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Violenza e minaccia - Pronto soccorso - Medico obbligato ad intervenire e a non rispettare il turno

Violenza e minaccia - Pronto soccorso - Medico obbligato ad intervenire e a non rispettare il turno

Penale e Procedura - Violenza e minaccia - Pronto soccorso - Medico obbligato ad intervenire e a non rispettare il turno (Cassazione – Sezione sesta penale (up) – sentenza 4 maggio-9 giugno 2004, n. 26090)

Osserva

Sull’appello proposto da Hxxxxxxx Rodolfo avverso la sentenza del Tribunale di Udine del 28 febbraio 2000, con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, dichiarato colpevole del reato di cui all’articolo 336 Cp per violenza e minaccia al medico di guardia dell’Ospedale civile di Udine per costringerlo ad avere cura del proprio figlioletto, ustionatosi ad un braccio, trascurando gli altri pazienti, nonché del reato di cui all’articolo 651 Cp, per rifiuto di consegnare i propri documenti di identità e, comunque, di declinare le proprie generalità, era stato condannato, concesse le attenuanti generiche, alla pena di mesi due e giorni 20 di reclusione per il delitto e lire 100.000 di multa per la contravvenzione, la Corte di appello di Trieste, con sentenza del 19 gennaio 2004, qualificato il delitto ex articolo 336 comma 2 Cp, rideterminava la pena in mesi uno e giorni dieci di reclusione e dichiarava non doversi procedere in ordine alla contravvenzione perché estinta per prescrizione, denegando l’invocata derubricazione del delitto di violenza e minaccia pubblico ufficiale in quello di oltraggio a pubblico ufficiale ex articolo 341 Cp, ormai abrogato e la concessione dell’attenuante di cui all’articolo 62 n. 1 Cp.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, deducendo, a motivi del gravame:

1. erronea applicazione della legge penale in violazione dell’articolo 606 lettera b) Cpp in relazione all’articolo 336 Cp, con riferimento all’articolo 341 Cp, posto che, avuto riguardo alla concreta ricostruzione dei fatti, per contro travisati dai giudici della Corte di appello, avrebbe dovuto ravvisarsi l’ipotedi di cui all’articolo 341 Cp, perché l’azione era intesa soltanto ad offendere, con atteggiamenti di violenza, minaccia e disprezzo, il pubblico ufficiale che lo aveva invitato alla calma e ad attendere il suo turno per le cure del bambino, con la conseguente declaratoria di non dover procedere, qualificato il fatto come minaccia e ingiuria, a seguito dell’elaborazione del delitto di oltraggio, per mancanza di querela;

2. erronea applicazione della legge penale in violazione dell’articolo 606 lettera b) Cpp, in relazione all’articolo 62 n. 1 Cp, ricorrendo i presupposti per detta attenuante in relazione al valore morale e sociale che caratterizza la condotta di un padre per il proprio figlio.

Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi addotti.

Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma equitativamente determinata, in ragione dei motivi addotti, nella misura di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.

Ed invero, come esattamente ha rilevato il giudice di appello, fornendone corretta ed esaustiva motivazione (cfr. fol. 4 sentenza impugnata), l’azione posta in essere dall’imputato, avuto riguardo alle modalità e finalità di essa, non era certamente diretta ad esclusivi fini oltraggiosi della persona del sanitario, bensì ad ottenere da costui l’immediata assistenza del figlio, trascurando il turno di attesa rispetto agli altri pazienti. Tale condotta, quindi, va intesa quale fatto idoneo a rappresentare, attraverso violenza e minaccia (i cui caratteri sono chiaramente sussumibili dal tenore della contestazione) un quid condizionante la libera determinazione del pubblico ufficiale, con una chiara valenza di costrittività, ancorché detta azione si sia manifestata anche attraverso espressioni marcatamente offensive dell’onore e prestigio del pubblico ufficiale.

In siffatta ipotesi, dunque, l’invocata fattispecie di cui all’articolo 341 Cp, in atto abrogata, non può valere a sussumere qui caratteri tipicizzanti l’autonomia rappresentativa di una condotta, attraverso la quale è palese la finalità illecitamente costrittiva della libera determinazione del pubblico ufficiale da parte dell’agente che caratterizza la fattispecie di cui all’articolo 336 Cp.

Parimenti va ritenuta manifestamente infondata anche la richiesta di cui al motivo sub 2).

A prescindere, infatti, dalla corretta e motivata risposta offerta sul punto dai giudici della Corte territoriale triestina, giova ribadire il principio di diritto, ripetutamente espresso da questa Corte di legittimità, secondo cui, per la configurabilità della attenuante di cui all’articolo 62 n. 1 Cp, non è sufficiente che il movente della condotta criminosa abbia rilevanza sotto l’aspetto umano, ma è necessario che l’agente abbia operato per realizzare finalità altamente nobili ed altruistiche, particolarmente avvertite ed apprezzate dalla collettività.

Ne deriva che l’intento di provvedere alle necessità curative di un familiare, attraverso un sollecitato e veemente intervento di pressione sui sanitari a tanto competenti, trova pur sempre la sua ragione precipua in un sentimento esclusivamente personale ed utilitaristico, benché eticamente apprezzabile, ma è privo di quella immediata risonanza nella coscienza civile – in senso collettivo ed oggettivo – che sta alla base della attenuante in parola. A tale principio risulta essersi motivatamente e correttamente uniformata la decisione della Corte territoriale triestina, nel diniego di concessione dell’invocata attenuante.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 in favore della Cassa delle ammende.