio 2002,  )

Svolgimento del processo

Alvaro Cxxxxxxxxx, nel corso delle elezioni del sindaco e consiglio comunale di Pordenone, svoltesi nel maggio 2001, risultava eletto quale consigliere comunale ed assumeva la carica. Con nota del 20 luglio 2001, il prefetto di Pordenone, ai sensi dell’articolo 59 decreto legge 267/00, comunicava al Comune di Pordenone che la Corte d’appello sezione penale di Trieste, con sentenza resa il 25 settembre-6 dicembre 2000, aveva riconosciuto il Cxxxxxxxxx colpevole del delitto di cui agli articoli 56 e 317 Cp. Per tanto, continuava la nota prefettizia, s’era verificata l’ipotesi di sospensione di diritto dalla carica elettiva di consigliere comunale del Cxxxxxxxxx. In data 18 agosto 2001, si riuniva il Consiglio comunale di Pordenone, che, preso atto della nota del prefetto, provvedeva a surrogare il consigliere comunale sospeso. In data 11 agosto 2001, il Cxxxxxxxxx proponeva ricorso, ai sensi della speciale disciplina portata dal Dpr 570/60, rilevando che il prefetto, essendo la competenza propria dell’assessore regionale, non era legittimato ad emettere provvedimento di sospensione del consigliere comunale, e che non ricorrevano gli estremi di legge della sospensione, prevista dall’articolo 59 decreto legge 267/00, la quale non ricomprendeva anche i delitti tentati, commessi dai pubblici uffici, bensì solo quelli consumati. Resisteva, ritualmente, il Prefetto di Pordenone, contestando d’aver emesso il denunciato provvedimento di sospensione, ma d’essersi limitato a comunicare al comune l’esistenza della sentenza di condanna, emessa a carico del Cxxxxxxxxx, e con relazione alle censure portate nel ricorso introduttivo rilevava la loro infondatezza. Si costituiva, pure, il Comune di Pordenone per evidenziare d’aver adottato la delibera di surroga del consigliere Cxxxxxxxxx, in quanto il prefetto aveva inviato la nota del 20 luglio 2001, segnalando che ricorreva l’ipotesi di sospensione ex articolo 59 decreto legge 267/00. Non si costituiva la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia ed all’udienza del 25 ottobre 2001, su istanza del Cxxxxxxxxx, era disposta l’integrazione del contraddittorio con la chiamata di Ezio Pasut, consigliere comunale nominato in surroga del Cxxxxxxxxx. Quindi, il tribunale procedeva a decidere la questione, accogliendo la domanda del Cxxxxxxxxx. Osservava il tribunale che, ai sensi dello statuto d’autonomia della Regione Friuli Venezia Giulia, l’organo legittimato ad emettere il provvedimento di sospensione del consigliere comunale era l’assessore regionale delle autonomie locali non già il prefetto, per cui annullava il provvedimento di sospensione, così qualificando la nota del 20 luglio 2001 del prefetto e la delibera del consiglio comunale di surroga. La Corte di appello di Trieste, con sentenza del 28 gennaio 2002, respingendo il gravame proposto dal prefetto e dal Ministro dell’interno, concordava con il primo giudice sulla competenza della regione, e non del prefetto, ad adottare il provvedimento di sospensione (come, a sua volta, riteneva doversi qualificare quello adottato dal prefetto), ma negava carattere decisivo a tale circostanza, sul rilievo che «il giudice ordinario, in tema elettorale, conosce i diritti soggettivi e non già della mera regolarità degli atti e procedimenti amministrativi e deve pronunciare affermando o negando l’esistenza del diritto alla bade dell’azione e non limitarsi a pronunciare l’annullamento di atti amministrativi, che deve conseguire come effetto di disapplicazione dell’affermazione del diritto leso». Esaminando, quindi, nel merito, la questione sulla sussistenza o meno, nella specie, d’una ragione automatica di sospensione dalla carica elettiva ai sensi dell’articolo 59 Dpr 267/00, quel collegio la risolveva, poi, in senso negativo, per essere la sospensione da detta norma ricollegata al solo reato di concussione consumata e non anche a quello di concussione tentata, quale addebitato all’eletto. Da qui l’ulteriore odierno ricorso per cassazione del prefetto e del ministero, al quale resiste il Cxxxxxxxxx con controricorso.

Motivi della decisione

1. Il primo dei due motivi, in cui si articola il ricorso, con il quale si critica «l’asserito difetto di competenza del prefetto» - è inammissibile per difetto di decisività della statuizione censurata e conseguente carenza di interesse alla correlativa impugnazione. La corte territoriale ha correttamente, infatti, definito, in premessa, l’oggetto, proprio ed esclusivo, della proposta azione elettorale, individuando – non già nell’accertamento di (eventuale) invalidità dell’atto amministrativo di sospensione dell’eletto (conseguente semmai, in via meramente incidentale, per effetto di disapplicazione, dall’affermazione del diritto alla permanenza nella carica elettiva) – bensì (trattandosi di controversia in materia di diritti soggettivi, per tale ragione riservata alla cognizione del giudice ordinario) nell’accertamento della effettiva sussistenza o meno della causa di sospensione automatica di cui all’articolo 59 Testo unico 267/00, invocata dall’attore. E, solo “ad abundantiam” e per completezza espositiva, quel collegio ha, quindi, esaminato – non senza espressamente ribadirne il difetto di carattere decisorio – la «questione sulla competenza al provvedimento di sospensione».Ora, a tal riguardo (al riguardo, cioè, della così sottolineata ultroneità della riferita questione di competenza), nessuna censura (neppure indiretta o implicita) ha formulato la difesa delle amministrazioni ricorrenti; per cui, appunto, esse non possono ora pretendere di sindacare per cassazione una statuizione incontestatamente priva di rilevanza al fine del decidere e farla oggetto di doglianze non idonee, per definizione, a condurre, ove pur (in tesi) accolte, alla educazione della sentenza impugnata o di alcun suo segmento decisorio.

2. Residua, dunque, l’esame del (solo) secondo mezzo del ricorso, con il quale viene (per la prima volta, per altro) posto, a questa Corte di legittimità, il quesito se sia riferibile, o non, anche al reato di concussione tentata la causa di “sospensione” (cautelare) di diritto dalla carica elettiva prevista dal vigente articolo 59 Tll 267/00 nei confronti di «coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti di cui agli articoli 327 (concussione) Cp».

A tal quesito la Corte del merito ha dato risposta negativa sul rilievo assorbente che il tentativo di concussione, in quanto reato autonomo non può essere assimilato al (corrispondente) delitto consumato, che è il solo previsto dall’articolo 59 citato come causa di sospensione dell’eletto. E questa conclusione viene ora, appunto, censurata dai ricorrenti prefetto e ministro, sotto il duplice profilo del vizio di motivazione ex articolo 360 numero 5 Cpc (privo, però, come tale, di autonomo rilievo ove rivolto, come nella specie, a revocare in dubbio la soluzione non di una quaestio facti, ma di una quaestio iuris) e del vizio di violazione del predetto articolo 59 Tul 267/00: sul qual quindi converge e si esaurisce il contenuto del mezzo impugnatorio in esame.

2.1. In punto di esegesi della norma richiamata, la tesi dei ricorrenti fa leva sulla «equiparazione, ai fini della sospensione, dei delitti tentati e consumati» a suo avviso rinvenibile nel testo dell’articolo 15 della legge 55/1990 come modificato dalla legge 16/1992 e sulla (ritenuta) “trasfusione” di quella disposizione nel corpo dell’articolo 59 in parola. E trae, altresì, argomento dalla sentenza del giudice della legge, 288/93, che, con riferimento proprio alla normativa del ’92, ha ritenuto immune da vizi di costituzionalità quella “equiparazione”, agli effetti indicati, tra delitti consumati e tentati, in quanto «rientra nell’ambito della discrezionalità e valutazione di politica criminale del legislatore».

2.2. La ricostruzione del quadro normativo di riferimento prospettata dai ricorrenti non può però condividersi, perché essa arbitrariamente espunge, dal novero dei provvedimenti legislativi succedutisi in tema di sospensione (o decadenza) di diritto da cariche elettive, la legge 475/99, che viceversa si interpone tra le disposizioni della legge 26/1992 e quelle del Testo unico 267/00, nel contesto complessivo di una sequenza evolutiva della disciplina della materia, che è opportuno, sia pur sinteticamente, riassumere, per meglio seguire il filo delle opzioni progressivamente maturate dal legislatore.

L’istituto della sospensione cosiddetta automatica o vincolata dagli amministratori locali dalla carica trova, dunque, la sua prima fonte regolatrice nel già citato articolo 15 della legge 55/1990: che, nell’iniziale sua formulazione, al primo comma, prevedeva, appunto, siffatta sospensione, limitatamente agli amministratori «sottoposti a procedimento penale per il delitto di associazione di tipo mafioso (416bis) od a misura di prevenzione di ci al secondo comma». Questa originaria impostazione venne poi in prosieguo innovata ed emendata dalla successiva legge 16/1992. Il cui articolo 16 sancì la “incandidabilità”, oltre che per i soggetti condannati in via non definitiva per delitti associativi di mafia «ed altre ipotesi connesse al traffico di armi e di stupefacenti» (lettera a) nei confronti altresì, dei soggetti condannati per i delitti di peculato, malversazione, concussione, corruzione lettera b) articolo 15, nuovo testo), nonché per quelli condannati per i delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione ed un servizio diversi da quelli indicati nella lettera b) (lettera c) articolo 15 numero 1, come modificato dall’articolo 16 legge 16/1992). Per cui effettivamente così si realizzava, agli effetti della incandidabilità, quell’equiparazione (cui fa riferimento la difesa delle ricorrenti amministrazioni) fra delitti consumati di concussione ecc. (quali ritenuti quelli sub lettera b) perché richiamati senza ulteriori specificazioni) e quelli (“diversi”, e cioè) tentati (corrispondenti alle rispettive ipotesi di delitti, consumati, contro la pubblica amministrazione), per effetto della “norma di chiusura” sub lettera c) del nuovo articolo 15 numero 1 legge 55/1990 (cfr. Cassazione penale 26 gennaio 1976, per argomentum). Equiparazione rilevante, ex comma 4bis del medesimo articolo 15, anche ai fini (per quel che più direttamente ne interessa) della immediata “sospensione” (ivi appunto ricollegata alla sopravvenienza di alcuna delle condizioni indicate nei commi precedenti).

La materia è stata, per altro, come già detto, ulteriormente rielaborata dalla successiva legge 475/99. La quale per un verso, ha subordinato l’ineleggibilità ad una condanna definitiva (per tal profilo recependo le indicazioni di Corte costituzionale 141/86) e, per altro verso, con riguardo alla sospensione cautelare, ne ha previsto l’automatica operatività con rinvio (non già generico a tutte le ipotesi sub articolo 15 bensì) alle (sole) ipotesi di cui alle lettere a) e b) (senza quindi richiamare la “norma di chiusura” sub lettera c) articolo citato). È quindi da ultimo sopravvenuto il Testo unico 267/00, che non ha ripristinato la più ampia previsione della legge 16/1992 (come presupposto dai ricorrenti) ma ha invece, ripreso la legge 475/99 (appunto) nella sua testuale formulazione. Risultando, per altro, in detto ultimo corpo normativo, bensì richiamata anche la disposizione di cui all’articolo 15 numero 1 lettera c) legge 55/1990 (e successive modificazioni) ma solo nel quadro delle cause ostative alla candidatura in presenza di condanna definitiva.

2.3. Avendo dunque riguardo al ripercorso iter evolutivo della disciplina della materia, emerge, già dal solo dato testuale, dello sganciamento dell’istituto sospensione delle ipotesi sub lettera c) articolo 15 citato (dato, questo non flessibile per estensione, né ampliabile per analogia, stante il carattere di “stretta interpretazione” delle norme limitative del diritto di elettorato, avente coperture nell’articolo 51 della Costituzione), come la sospensione di diritto non possa ora più riconnettersi anche alle ipotesi (minori) di delitto tentato, come precedentemente autorizzato nel vigore della normativa del 1992. Ciò trova del resto ulteriore conferma nel fatto (sintomatico) che la citata legge 16/1992 non rientra, tra quelle di cui doveva tener conto il legislatore delegato a termini dell’articolo 31 della legge di delega; nel notorio mutamento, altresì, del quadro politico, caratterizzato dal superamento del clima di emergenza dei primi anni 90 e da una conseguente attenuazione delle esigenze cautelari (di cui evidentemente ha tenuto conto il legislatore delegante). Ed è contestato, infine, dalla considerazione che di fatto, nel sistema del vigente Testo unico, la rottura del nesso di coincidenza tra cause ostative alla candidatura (5) e quelle di sospensione (3) in materia di delitti commessi dai pubblici uffici (per i quali costituisce ora, infatti, causa solo ostativa, ma non anche di sospensione cautelare, la condanna di peculato d’uso, sub comma 2 articolo 314 Cp o per delitto commesso con abuso di violazione di poteri o doveri correlati a pubblica funzione evidenzia come la misura della sospensione sia ex lege ora correlata non alla sola tipologia di condotta criminosa, ma anche agli effetti (di maggiore offensività in concreto) della stessa. Per cui, conclusivamente, corretta, alla luce anche di tutte le indicazioni che precedono risulta l’esegesi della vigente normativa di riferimento presupposta dalla Corte di merito – che questo collegio dunque condivide – nel senso della rilevanza, nel quadro normativo attuale, della condanna per delitti tentati (e non consumati) contro la pubblica amministrazione ai soli fini della “decadenza” e non anche della “sospensione cautelare” dalla carica elettiva. Mentre nessun rilievo , ostativo alla conclusione così raggiunta, può trarsi dalla sentenza costituzionale, richiamata dai ricorrenti, 141/96, poiché la “discrezionalità” ivi riconosciuta al legislatore in tema di equiparazione (quale operata nel sistema normativo previdente, ex legge 16/1992) tra delitti tentati e delitti consumati (contro la pubblica amministrazione), agli effetti della sospensione dalla carica di amministratore comunale, non comporta, all’evidenza, l’illegittimità di una opzione di segno opposto, maturata in un diverso quadro normativo di riferimento.

3. Anche per tal parte la sentenza impugnata resiste, quindi a critica.

4. Il ricorso va, pertanto, integralmente respinto.

5. Sussistono giusti motivi, anche in considerazione della novità della questione di principio esaminata, per compensare tra le parti le spese del giudizio di Cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.