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Separazione e divorzio: il problema della opponibilita' ai terzi

Separazione e divorzio: il problema della opponibilita' ai terzi del provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale a cura di Giuseppe Bordolli"

SEPARAZIONE E DIVORZIO: IL PROBLEMA DELL'OPPONIBILITÀ AI TERZI ACQUIRENTI DEL PROVVEDIMENTO GIUDIZIALE DI ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE a cura di Giuseppe Bordolli

Nell'ambito del diritto di famiglia il problema dell'opponibilità ai terzi acquirenti della casa familiare, di proprietà di un coniuge, del provvedimento di assegnazione all'altro coniuge, emesso nel giudizio di separazione e divorzio, ha sempre avuto una collocazione centrale.

La questione è rilevante perché implica, da un lato l'esigenza di garantire l’effettività del godimento dell’assegnatario, conferendo attuazione concreta al provvedimento dell’attribuzione dell’alloggio e, dall’altro lato la necessità di tutelare il diritto acquistato dal terzo ed il suo affidamento, nonché il principio della libera circolazione dei beni.

Per contemperare le esigenze di cui sopra il legislatore ha dettato una specifica norma, l'art.6, comma 6 della legge sul divorzio, nel testo sostituito dall'art.11 della legge 6 marzo 1987, n.74, secondo la quale «l’assegnazione (della casa coniugale), in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’articolo 1599 c.c.». Tale disposizione, a causa del convulso andamento delle fasi finali dell'approvazione della legge 74/87, è stata formulata in termini ambigui e contraddittori;. di conseguenza non ha raggiunto gli obiettivi che il legislatore si prefiggeva, generando invece un conflitto giurisprudenziale che ha richiesto un intervento chiarificatore delle Sezioni unite della Cassazione.

Al fine di chiarire i problemi interpretativi sorti in relazione all'art.6 della legge sul divorzio, nella formulazione introdotta con l'art.11 della legge 6 marzo 1987, n.74, sembra utile esaminare l’evolversi della disciplina dell’assegnazione della casa familiare, nel suo svolgersi parallelo nell’ambito della separazione e del divorzio, sia sotto il profilo della sua ammissibilità sia sotto quello del suo regime nei confronti dei terzi.

L'EVOLUZIONE DELLA DISCIPLINA DELL'ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE

Il testo originario degli articoli 155 e 156 c.c. non prevedeva, tra i provvedimenti da adottare a tutela del coniuge e della prole, l’assegnazione della casa familiare.

Per effetto della legge del 19 maggio 1975 n.151 (Riforma del diritto di famiglia), però, è stato introdotto, al quarto comma dell’articolo 155 c.c., il principio secondo il quale «l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e, ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli», senza tuttavia affrontare la questione della opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione.

Un’analoga previsione non era, peraltro, contenuta nella legge sul divorzio 898/70, che al terzo comma dell’articolo 6 si limitava a disporre che «l’affidamento e i provvedimenti riguardanti i figli avranno come esclusivo riferimento l’interesse morale e materiale degli stessi».

Per ovviare a tale inconveniente la legge 6 marzo 1987, n.74 con la disposizione dell’articolo 11, sostitutiva del comma 6 dell’articolo 6 della legge 898/70, non solo estese al caso di divorzio l’assegnabilità della casa coniugale – così risolvendo definitivamente la controversa questione della applicabilità dell’articolo 155 comma 4 c.c. allo scioglimento del matrimonio, ma dettò anche uno strumento di tutela a favore dell'assegnatario stesso nell'ipotesi di alienazione a terzi dell’immobile da parte dell’altro coniuge proprietario, disponendo, come già detto, che detta assegnazione, «in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’articolo 1599 c.c.».

Tuttavia, le resistenze della Cassazione ad estendere alla separazione personale il sopra riferito regime di opponibilità, espressamente disposto con riferimento al divorzio, ha determinato un intervento della Corte Costituzionale, che con la nota pronuncia 454/89, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 155 comma 4 c.c. nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento di assegnazione al coniuge separato affidatario della prole ai fini dell’opponibilità ai terzi.

La Corte Costituzionale ha notato come le norme, di cui all'art.155, quarto comma, del codice civile, e all'art.6, sesto comma, della legge n.74 del 1987, siano ispirate al medesimo obiettivo dell'esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale della prole. Di conseguenza, la diversità di disciplina tra l'assegnazione dell'abitazione della casa familiare al genitore affidatario della prole, opponibile al terzo acquirente nell'ipotesi di divorzio, e l'assegnazione dell'abitazione, non opponibile nell'ipotesi di separazione personale dei coniugi, è stata ritenuta del tutto priva di ragionevole giustificazione. Secondo la Corte infatti la violazione del principio di eguaglianza, di cui all'art.3 della Costituzione, si concreta non nel deteriore trattamento del coniuge separato rispetto al divorziato, essendo l'uno e l'altro portatori di status personali differenziati, ma nella diversità di trattamento di una situazione assolutamente identica, quale e quella della prole affidata ad un genitore separato o ad un genitore non più legato dal vincolo matrimoniale.

La decisione della Corte Costituzionale ha certamente raggiunto l'obiettivo di eliminare la discriminazione tra la tutela del coniuge affidatario separato e quella accordata al divorziato; tuttavia non è riuscita a dissipare le incertezze in ordine all'effettiva portata del richiamo all’articolo 1599 c.c., contenuto nell’articolo 6 comma 6 della legge sul divorzio. Pertanto, con l’ordinanza (numero 20/90) di manifesta inammissibilità della medesima questione di costituzionalità dell’articolo 155, comma 4, già decisa, la Corte Costituzionale, all’evidente scopo di apportare un contributo di chiarezza al dibattito in corso, ha fornito un'interpretazione autentica della precedente sentenza, affermando che «appare chiaro, dalla motivazione della sentenza citata, come l’onere di trascrivere il provvedimento d’assegnazione nel caso di separazione, in analogia con la normativa vigente in materia di scioglimento del matrimonio, riguardi, ex articolo 1599 del c.c., la sola assegnazione ultranovennale, ferma restando l’opponibilità del provvedimento in tutte le altre ipotesi».

Anche quest'ultima pronuncia, però, si è rilevata inidonea a risolvere definitivamente la questione.

 

IL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE

Le incertezze circa l'effettiva portata dell’articolo 6 numero 6 della legge 898/70, nel testo riformato dall’articolo 11 della legge 74/1987, sono state determinate dall'ambiguità della norma che contiene indicazioni tali da elidersi a vicenda e, quindi, da prestarsi all'individuazione di due diverse letture. Tale situazione ha portato i giudici di legittimità a dividersi su un doppio binario interpretativo.

Secondo alcune decisioni (Cass. 10 dicembre 1996 n.10977; Cass. 18 agosto 1997 n.7680), infatti, l’onere della trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare, di cui all’articolo 155 c.c., ai fini della sua opponibilità ai successivi acquirenti, riguarda, in analogia con la normativa vigente in materia di divorzio (cioè l’articolo 6 numero 6 della legge 898/70, nel testo riformato dall’articolo 11 della legge 74/1987), applicabile anche in materia di separazione, ed ai sensi dell’articolo 1599 c.c., la sola assegnazione ultranovennale, salva restando l’opponibilità del provvedimento non trascritto nei limiti del novennio. Tale tesi, conforme a quella sostenuta dalla Corte Costituzionale, nella ricordata pronuncia n.20 del 1990, troverebbe conferma nei lavori preparatori (dai quali risulterebbe come l'onere della

trascrizione sia stato introdotto per ampliare l'opponibilità oltre il novennio) e nell'inequivoca lettera del 3° comma dell'art.1599 c.c.

Secondo una diversa opinione (Cass. 6 maggio 1999 n.4529), invece, l'opponibilità della locazione di beni immobili al terzo acquirente nei limiti di un novennio dall'inizio della locazione costituisce disposizione eccezionale che non può essere estesa, in via analogica, ad altri istituti. In particolare, l'assegnazione della casa non viene ritenuta un istituto affine alla locazione, con la conseguenza dell'inapplicabilità, in difetto di espressa disposizione, della norma in tema di opponibilità al terzo delle locazioni infranovennali. Quindi, ad avviso di tale tesi, in difetto della trascrizione del provvedimento di assegnazione, lo stesso non è opponibile all'acquirente non solo per il periodo successivo ai nove anni dall'assegnazione, ma anche per il periodo precedente, non esistendo alcuna eccezione ricavabile dalla normativa vigente che consenta una distinzione, in funzione della durata dell'assegnazione stessa; né al fine di contestare tali

conclusioni si ritiene possibile far leva sul richiamo contenuto nell'art.6, comma 6, della legge n.898 del 1970 (come modificato dall'art.11 della legge n.74 del 1987) all'art.1599 c.c., attesa la genericità del richiamo e l'impossibilità di ritenere, sulla sua base, l'applicabilità al provvedimento di assegnazione delle disposizioni in tema di locazione.

In ogni caso, la stessa tesi, sottolinea come la sentenza della Corte Costituzionale 27 luglio 1989 n.454, (che, come già detto, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art.155, comma 4, c.c., nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione dell'abitazione nella casa familiare al coniuge affidatario nella prole, ai fini dell'opponibilità ai terzi) non distingua in alcun modo fra assegnazione ultranovennale, in relazione alla quale, per l'opponibilità a terzi, è necessaria la trascrizione del provvedimento, ed assegnazione infranovennale, opponibile a terzi anche in difetto di trascrizione del titolo, dal momento che il problema da risolvere era solo quello della legittimità costituzionale dell'art.155, comma 4, c.c. in presenza della diversa formulazione dell'art.6, comma 6, della legge n.898 del 1970, senza necessità di alcuna indagine sul contenuto di quest'ultima disposizione.

Di conseguenza , per questa opinione, nessun valore può attribuirsi alla soluzione interpretativa contenuta nell'ordinanza n.20 del 1990, dal momento che la stessa è argomentata sulla base della sentenza della stessa Corte n.454 del 1989, che non contiene alcun implicito riferimento all'opponibilità a terzi dell'assegnazione infranovennale.

LA SOLUZIONE INTERPRETATIVA DELLE SEZIONI UNITE DELLA CASSAZIONE: Analisi della recente sentenza n. 11096 del 26/07/2002

Secondo le Sezioni Unite della Cassazione, facendo corretta applicazione dei principi fondamentali in tema di interpretazione e considerando la ratio dell'art.6, comma 6, della legge sul divorzio (nel testo sostituito dall'art.11 della legge 6 marzo 1987, n.74), applicabile anche in tema di separazione personale, l'orientamento da seguire è quello secondo cui il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente per nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero - ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto - anche oltre i nove anni.

Tale soluzione, osservano le Sezioni Unite, trova conferma nello svolgimento del dibattito parlamentare in sede di approvazione della legge 74/1987: risulta infatti dai lavori preparatori che, ad un primo emendamento introdotto con l’espressione «l’assegnazione è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’articolo 1599 c.c.», è stato aggiunto, con un sub-emendamento, l’inciso «in quanto trascritta»: detto inserimento è stato determinato dal timore che il mero rinvio all'art.1599 potesse indurre ad applicare solo il regime delle locazioni non trascritte (con relativa opponibilità nei limiti del novennio); pertanto, si è ritenuto opportuno fare esplicito riferimento alla trascrizione, così da eliminare ogni eventuale dubbio circa la trascrivibilità del provvedimento di assegnazione.

Quindi, se pure è vero che il sub-emendamento ha finito con rendere più confusa l’interpretazione dell'art.6, comma 6, della legge sul divorzio, nel testo sostituito dall'art.11 della legge 6 marzo 1987, n.74, è altrettanto vero che una lettura della stessa norma che ravvisasse l’indefettibilità della trascrizione si porrebbe in netta antitesi con le enunciate finalità del legislatore della riforma.

A rafforzare tali affermazioni vi è anche un altro rilievo: l’art. 6, 2° comma, L. n. 392/78 prevede, per i casi di separazione o divorzio, la successione ex lege nel contratto per il coniuge cui sia stato attribuito dal giudice il diritto di abitare nella casa familiare; di conseguenza sarebbe incongruo che il legislatore prevedesse, per il coniuge assegnatario, un trattamento deteriore nel caso in cui il coniuge estromesso sia titolare di un diritto reale, rispetto all’ipotesi in cui possa vantare un semplice diritto personale di godimento, il che avverrebbe se si ritenesse sempre richiesta la trascrizione ai fini dell’opponibilità

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In ogni caso, per sostenere la soluzione intepretativa sopra detta, le Sezioni Unite osservano come sia fondamentale considerare la funzione dell'assegnazione della casa coniugale che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, costituisce una misura di tutela esclusiva della prole, diretta ad evitare ai figli minorenni o anche maggiorenni ancora economicamente dipendenti non per propria colpa, l’ulteriore trauma di un «allontanamento dall’abituale ambiente di vita e di aggregazione di sentimenti». Infatti, non si può altrimenti intendere l’espressione «casa familiare» se non come «complesso di beni funzionalmente attrezzato per assicurare l’esistenza domestica della comunità familiare» (Cassazione 5793/93): l’assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi risponde «all’esigenza di conservare l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare» (Cassazione 12083/95, 8667/92).

Risulta allora evidente che, in materia di separazione, in base alla corretta interpretazione dell’articolo 155, 4° comma, c.c., occorre distinguere fra due diverse accezioni dell’espressione «casa familiare», la prima delle quali connota materialmente il bene immobile in cui si svolse, per un certo periodo storicamente concluso, la vita coniugale e familiare; la seconda significa, invece, «il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza» (Cassazione 8667/92), ossia l’ambiente fisico in cui persiste, nonostante la separazione dei coniugi, l’insieme organizzato di beni che costituisce, o ha costituito, anche in senso psicologico, l’habitat domestico e che deve continuare a svolgere, preferibilmente e, se possibile, la funzione di abitazione del nucleo composto da uno dei genitori separati e dalla prole. La norma in esame fa riferimento a questa seconda accezione, come si desume dal fatto che, per qualificare l’oggetto dell’attribuzione, usa l’espressione «abitazione nella casa familiare», non semplicemente «casa familiare», ad indicare la volontà del legislatore di preservare, per quanto possibile ed opportuno, con questa specifica disposizione, la continuità delle abitudini domestiche («abitare in») piuttosto che altri interessi, pure rilevanti, garantiti dal successivo articolo 156.

Del resto, l’esposto indirizzo interpretativo è seguito dalla Suprema Corte anche in materia di divorzio, nonostante la parallela disposizione, dettata nell’articolo 6 della relativa legge, imponga al giudice un più articolato apprezzamento, disponendo che «in ogni caso» il giudice valuti le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorisca il coniuge più debole: infatti, come si è rilevato nella nota sentenza a Sezioni Unite 11297/95, detta legge non ha modificato le condizioni ed i limiti del potere del giudice, né la natura e la funzione dell’istituto dell’assegnazione disciplinato dall’articolo 155 comma 4 c.c., così che l’affidamento di figli minori o la convivenza con figli maggiorenni, ma non autonomi, costituisce elemento necessario, anche se non più sufficiente, per ottenere l’assegnazione della casa familiare. A quanto sopra si aggiunga che anche la Corte Costituzionale nella sentenza 166/98, nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità dell’articolo 155 comma 4 c.c. nella parte in cui non prevede, in ipotesi di cessazione della convivenza di fatto, la possibilità di assegnare in godimento la casa familiare al genitore naturale affidatario del minore o convivente con prole maggiorenne non economicamente autosufficiente, ha ribadito che «la tutela dell’interesse della prole rappresenta la ratio in forza della quale il legislatore ha introdotto il criterio preferenziale, ancorché non assoluto, indicato dal comma 4 dell’articolo 155 del c.c.».

In questo quadro complessivo di riferimento, ad avviso delle Sezioni Unite, diventa agevole, superando le ambiguità del tenore letterale dell’articolo 6 comma 6 della legge sul divorzio, ravvisare, nel richiamo all’articolo 1599 c.c. in esso contenuto, la precisa volontà del legislatore di garantire una tutela avanzata della posizione di detti soggetti rispetto alle contrapposte esigenze, accordando al coniuge assegnatario un titolo legittimante comunque opponibile, almeno per nove anni dal momento dell’emissione del provvedimento, al terzo successivo acquirente, così da porlo al riparo da iniziative dell’altro coniuge proprietario idonee a vanificare anche immediatamente il provvedimento del giudice.

Secondo tale linea ricostruttiva, quindi, anche l’espressione «in quanto trascritto» finisce per assumere un preciso significato ed una duplice funzione, in quanto, a fronte del principio di tipicità degli atti trascrivibili, riflette la volontà del legislatore di riconoscere al provvedimento di assegnazione della casa coniugale la natura di titolo idoneo alla trascrizione, così configurando una nuova tipologia di atti trascrivibili, ed al tempo tesso vale a confermare che l’opponibilità dell’assegnazione nei confronti del terzo acquirente non è solo quella infranovennale, ma anche quella di durata maggiore, ove vi sia trascrizione, finché perduri l’efficacia della pronunzia giudiziale (va al riguardo rilevato che tipologie di atti soggetti a trascrizione con efficacia indeterminata nel tempo sono già previste ai numeri 10 e 11 dell’articolo 2643 c.c.).