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Genericita' o aspecificita' dei motivi di ricorso

16 Ottobre 2009 Genericita' o aspecificita' dei motivi di ricorso - Articolo 388 c.p., - elusione, in piu' occasioni, dei provvedimenti presidenziali adottati nella causa di separazione coniugale concernenti l'affidamento - inammissibilita' del ricorso - genericita' o aspecificita' dei motivi di ricorso - Corte di Cassazione Civile Sentenza del 8 settembre 2009, n. 34838

articolo 388 c.p., -  elusione, in piu' occasioni, dei provvedimenti presidenziali adottati nella causa di separazione coniugale concernenti l'affidamento - inammissibilita' del ricorso - enericita' o aspecificita' dei motivi di ricorso - Corte di Cassazione Civile Sentenza del 8 settembre 2009, n. 34838
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MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- To.An. propone ricorso, mediante il difensore, per la cassazione della sentenza del 5.2.2009, con cui la Corte di Appello di Genova ha confermato la sentenza emessa il 9.12.2004 dal Tribunale di Massa sezione distaccata di Carrara, che l'ha riconosciuta colpevole del reato di cui all'articolo 388 c.p., comma 2, per aver eluso, in piu' occasioni, i provvedimenti presidenziali adottati nella causa di separazione coniugale concernenti l'affidamento della figlia Ch. (cinque anni), impedendo al coniuge separato Pr. Ro. di svolgere i previsti incontri giornalieri con la bambina affidata ad essa imputata e di tenerla con se' in due fine - settimana mensili. Colpevolezza sanzionata con la condanna, concesse le attenuanti generiche, alla pena di sei mesi di reclusione ed al risarcimento del danno in favore del Pr. costituitosi parte civile.

La ricorrente, riproducendo per piu' versi nell'odierna impugnazione i contenuti dell'atto di appello proposto contro la sentenza di primo grado, deduce vizi di violazione della legge penale processuale e sostanziale e di contraddittorieta' ed illogicita' della motivazione, enunciando le censure che seguono.

1. La sentenza di appello deve considerarsi nulla per violazione dell'articolo 546 c.p.p., comma 3, attesa l'erroneita' del dispositivo nel quale si indica come confermata una sentenza di primo grado resa il 9.2.2004 (e non il 9.12.2004) e pronunciata dalla sezione distaccata di Sarzana del Tribunale di Massa, che non esiste, in luogo della sezione distaccata di Carrara di quel medesimo Tribunale. Tali errori, che sono riportati una volta anche nel corpo della motivazione, inficiano "elementi essenziali" della decisione di secondo grado.

2. La sentenza impugnata, muovendosi nella scia della decisione del Tribunale, al pari di questa non approfondisce la sussistenza dell'elemento psicologico del reato ascritto all'imputata, tralasciando di considerare che i diversi episodi di c.d. elusione di modalita' e tempi di affidamento temporaneo della figlia della donna al padre e marito separato, che costellano la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di primo grado, sono in realta' caratterizzati non dal dolo del reato, ma al piu' da mera colpa. La To. non ha affatto impedito al coniuge di prelevare e tenere con se' la bambina, salvi i casi in cui la piccola non e' stata consegnata al padre perche' ammalata (come da certificati medici prodotti), dal momento che e' stata sempre la stessa bambina a rifiutare, con pianti e manifestazioni di palese disagio, di andare insieme al padre (evenienza che sarebbe stata rilevata anche dai carabinieri intervenuti su richiesta del Pr. presso l'abitazione dei suoceri ove la donna si era trasferita con la bambina). A tutto voler concedere la To. puo' non essersi adoperata per convincere la piccola Ch. a stare anche con il padre o comunque per favorire gli incontri con il marito separato, ma mai ha inteso ostacolare o impedire siffatti incontri.

3. Entrambe le sentenze di merito travisano i dati probatori in punto di dolo del reato, attribuendo una fuorviante significanza sostanzialmente confessoria alle parole della donna, allorche' ha puntualizzato di essere unicamente intervenuta per proteggere come mamma la bambina, che le appariva star male ed essere traumatizzata in concomitanza con le visite del padre.

4. La Corte territoriale ha impropriamente applicato l'articolo 533 c.p.p., pur in assenza di elementi probatori suffraganti la tesi che il rifiuto della bambina di rimanere insieme al padre sia la conseguenza dell'intenzionale comportamento dell'imputata e delle pressioni psicologiche da essa esercitate nei confronti della piccola. La circostanza che la bambina sia stata lasciata a casa dei nonni materni in occasione delle visite del padre non e' frutto della prevaricazione o della volonta' elusiva dell'imputata, come ritenuto dai giudici di merito, ma soltanto il risultato di un contegno volto a non influenzare negativamente la bambina con la fisica presenza della madre.

2.- Il ricorso proposto da To.An. va dichiarato inammissibile, vuoi per la genericita' o aspecificita' dei motivi di ricorso cristallizzati - salvo il primo - nella reiterazione dei motivi (prevalentemente in fatto) del gia' interposto appello avverso la decisione del primo giudice, vuoi per la manifesta infondatezza delle enunciate censure, tutte afferenti in buona sostanza a profili o temi fattuali e giuridici gia' sottoposti alla Corte territoriale e da questa ampiamente affrontati e risolti con adeguate, non illogiche e persuasive motivazioni, non scrutinabili in questa sede di legittimita'.

Al di la' dell'intrinseca gia' puntuale motivazione della sentenza di appello, non e' inutile rammentare che questa Corte regolatrice ha chiarito come il giudice di legittimita', ai fini del vaglio di congruita' e completezza della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento - ove si tratti di una sentenza pronunciata in grado di appello - sia alla sentenza di primo grado che alla sentenza di secondo grado, che si integrano vicendevolmente, dando origine ad enunciati ed esiti assertivi organici ed inseparabili. Ed il dato, che sostanzia la diacronica dinamica del processo decisionale del giudice di merito, e' ancor piu' significativo quando, come nel caso di cui al presente ricorso, la sentenza di appello abbia confermato le statuizioni del giudice di primo grado, passandole in rassegna alla luce delle censure sollevate dall'appellante To. e idoneamente motivando le condivise conclusioni ricostruttive e valutative degli eventi di causa gia' raggiunte dal giudice di primo grado (ex plurimis: Cass. Sez. 6, 26.9.2002 n. 1307/03, Delvai, rv. 22361; Cass. Sez. 4, 4.6.2004 n. 36757, Perino, rv. 229688; Cass. Sez. 1, 26.6.2000 n. 8868, Sangiorgi, rv. 216906: "Allorche' le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo").

A. Palese e' l'inconsistenza del primo motivo di ricorso, attinente alla erronea indicazione in dispositivo (e in un passo della motivazione) della sentenza appellata dall'imputata e confermata dall'impugnata sentenza di appello. Le erronee indicazioni dei dati evidenziate in ricorso integrano, infatti, meri refusi di stampa (lo stesso ricorso li definisce come "errori grafici"), che non incidono in alcun modo sulla validita' dell'atto decisorio e sulla sua riferibilita' alla specifica sentenza della sezione distaccata di Carrara del Tribunale di Massa pronunciata nei confronti della To. . Si tratta di semplici errori materiali, al piu' emendabili con la procedura di cui all'articolo 130 c.p.p., che non invalidano la sentenza di appello, la cui epigrafe (c.d. intestazione) reca - del resto - corretta indicazione (di data e di autorita' giudiziaria procedente) della sentenza di primo grado.

B. Manifesta e' l'infondatezza degli altri tre motivi di ricorso, afferenti tutti alla asserita mancata prova dell'elemento soggettivo della fattispecie di cui all'articolo 388 c.p.p., comma 2, ascritta all'imputata. I rilievi critici della ricorrente delineano, in vero, una impropria rivisitazione delle emergenze fattuali ricomposte con particolare cura dalla sentenza del Tribunale e pienamente confermate dall'analisi svoltane dalla sentenza della Corte di Appello di Genova. Dette risultanze hanno posto in luce, rispetto all'alternativa lettura disegnata dal ricorso, l'univoca descrizione di un lampante e radicato "comportamento ostile" della To. nei confronti del coniuge separato, tradottosi nella deliberata volonta' di condizionamento della piccola figlia della coppia, si' da dar luogo a quella che la sentenza di appello motivatamente qualifica come "sistematica elusione" dei provvedimenti sull'affidamento della bambina adottati dal giudice della separazione. Non e' casuale, del resto, ad ulteriore conferma della intenzionalita' dei ripetuti atteggiamenti omissivi assunti dalla To. , susseguitisi nel periodo di tempo della contestata accusa (fino al (OMESSO)), che la sentenza del Tribunale abbia posto in luce come il giudice civile il (OMESSO) si sia determinato a modificare le regole di affidamento temporaneo della bambina al padre (nei giorni e nei tempi previsti), disponendo la presenza di personale del servizio sociale territoriale al momento della consegna della bambina dalla To. al marito. Decisione che si coniuga alla successiva segnalazione del consulente psicologico di ufficio (dr.ssa Ce.La. ), che giunge a proporre l'affidamento della bambina ad una terza persona e non piu' alla madre (v. sentenza Tribunale, p. 3: "L'unico obiettivo della madre e' quello di annullare la figura paterna...pertanto e' necessaria una figura super partes che pretenda dalla madre di rispettare il programma...").

Ne travisamento alcuno delle dichiarazioni dei carabinieri intervenuti presso 1 abitazione dei suoceri del denunciarne Pr. in occasione di alcune "consegne - della bambina al padre e' stato compiuto dai giudici di merito. Se e' vero - infatti - che i carabinieri hanno confermato che in tali circostanze la bambina piange e mostra ritrosia nell'andare insieme al padre, e' altrettanto vero - in patente distonia con la parziale enunciazione delle risultanze processuali svolta nel ricorso - che gli stessi carabinieri hanno sottolineato il netto e categorico rifiuto della To. e dei suoi stessi genitori (nonni della bambina), intervenuti a spalleggiarla contro il marito separato (con anomala intromissione nei rapporti tra i due coniugi), nel fare soltanto vedere la bambina al padre.

Ne discende, quindi, che del tutto incongruo si rivela l'assunto della ricorrente (quarto motivo di ricorso) di essere stata riconosciuta colpevole del reato contestatole in virtu' di una non erronea applicazione del canone probatorio della ragionevolezza del dubbio sul fatto (articolo 533 c.p.p., comma 1). I profili di responsabilita' dell'imputata con peculiare riferimento al dolo (generico) del reato di cui all'articolo 388 c.p., comma 2, sono stati adeguatamente e con corretta motivazione illustrati dalle due conformi decisioni di merito che hanno rimarcato l'assenza di qualsivoglia situazione suscettibile di ricondurre a condotta antigiuridica attuata dalla To. nell'area di un presunto stato di necessita' (scriminante putativa) in rapporto alla asserita esigenza di tutelare l'effettivo interesse della bambina, piuttosto che coltivare il proposito di vulnerare l'interesse del marito a frequentarla in costanza di separazione coniugale. Il dissenso sul merito dei provvedimento giudiziali di affidamento della bambina anche al padre per soli pur brevi periodi, che a chiare note traspare dal complessivo comportamento dell'imputata non solo e privo di ogni efficacia esimente, ma conclama la specifica volonta' dell'imputata di eludere l'esecuzione dei provvedimenti presidenziali del giudizio di separazione coniugale (cfr. Cass. Sez. 6, 9.1.2004 n. 17691, Bonacchi, rv. 228490).

Alla declaratoria di inammissibilita' del ricorso seguono la condanna della ricorrente al pagamento delle spese dell'odierno giudizio ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo stabilire in misura di euro 1.000,00 (mille) nonche' la condanna della stessa ricorrente alla rifusione delle spese di intervento e difesa affrontate dalla parte civile nel presente giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche' della somma di mille euro in favore della cassa delle ammende. Condanna altresi' la ricorrente a rifondere alla parte civile le spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi duemila euro.

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it